Molto interessante il nuovo libro, fresco di stampa, di Fausto Caruana e Anna Borghi “Il cervello in azione” (Il Mulino, 2016). È scritto per offrire al lettore italiano una prima mappa di orientamento nel mondo della embodied cognition, che si presenta come “un mosaico di proposte teoriche adottate in molteplici settori di ricerca – dalla psicologia sperimentale alla filosofia della mente – accomunate dall’idea che la maggior parte dei processi cognitivi superiori avvenga mediante i sistemi di controllo del corpo agente”.
In un momento storico propizio alla riscoperta del corpo quale perno di una serie di sistemi interconnessi (cervello compreso) che formano l’essere umano, Caruana e Borghi sembrano ritrovare nel pragmatismo alla Dewey, oltre che nella tradizione fenomenologica – già abbondantemente rimessa in circolo qualche anno fa da neuroscienziati in cerca di sistematizzazione e dai loro “evangelist” – il sestante per una navigazione sicura nel mare magno delle nuove scienze della mente.
Va notato che, in questa operazione, il nostro Paese, “per una di quelle beffe del destino”, pur avendo fornito “contributi fondamentali”, sconta ancora una scarsa diffusione della nuova prospettiva sul suo territorio. Cogliendo dunque “lo spirito del tempo, ovvero l’aria che si respira oggi nei laboratori di neuroscienze e psicologia cognitiva”, che porta a identificare nell’agire una chiave di lettura fondamentale nello studio della mente e del cervello, i Nostri Autori intendono “colmare un vuoto nella letteratura scientifica italiana”.
Secondo Caruana e Borghi, “una semplice sostituzione dell’azione al pensiero, come centro di gravità della mente” potrebbe far tornare tutti i calcoli irrisolti, come accadde al tempo della rivoluzione copernicana; sostituzione “semplice” d’accordo, ma operazione “non scontata”, visto che farebbe saltare in aria i fondamenti stessi della scienza cognitiva classica, impantanatasi – dobbiamo riconoscerlo – nella metafora del computer, della mente come calcolatore di informazioni disincarnate, astratte, pure rappresentazioni simboliche.
Le nuove scienze cognitive metterebbero appunto in evidenza l’impossibilità di studiare i processi mentali “trascendendo dall’ambiente (naturale, sociale, culturale) all’interno del quale si attuano”, in un rifiuto definitivo di tutti i dualismi, come quello tra ragione ed emozioni, tra percezione e azioni, alimentato dall’idea che “la mente sia una cosa sola col corpo”: ed è sempre Dewey a ispirare i nostri Autori, che in lui vedono uno straordinario anticipatore quando suggerisce che “nella misura in cui l’azione, il comportamento è reso centrale, le tradizionali barriere tra mente e corpo si dissolvono”.
Lo stato dell’arte delle scienze cognitive dunque “restituisce un’idea di percezione come forma di attività che coinvolge il sistema motorio e la preparazione all’azione, in linea con quanto prefigurato dai filosofi pragmatisti e fenomenologi all’inizio del XIX secolo e con le idee espresse dallo psicologo americano James Gibson con il concetto di affordance”, ossia le possibilità di azione che l’ambiente ci offre.
In uno stile di scrittura piacevole e ricco di spunti di riflessione, oltre che ben supportato dai risultati degli studi più recenti provenienti dal mondo delle neuroscienze e della ricerca psicologica, gli Autori sviluppano argomenti affascinanti, parlando non solo di “emozioni come azioni”, ma anche di “linguaggio come azione”, descrivendo puntualmente infine le “basi sensorimotorie dell’intersoggettività” (a partire dalle ricerche pionieristiche del fisiologo italiano Giacomo Rizzolatti sui “neuroni specchio”) e il rapporto fra “concetti astratti ed esperienza”.
Il libro:
Fausto Caruana, Anna Borghi, “Il cervello in azione”, Il Mulino, 2016
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