Sistemi rappresentazionali e versioni del mondo: suggestioni a partire da Bruner e Goodman

Abstract

Il presente articolo muove dal concetto di sistemi rappresentazionali, esposto da Jerome S. Bruner nella sua Psicologia della conoscenza e dalle tesi enunciate in Ways of Worldmaking da Nelson Goodman. I due autori, attraverso le loro ricerche, hanno ampiamente studiato il modo in cui prendono vita i modelli e le versioni del mondo, guide dell’essere umano nelle interazioni con gli altri esseri viventi. Il primo capitolo approfondisce lo sviluppo dei tre sistemi rappresentazionali – esecutivo, iconico, simbolico – nella psicologia bruneriana, nell’interazione con il funzionamento paradigmatico e narrativo del pensiero. Il secondo capitolo indaga attraverso le rilevazioni di Goodman la differenza tra mondi e versioni del mondo, alla ricerca di un percorso di riflessione che fino alla fine rimane nella prossimità dei due interrogativi di seguito: in quale senso esistono più mondi e che cosa distingue i mondi autentici da quelli spuri?

1. Jerome S. Bruner: i sistemi rappresentazionali

1.1 Le qualità che rendono il pensiero ciò che è

Jerome S. Bruner ha indagato attraverso le sue ricerche le “qualità che rendono il pensiero ciò che è”, individuando un doppio funzionamento e tre sistemi rappresentazionali, determinanti alla fabbricazione del senso e del significato. La tesi di Bruner riguarda i modi di pensare, che muovono dalla qualità paradigmatica e narrativa del pensiero, ognuno dei quali fornisce un proprio metodo particolare di ordinamento dell’esperienza e di costruzione della realtà. Questi due modi di pensare, pur essendo complementari, sono irriducibili l’uno all’altro. Qualsiasi tentativo di ricondurli l’uno all’altro o di ignorare l’uno a vantaggio dell’altro produce inevitabilmente l’effetto di perdita di vista nella direzione di una ricchezza e varietà del pensiero.

Entrambi tipi di pensiero possiedono dei principi operativi e dei criteri di validità, detengono inoltre un modo proprio per effettuare procedure di verifica. Il primo pensiero, anche detto paradigmatico o logico-scientifico, persegue l’ideale di un sistema descrittivo, formale, matematico. Questo pensiero ricorre alle categorizzazioni e concettualizzazioni, alle operazioni che costituiscono le categorie, che vengono elevate a simboli e poste in relazione tra loro fino a configurarsi in un sistema. I connettivi che comprende il pensiero paradigmatico sono la congiunzione e la disgiunzione, l’iperonimia e l’iponimia, implicazione rigorosa e i procedimenti che trasformano asserzioni collocate in un particolare contesto in proposizioni generali.

Il pensiero paradigmatico dunque si occupa delle cause di ordine generale e del modo in cui è possibile riconoscerle; si serve di procedure per la verifica referenziale e per la verità empirica. Il linguaggio di tale pensiero è regolato dai requisiti della coerenza e della non contraddizione. L’ambito non è solo quello delle realtà che possono essere osservate ma anche ai mondi possibili che si possono produrre con la logica. La logica, la matematica, le scienze, le macchine, consentono di operare attraverso il pensiero paradigmatico. Se si utilizza in maniera creativa questo tipo di pensiero, si sviluppano teorie, analisi, argomentazioni, diviene guida per le scoperte empiriche. L’immaginazione che viene utilizzata attraverso questo tipo di pensiero è diversa dall’immaginazione artistica, perché riguarda le relazioni formali e le loro possibilità.

L’altro modo di pensare, il pensiero narrativo, è implicato nella costruzione dei racconti, dei drammi e dei quadri situazionali storici anche se non veri. Il pensiero narrativo si occupa delle intenzioni e delle azioni, delle vicissitudini dell’uomo. Situa l’esperienza nel tempo e nello spazio; esso probabilmente è scaturito dall’interesse per la condizione umana. Un racconto condotto attraverso il pensiero narrativo, a differenza di un racconto “gestito” con il pensiero paradigmatico, può essere influenzato dalla gamma dei sentimenti tipici dell’uomo, che possono portare ad avere come risultato, ad esempio, un testo malinconico, comico, assurdo, tenero. Entrambe le tipologie di funzionamento si costituiscono a partire da un progressivo sviluppo della rappresentazione o sistema di rappresentazione, che è per Bruner l’insieme di regole che concorrono a garantire la conservazione dei propri incontri con gli eventi.

La rappresentazione ha luogo attraverso l’azione richiesta dagli eventi, attraverso le immagini o con l’uso di parole o simboli. I tre sistemi rappresentazionali – esecutivo, iconico, simbolico – agiscono mediante delle sottovarietà: (i) selezione: nel costruire il modello di un evento non si tengono in considerazione tutti gli elementi, ma avviene una selezione, un filtraggio, a seconda degli scopi per cui tale rappresentazione è stata conservata; (ii) regolamentazione: ogni rappresentazione è regolata, per cui non è arbitraria dell’universo che rappresenta; questo significa che nell’esempio di una rappresentazione spaziale, si utilizza una annotazione spaziale comune all’insieme specifico e situato di eventi: questa operazione garantisce (iii) una economia efficace del pensiero che a sua volta consentono al soggetto di raggiungere un maggiore ordine e facilità di rievocazione nel (iv) processo di traduzione (o trasformazione o conversione) di un evento da un sistema rappresentazionale all’altro, dall’estensione della sua rappresentazione in ogni sistema rappresentazionale.

Un ruolo centrale nella formazione dei tre sistemi rappresentazionali è giocato dai sistemi strumentali, che formano un insieme, nell’evoluzione umana, con l’evoluzione e il condizionamento culturale. Pensare e comprendere attraverso i tre sistemi rappresentazionali, esecutivo, iconico e simbolico, significa avere la possibilità di fare qualcosa, di rappresentarsela con l’immagine e attraverso il mezzo simbolico (come il linguaggio).

Nel caso di un nodo, ad esempio, impariamo l’atto di farlo; quando conosciamo quel nodo, lo conosciamo tramite un qualche atto abituale che padroneggiamo e possiamo ripetere. L’abitudine tramite cui il nodo è organizzato, è organizzata serialmente, governata da uno schema che ne tiene insieme i segmenti successivi, ed è in un certo senso in relazione con altri atti abituali che ne facilitano l’apprendimento e l’esecuzione o interferiscono con essi [1].

In questo esempio di rappresentazione esecutiva, il mezzo “azione” è governato e avviato dalla sua natura sequenziale e irreversibile. In questo senso, l’immagine del nodo, la riproduzione mentale, è cosa diversa dall’azione del nodo nell’atto del suo farsi; tuttavia, messe in sequenza, alcune immagini potrebbero fornire uno schema di come procedere per fare un nodo. L’immagine a differenza dell’azione costituisce una analogia selettiva e simultanea, “altamente stilizzata”. Ma come sottolinea Bruner, l’immagine non ha il grado di arbitrarietà che detiene, per esempio, la parola e il simbolo. Infatti, quando si vede l’oggetto, la sua rappresentazione iconica che verrà conservata sarà pressoché similare e riconoscibile – la conservazione serve sia al riconoscimento che al riconoscimento privo di oggetto nella realtà. Parola ed evento invece, non coincidono per similarità “fenotipica”: essa, la parola o il simbolo, dipendono dalla padronanza di un codice simbolico.

Nel momento in cui si procede nella formazione di una descrizione linguistica di un evento o di oggetto reale, il descrivente-percipiente deve avere una pregressa conoscenza sia dei referenti delle parole, sia delle regole che garantiscono la formazione di una espressione linguistica comprensibile. Secondo Bruner, i tre sistemi rappresentazionali non rispondono tanto alle regole stadiali, ma sarebbero piuttosto dei processi che vanno padroneggiati, a spirale, lungo tutte le epoche dell’esistenza, accompagnati dalla parziale traduzione di ciascuna nelle altre. Il lavoro di traduzione da una rappresentazione all’altra, di fase in fase della vita, consente una maggiore esatttezza e precisione, coerenza e coincidenza, tra come si fa una cosa, come la si vede e come la si dice. Le capacità umane di rappresentazione vengono arricchite da tutte le tecnologie in possesso della cultura: linguaggio, miti, spiegazioni, sistemi di misura, ragionamento, utensili, conoscenze. È l’educazione che deve avere come obiettivo l’infondere una certa competenza e una certa estetica di rappresentazione delle proprie esperienze di vita e nondimeno delle conoscenze che vanno via via ad arrichire il panorama dei sistemi rappresentazionali.

Come sottolinea Bruner nella sua psicologia della conoscenza, l’evoluzione dell’uomo concorsa negli ultimi 500.000 anni almeno è stata di tipo alloplastico piuttosto che autoplastico. Questo significa che l’evoluzione dell’uomo ha conosciuto la maggior parte delle mutazioni attraverso il collegamento continuo a nuovi sistemi esterni di tecnologia, strumentazione, piuttosto che per dei mutamenti morfologici. I sistemi di strumentazione individuati da Bruner, con Weston la Barre, sembrano essere stati di tre tipi: (i) amplificatori delle capacità motorie, come gli strumenti da taglio, la leva, la ruota fino alle possibilità che si possono ottenere con la strumentazione moderna; (ii) amplificatori delle capacità sensoriali, come i segnali di fumo, gli altoparlanti, i radar, e in questa seconda categoria scondo Bruner andrebbero inserirti anche i software come abbreviazioni percettive convenzionalizzate «applicabili all’ambiente sensoriale ridondante» [2]; infine (iii) amplificatori delle capacità umane razionali, e tra questi i sistemi linguistici, il mito, la teoria e la spiegazione. Tutti e tre i tipi di amplificazione attraverso sistemi di strumentazione vengono trasmessi mediante la cultura e i suoi luoghi, in particolar modo il terzo tipo di amplificazione, giacche è governato da specifiche regole interne che per funzionare devono essere condivise.

Gli strumenti alloplastici hanno concorso, nell’evoluzione umana, alla stessa sopravvivenza dell’uomo. L’uomo si muove, percepisce e pensa all’interno di una costrizione tecnica, almeno tanto quanto dipende dalle conformazioni del sistema nervoso. Attraverso la strumentazione, l’uomo ha reso l’ambiente una dimensione di natura governata da regole e ridondanze, per garantire una maggiore funzionalità nei tre sistemi rappresentazionali. Nell’ambiente l’essere umano risponde con atti, percezioni e pensieri tendenzialmente strutturati da «immagini spazio-qualitative convenzionalizzate e una organizzazione percettiva-selettiva, e attraverso una codificazione linguistica che, come molti hanno rilevato, stende un velo selettivo tra noi e l’ambiente fisico» [3].

Si può giungere ad una specifica nominazione di quanto succede nel rapporto tra l’uomo e il mondo, dicendo che si tratta di settings di comportamenti ambientali. La regolarità ricorrente di oggetti ed eventi nell’ambiente può e deve essere rappresentata per garantire certi vantaggi. Secondo Bruner, infatti, l’aspetto centrale della memoria non sarebbe tanto la possibilità di immagazzinare ed accumulare conoscenza, ma la possibilità di rievocare in forme capaci di rendarla utilizzabile. I tre sistemi di rappresentazione garantiscono una certa “potenza” di organizzazione dei dati sensoriali entro schemi esecutivi, iconici e simbolici. Le risposte motorie appropriate consentono un certo movimento e quindi una certa esecuzione di compiti che necessitano un basso grado di iconicità per essere eseguiti: marciapedi o pavimenti non richiedono al soggetto una precisione nella loro rappresentazione iconica, allo stesso tempo però richiedono una buona rappresentazione esecutiva.

Ci sono dunque, nell’ambiente, certi segmenti che richiedono di essere rappresentati muscolarmente, tra questi: il guidare la macchina, fare nodi, andare in bicicletta, camminare su porzioni specifiche di strada. Percetti ed immagini vengono riorganizzate, mediante selezione (filtraggio) per riassumere gli eventi percepiti, osservati, eseguiti. «Le immagini stanno al posto degli eventi percettivi con lo stesso rapporto di vicinanza, ma di selettività convenzionale, con cui un quadro sta al posto dell’oggetto che rappresenta» [4].

Nel sistema simbolico, invece, esiste la rappresentazione delle cose nei loro profili. Questo significa che la rappresentazione attraverso le parole di una cosa non indica direttamente il proprio referente perché lo indica con dei segni, né somiglia all’immagine contenuta nel sistema rappresentazionale iconico. Tuttavia la parola e la simbologia, proprio in quanto sistemi di trasformazione dell’evento e della cosa in qualcos’altro che pur gli corrisponde per selettività convenzionale, proprio per questo, consente all’essere umano di ampliare le sue possibilità nel rapporto con l’oggetto stesso, e di estendere le sue possibilità soprattutto in termini di conservazione e rievocazione.

Il punto centrale per lo studio in atto è sicuramente il passaggio dalla rappresentazione iconica alla rappresentazione simbolica. Verso la fine del secondo anno di vita il bambino inizia ad acquisire l’uso della grammatica produttiva, e cioè della parola-frase agrammaticale, della olofrase. Nei mesi successivi apparirano due classi di parole: una classe perno e una classe aperta. In queste due classi il bambino esperimenta combinazioni. I lessemi che il bambino già utilizzava, come “più” “mamma” e “spocco”, e che venivano usati non in combinazione, ora si presentano insieme: “più spocco”. Il bambino in questa fase esplora i limiti delle combinazioni entro le due classi di parole, fino a sequenze più complesse, come per esempio: “più ciao ciao”, per indicare qualcuno che se ne sta andando. Si tratta della fase di gioco metalinguistico e combinatorio con le parole in cui il bambino frequenta i limiti della produttività della grammatica.

Un altro approfondimento rispetto al passaggio da iconico a simbolico: la rappresentazione iconica in un primo tempo viene organizzata entro un quadro percettivo legato spazio-qualitativamente agli eventi, atti ad essere indicati nel momentaneo. Secondo Bruner, anche se i tre sistemi rapprsentazionali non sono connessi in ordine gerarchico, comunque, la fase iconica consente dei margini di manovra superiori rispetto al tempo in cui vigeva un regolamento quasi esclusivamente esecutivo; allo stesso tempo, mentre vige un quadro di regolamento che ha come perno l’iconicità, non si potranno ottenere i vantaggi connessi alla conversione trasformativa dei significati, operazione possibile solo avviato il processo di simbologia tipico del terzo sistema rappresentazionale. Il processo di interiorizzazione delle possibilità e delle capacità dei sistemi, presi singolarmente ma anche nella loro potenza interrelante, è un processo che secondo Bruner dipende dall’interazione con gli altri, dalla necessità di sviluppare categorie e dall’operatività collettiva.

1.2 L’azione dell’uomo nei mondi

La tesi centrale del Bruner, esposta nell’opera Mente a più dimensioni, è la tesi che si pone alla base del costruttivismo: contrariamente a quanto si crede nel senso comune, non esiste un unico “mondo reale” pre-esistente e indipendente dall’attività mentale umana e del linguaggio. Secondo Bruner, con Nelson Goodman, il mondo sarebbe il prodotto della mente e delle sue procedure simboliche. Secondo Goodmann, il funzionamento della percezione è anch’esso la costruzione dell’attività mentale che si sviluppa in un dato contesto, in un dato tempo storico, in un dato ecosistema. Sistemi simbolici e linguaggio contribuiscono in maniera decisiva a tale processo di costruzione. Le teorie, tanto quanto i prodotti umani sviluppati dall’azione combinata delle mani e gli occhi, influenzano i modi successivi di costruzione (basti pensare alla geometria o alle intuizioni degli artisti). «Agli occhi di Goodman, pertanto, non c’è un “mondo” che sia più “reale” di tutti gli altri: nessuno di essi è ontologicamente privilegiato come unico mondo reale» [5].

La visione costruttivistica può essere fatta risalire a Immanuel Kant [6] che fu il primo a svilupparla. Kant ha attribuito le sue intuizioni a David Hume, che scoprì prima dello stesso Kant che nel mondo reale alcune relazioni sarebbero costruzioni mentali proiettate su un «mondo oggettivo» [7]. La visione kantiana di un “Mondo esterno” è il punto di partenza di Goodman. Ma quest’ultimo sostituisce l’apriori kantiano con una nozione più relativistica. Il punto di partenza sarebbe non qualcosa di assoluto e precedente al ragionamento, ma consisterebbe da tipi-guida per la costruzione di mondi. Ogni costruzione del mondo attraverso il tipo-guida, consiste nella trasformazione dei mondi e delle versoni del mondo elaborate in precedenza. L’idea della mente come strumento per costruire mondo conduce all’identificazione di modelli sempre veri, che implicano una certa problematicità in materia di relativismo. Naturalmente, come afferma Bruner, la posizione di Goodman induce alla necessità di costruire un modello per la verifica delle versioni del mondo che si accostano maggiormente al vero e quelle che in una certa misura si discostano da questa dimensione. Afferma Goodman:

Si cerca rifugio in una relativizzazione al quanto semplicistica e banale: secondo il sistema geocentrico la terra sta ferma, mentre secondo quello eliocentrico si muove. Ma questa constatazione non ci è di nessun aiuto. Il fatto puro e semplice che una data versione dica qualcosa non significa che quel che dice sia vero, in fin dei conti, ci sono anche versioni secondo cui la terra è piatta ed altre secondo cui poggia sul dorso di una tartaruga. Il fatto che la terra sia ferma secondo un sistema e si muova secondo l’altro non ci dice nulla di come essa si comporti; ci dice solo quello che ne pensano le due versioni. Ciò che occorre aggiungere è che queste versioni sono vere [8].

Goodman intende le versioni come sempre vere, in mondi diversi. Le versioni vere possono essere in conflitto tra loro e non possono essere vere nello stesso mondo, è per questo che secondo l’autore ci sarebbero numerosi mondi. I concetti di spazio e tempo devono essere veri in un solo mondo, e tali concetti non possono riguardare il concetto di spazio e tempo nel senso più ampio. Non c’è operazione, dunque, che possa ricondurre la molteplicità dei mondi a un mondo solo. Seguendo il ragionamento goodmaniano, un mondo non può identificarsi nemmeno con la propria versione, e quest’ultima può solo possedere delle caratteristiche che il mondo non ha: «una versione secondo la quale lassù c’è una stella non è essa stessa brillante e lontanissima come quella stella» [9]. Le versioni sono legate al mondo, ma non coincidono con questo. Ma, paradossalmente, sostiene sempre l’autore, le versioni che l’uomo va creando, le versioni corrette, costruiscono dei mondi. Anche se i mondi sono lontani dalle versioni, queste ultime, costruiscono mondi. In un certo senso, paradossale, la differenza tra mondi e versioni del mondo c’è e non c’è, come fa notare Bruner [10].

Sono i sistemi simbolici che contribuiscono alla creazione delle versioni, attraverso operazioni precise: interpretazione, applicazione, invenzione, revisione. Conoscere un mondo significa conoscerlo attraverso differenti modi (stili) e differenti posizioni. Ciascuno dei modi e ciascuna delle posizioni da cui si inizia a conoscere il mondo (ed a influenzarlo e dunque a produrlo), provoca nuove rappresentazioni della realtà. Man mano che il soggetto si sviluppa, impara a vedere lo stesso insieme di eventi da numerose prospettive, che coincidono con dei possibili mondi alternativi. Tale capacità deve essere già presente nei bambini che, come detto precedentemente, dagli esperimenti di Bruner, i bambini dimostrano una certa agilità nel muoversi nella comprensione dei commmutatori deittici. In ognuna delle posizioni che il bambino riesce ad assumere, egli è altrettanto capace di abitare dei criteri di organizzazione che detengono una loro logica. Fu Jean Piaget a dimostrare che la logica interna che guida il bambino è la stessa logica interna che guida lo scienziato, e che conduce verso la serie di operazioni basate su dei principi [11]. Guardare, ascoltare, riflettere, sentire, sono atteggiamenti plasmati dalle attese, dalle posizioni e dalle intenzioni.

Il linguaggio non può mai essere neutrale: «esso si impone un punto di vista non solo sul mondo a cui si riferisce, ma anche sull’impiego della mente nei confronti del mondo» [12]. Il linguaggio detiene intrinsecamente una prospettiva da cui guardare le cose e un atteggiamento nei confronti delle cose stesse. Non solo la mano costruisce e trasforma gli ambienti, ma anche il linguaggio e le regole d’uso. Anche le esperienze dirette, come ricorda Bruner, sono esperienze mediate dal filtro interpretativo di idee (per esempio causa-effetto). Ma una cultura, che è la dimensione che plasma il filtro interpretativo, è un processo continuamente rinegoziato tra i membri. Al centro di tale rinegoziazione c’è sempre il senso delle regole, la gestione del tempo, la gestione dello spazio, le ragioni delle azioni, e l’insieme di indicazioni che regolano l’azione stessa o l’inazione. Tutto questo accade nel mondo sociale, dove ognuno attraverso l’euristica acquisisce informazioni dagli altre, e corregge le proprie. Attraverso il linguaggio si ottengono nuovi bilanciamenti nel rapporto delle conoscenze: parlando e narrando il soggetto trasmette ciò che conosce e acquisisce dal narrare dell’altro che conosce cose sconosciute.

Come rilevato da Roland Barthes, ancora prima della padronanza del linguaggio, il bambino è inserito in un mondo culturale che plasma il suo filtro interpretativo. In una certa misura, il bambino è inserito in una miniaturizzazione del mondo adulto attraverso i giocattoli. L’esempio che porta Barthes riguarda la cultura francese, ma può essere facilmente traslato anche per molte altre culture:

[…] che il francese adulto veda il bambino come un altro se stesso, non c’è esempio che lo dimostri meglio del giocattolo francese. I giocattoli più diffusi sono essenzialmente un microcosmo adulto; sono tutti riproduzioni in formato ridotto di oggetti umani […] le forme inventate sono rarissime: qualche gioco di costruzione, fondato sul genio della piccola invenzione, propone soltanto forme dinamiche. Per il resto, il giocattolo francese significa sempre qualcosa, e questo qualche cosa è sempre interamente socializzato, costituito dai miti o dalle tecniche della vita moderna adulta […] il fatto che i giocattoli francesi prefigurino letteralmente l’universo delle funzioni adulte può solo, evidentemente, preparare il bambino ad accettarle tutte, costituendogli, prima ancora che possa ragionare, l’alibi di una natura che da sempre ha creato soldati, “vespe” e impiegati postali. Il giocattolo fornisce così il catalogo di tutto ciò di cui l’adulto non si meraviglia: la guerra, la burocrazia, la sordidezza, i marziani. […] davanti a questo universo di oggetti fedeli e complicati, il bambino può costituirsi esclusivamente in funzione di proprietario, di utente, mai di creatore; non inventa il mondo, lo utilizza: gli si preparano gesti senza avventura, senza sorpresa né gioia [13].

Di fronte a questo scenario, deve potersi avviare il processo che Bruner chiama intervento riflessivo nelle conoscenze: solo in questo modo un soggetto potrà intervenire, criticare, operare delle scelte sulle conoscenze stesse, in relazione ai propri bisogni. L’azione dell’uomo nel mondo e nella costruzione delle versioni del mondo, non è indipendente né dalla biologia né dalla cultura. La plasticità dell’eredità genetica garantisce l’esplorazione culturale attraverso la formazione e lo sviluppo continuo di nuove possibilità nella formazione delle versioni del mondo. La forza di un concetto culturale che inizia ad avere un certo peso nella verisone del mondo, che inizia a fornire una certa direzione nel mondo, non dipende dalla sua verità o falsità, ma dalla capacità di propagarsi attraverso i veicoli informazionali e comunicativi: se l’idea che l’uomo impara dall’esperienza si diffonde con una certa intensità, allora i soggetti cercheranno di organizzare la società e le istituzioni affinché divenga necessario e semplice che egli impari dall’esperienza.

2. Nelson Goodman: vedere e costruire il mondo

2.1 In quale senso esistono più mondi?

Una domanda, che ne raccoglie due, per cominciare: in quale senso esistono più mondi e che cosa distingue i mondi autentici da quelli spuri? Questo e il successivo paragrafo muovono da questi interrogativi, e ad essi si collegano altre questioni tra cui in che senso è necessario distinguere che cosa costituisce un mondo da quali operazioni sono necessarie alla sua fabbricazione, sia nel senso bruneriano che goodmaniano.

Il primo paragrafo, indaga e riflette sul pensiero di Nelson Goodman nella sua peculiare idea di mondo e versioni del mondo. Il punto di partenza dell’autore nel suo Vedere e costruire il mondo è l’analisi di due enunciati: “il sole è in perpetuo movimento” e “il sole è sempre immobile”. I due enunciati sono in contrasto l’uno con l’altro, ma sono pur sempre entrambi veri. Perchè? secondo l’autore, descrivono mondi differenti attraverso enunciati ellittici, infatti con ancora maggiore precisione si può dire: «nella struttura di riferimento A, il sole è in perpetuo movimento» e «nella struttura di riferimento B, il sole è sempre immobile» [14]; in questo modo, gli enunciati possono essere veri e descrivere lo stesso mondo. Il mondo può essere ‘catturato’ attraverso delle descrizioni, ma tale cattura genera la versione di un mondo, a partire da una struttura di riferimento. L’uomo, in questo mondo, parla, descrive, enuclea, spiega, ragiona attraverso versioni del mondo e formazioni di ulteriori versioni a partire da quelle precedenti; l’universo dell’uomo consiste, secondo Goodmann, e come abbiamo già sottolineato in precedenza, di modi piuttosto che di mondo o di mondi.

Le versioni non nascono solamente nel vivere quotidiano delle persone, ma vengono a formarsi, più o meno direttamente o indirettamente, anche nelle discipline sistematizzate. Infatti, nelle scienze, c’è un ricambio importante di versioni e visioni del mondo. Non solo: anche pittori e scrittori contribuiscono a depositare tra le popolazioni versioni e visioni del mondo: talune vengono lasciate cadere, altre vengono ‘raccolte’ e diffuse, altre ancora vengono relate ad alcune già presenti da tempo. In un mondo, evidentemente possono coesistere versioni contrastanti del mondo stesso. Basti pensare allo stato dell’arte della pittura o delle scienze: in questi campi, all’interno di questi, coesistono posizioni radicali, che talvolta comunicano e talora no. Tutte le posizioni, sono potenzialmente vere entro la struttura di riferimento di un dato artista, di un dato scienziato. Appare sin da subito come un gioco tra pluralisti e materialisti, dove i primi accolgono le scienze nel loro pieno valore, mentre i secondi pretendono il monopolio attraverso un specifico sistema. In ogni caso, la fabbricazione dei mondi parte sempre da mondi che sono già a disposizione, teoricamente e soprattutto operativamente (che circolano già nella società, su maglie che raccordano i cittadini, sino alle terminazioni capillari).

Di seguito, alcuni dei processi individuati da Goodman, essenziali nella relazione tra mondi e la fabbricazione dei mondi a partire da quelli già dati:

  1. composizione e scomposizione: l’operazione di fabbricazione dei mondi in parte consiste in un processo di montaggi e smontaggi, di divisioni di interi in parti e di classificazioni di generi in sottospecie, nell’analisi della complessità in parti di essa, nel tracciare delle linee di confine; dall’altro verso, consiste nel comporre le parti in interi, nel combinare le parti sino a giungere a una configurazione complessa. Durante le operazioni, si usano «nomi, predicati, gesti, immagini» [15]. Un ruolo essenziale viene giocato dal trasferimento metaforico, dove si utilizzano predicati di un senso, come il gusto, ed applicati ai suoni, in questo modo si possono raggiungere nuove organizzazioni del materiale, nuove relazioni nel reticolo dei significati. In questo senso, stessità e non-stessità possono pur sempre appartenere allo stesso reticolo: due città diverse allo stesso stato, due eventi diversi allo stesso oggetto. Con le parole di Sir George Thomson: «C’è sempre qualcosa di diverso […] quel che succede quando dici che ripeti un esperimento è che tu ripeti tutte le configurazioni di un esperimento che una teoria considera rilevanti. In altri termini, ripetendo l’esperimento tu esemplifichi la teoria» [16]. Questo succede anche nell’arte, visto che le esecuzioni possono sembrare talvolta molto differenti, eppure possono avere come nucleo di partenza la stessa opera.
  2. Peso e importanza: tutte le sette classi qui elencate sono presenti nei mondi, cambia la distribuzione dei generi in rilevanti e irrilevanti. Così Goodman: «con il mutare degli interessi e nuovi punti di vista, varia il peso visivo di aspetti quali il volume, il tratto, la postura o la luce, e il mondo regolato di solo poco tempo prima appare stranamente perverso» [17]. Per rappresentare lo stesso soggetto, come nel caso della pittura e della fotografia (in una certa misura, anche nel cinema) si utilizzano schemi categoriali differenti. Un Cristo di Piero della Francesca e uno di Rembrandt subiscono l’influenza dell’organizzazione in schemi categoriali del mondo di appartenenza dell’artista, che in questo caso riguarda una certa Arezzo (Sansepolcro) del Quattrocento e una certa Leida e Amsterdam del Seicento (naturalmente, come detto più sopra, oltre alla localizzazione geografica e storica, bisognerebbe indagare le influenze familiari, scolastiche, sociali). Così, scritture nate per esprimere certe crome sentimentali – tenerezza, nostalgia, mestizia – possono venire percepite, in un’altra epoca differente da quella della loro nascita, come costituite da crome sentimentali non provate e non considerate dall’autore del testo – serenità, tedio, gratitudine. Infine, si sottolinea l’importanza dell’esemplificare e dell’esprimere come «funzioni simboliche referenziali e strumenti del fabbricare mondi» [18]. Peso e importanza non suddividono in modo binario i contenuti di un certo schema categoriale, perché implicati nella formazione delle gerarchie (e quindi non delle dicotomie); a giocare un ruolo centrale in tale fabbricazione, sono evidentemente anche gli ordini quali la rilevanza, l’importanza, l’utilità, il valore.
  3. Ordinamento: mondi che non subiscono decisive mutazioni per rilevanza, possono subirle per ordinamento. Subire un ordinamento significa spostare dalla giustapposizione alla scansione i contenuti della versione di un mondo; in questo senso, i mondi iniziano a differire per «l’ordine di derivazione» [19]. Privato della struttura di riferimento, un mondo risponde secondo un movimento in cui non si trova né moto né quiete, così nulla è prima e dopo. Questi termini vengono inseriti a seguito dell’assunzione di una certa struttura di riferimento, di un certo sistema costruzionale. Le strutture di riferimento, i sistemi costruzionali, servono all’uomo per trattare le grandi quantità e per organizzare il materiale percepito. Anche la scansione temporale della giornata, in 24 ore, 60 minuti, 60 secondi, è evidentemente una costruzione entro un mondo.
  4. Eliminazione e integrazione: la ‘nascita’ di una versione del mondo a partire da una versione precedente comporta eliminazioni e integrazioni, accumuli e filtraggi. In questa fase di interregno, per utilizzare il lessico baumaniano che ben spiega la zona in cui prendono avvio le eliminazioni e le integrazioni, si sviluppano nuove sintesi e si incontrano (o ritornano) in primo piano significati che erano depositati su livelli differenti, meno visibili. La presa di valore di alcuni significati, che entrano a far parte della nuova organizzazione dell’ultima versione del mondo, significa anche una nuova estetica del regime di luce che governa e ordina la vita di una certa popolazione in un certo contesto di una specifica epoca. L’avanzare e il retrocedere, la danza si potrebbe dire, dei significati, che si scambiano, appaiono o riappaiono, si sostituiscono o relazionano, dà vita a nuovi modi del guardare e del dire. Così Goodman: «così facendo egli si adopera a costruire un mondo conforme ai concetti che si è scelto e sottoposto alle leggi universali che si è dato» e ancora «la sostituzione di un sistema analogico con uno digitale, che consiste nell’articolazione in tratti separati, comporta un processo di eliminazione» [20]; per questo l’autore può dire che il passaggio, per esempio, al termometro digitale, equivale all’eliminazione di una certa temperatura che andava posizionando tra 90 e i 90,1; non solo, questo fenomeno accade anche nell’arte: nella comune notazione musicale, non si prevedono note tra do e do diesis.
  5. Deformazione: si sviluppano nuovi punti di vista perché, a partire dai tratti precedenti, la versione del mondo o alcuni degli schemi categoriali che organizzano tale versione, subiscono una vera e propria deformazione; in alcuni campi questo è più evidente: in architettura, mettersi nel sentiero di una nuova formazione delle forme significa necessariamente coinvolgere visivamente e apticamente la popolazione che, consapevolmente o inconsapevolmente, si abituerà a certe curve, ombre, svolte. Deformare non sempre significa dimenticare i modi anteriori. Nell’arte pittorica una deformazione può venire intesa come variazione: ne è un esempio il lavoro di Pablo Picasso a partire da Las meninas di Velazsquez.

2.2 Versioni del mondo e verità

In una versione del mondo si considera verità non solo ciò che viene detto a partire da una specifica struttura di riferimento, ma anche ciò che viene detto in modo metaforico, esemplificato od espresso. La conoscenza diffusa, non sistematizzata, fa verità al pari della conoscenza sistematizzata. Verità, in più, non è solo ciò che viene detto ma anche ciò che viene mostrato nel modo in cui progressivamente viene mostrato. Non solo: quello che risulta falso nel piano del dire entro una certa struttura di riferimento scientifica, può essere vero nel modo metaforico. Il dire e il mostrare, in rapporto alla verità, è sempre dire e mostrare anche il rovescio, per questo esprimere un certo enunciato può sollevare riflessioni o sentimenti rispetto a ciò che non dice l’enunciato stesso; e così mostrare una certa forma o una certa struttura architettonica o visuale può sollevare riflessioni o sentimenti (esperienze) rispetto a ciò che non mostra la struttura architettonica o visuale.

Il fisico considera il suo mondo come quello reale, e attribuisce le eliminazioni, le aggiunte, le irregolarità, le accentuazioni proprie delle altre versioni a imperfezioni di percezione, a necessità pratiche, o a licenze poetiche. […] per l’uomo della strada, la maggior parte delle versioni proprie della scienza, dell’arte e della percezione si distaccano in qualche modo dal servizievole mondo di tutti i giorni [21]. La realtà rispetto a un mondo dipende dall’assunzione di una certa struttura di riferimento, e quindi all’abitudine verso tale struttura.

Seguendo Goodman, se le versioni corrette e i mondi reali sono molteplici, evidentemente non significa che ce ne sono alcune di più adatte rispetto ad altre per perseguire certi scopi o per seguire una certa condotta in una data situazione. Le versioni dei mondi sono dei dispositivi di adattamento, delle ottiche che non fanno leva unicamente sul vero. Per questo si parla di acutezza rispetto al grado di precisione nell’utilizzo di una ottica piuttosto che un’altra, per raggiungere un certo grado di comprensione e dunque di navigazione in una complessità, differente da un’altra, e che naturalmente richiede una ulteriore ottica diversa dalla situazione reticolare precedente. Si tratta sempre di acquisizione di versioni per progressione, e non tanto per fissazione. Una versione scende a poco a poco e si sedimenta nell’organizzazione generale degli schemi categoriali che guidano la singolarità; in questo senso, percepire un fenomeno significa anche produrlo, scoprire una legge che governa il fenomeno stesso, significa progettare e articolare la legge stessa, perché, nella prospettiva goodmaniana, «comprendere e creare vanno di pari passo» [22].

Tuttavia, un soggetto vede solo parti di ciò che ha di fronte. Per un verso, perché è guidato dalle strutture di riferimento che da un lato fanno luce e dall’altro lasciano in ombra quanto non rientra nelle strutture stesse (decine di oggetti, ombre, cenni, angoli che la struttura di riferimento non considera da primo piano), dall’altro verso perché molecole, elettroni, raggi infrarossi che stanno ‘dentro’ gli oggetti e le persone, attorno ad essi e attraverso, non possono essere osservati se non attraverso una apposita strumentazione (che ne altera la forma, il movimento e la relazione, perché la strumentazione si mette -fra, media).

Fabbricare un fatto non è sinonimo di falsificazione, dunque non deve essere contrapposto alla verità. Quando si dice che il sistema geocentrico e il sistema eliocentrico, o il linguaggio in Jean Piaget e il linguaggio in Lev S. Vygotskij sono versioni diverse degli stessi fatti, bisognerà chiedersi di quali fatti si tratta. I mondi vengono fabbricati utilizzando immagini, suoni, simboli, differenti materiali; le versioni sono anche visioni. Ma immagini, suoni, simboli, materiali, non sono portati casualmente per la fabbricazione di un mondo. Seguono pursempre un andamento fornito dalle versioni antecedenti, operando dei tagli o delle estensioni più o meno profonde; delle curvature rispetto all’attenzione e al modo di comprendere quanto è oggetto dell’attenzione stessa. Per esempio, sempre tenendo la coppia geocentrico/eliocentrico linguaggio in Piaget/linguaggio in Vygotskij: prende avvio un processo di ordinamento pià o meno innovativo, con integrazioni che introducono una certa visuale sul medesimo tema, e che inevitabilmente conducono a delle eliminazioni (o retrocessioni) che escludono alcuni lessemi e dunque un certo modo di interpretare il fenomeno, verso una divisione (frazionamento) dei contenuti dell’argomento per le successive elaborazioni e spiegazioni a terzi.

Risulta evidente che i mondi, le versioni dei mondi, di cui dispone una popolazione storico-culturalmente identificabile, vengono ereditati da scienziati, da storici, da narratori e da drammaturghi, pittori, designer, ecc. A fabbricare i mondi sono anche entità fittizie, possibili; Don Chisciotte e Sancho Panza, I Tre Moschettieri, Sherlock Holmes, il commissario Maigret, sono solo alcuni dei personaggi letterari, inventati a tavolino, ma che se presi in modo figurato possono spiegare molti dei comportamenti di soggetti appartenenti a comunità di popolazioni specifiche. Inoltre, alcune operazioni svolte dagli stessi personaggi, come la lotta contro i mulini a vento, possono diventare patrimonio linguistico metaforico di un popolo. «La finzione opera in mondi reali né piu né meno come quel che finzione non è. Cervantes, Bosch e Goya, né piu né meno di Boswell, Netwon e Darwin, ereditano, disfano, rifanno, replicano mondi reali, rimaneggiandoli in modi importanti e a volte anche oscuri ma alla fine riconoscibili, cioè proprio ri-conoscibili» [23].

Tornando alla questione della verità, si può inoltre aggiungere che alcune verità possono ‘stonare’ se applicate in un’epoca differente da quella in cui sorgono, in una cultura differente da quella che le ha sviluppate e messe alla prova. Allora, il soggetto si accorgerà che anche la verità può ‘coprirsi’ di alcune qualità che solitamente vengono considerate distanti dalla stessa, come per esempio la ristrettezza, la noia, la bizzarria, la complicatezza. In Vedere e costruire il mondo, Goodman ne da un esempio ironico ma allo stesso tempo molto efficace; si tratta della storia del secondino: «avendo l’ordine di sparare ai suoi prigionieri se quelli provano a fare una mossa, di colpo comincia a sparare su tutti quei disgraziati spiegando poi che i detenuti si stavano muovendo velocemente intorno all’asse terrestre e intorno al sole» [24]. Di fatto, il secondino ha applicato una verità di una certa struttura di riferimento all’interno di una situazione che richiedeva una verità con un grado maggiore di utilità e coerenza rispetto a quella che ha deciso di utilizzare, che si mantiene con un alto grado di utilità e coerenza ma in una situazione ben differente [25]. La verità dunque ha a che fare con l’efficacia, che significa che una asserzione è vera, una rappresentazione risulta corretta, se catturata e lasciata ‘cadere’ in e per un mondo cui si adatta.

3. Conclusione

La data 30/05/2023, giorno in cui è stata scritta questa conclusione, è vera solo nel quadro del calendario gregoriano, e così la decisione che questa maglia è di colore rosso dipende dal modo in cui una certa cultura suddivide lo spettro dei colori. Willard van Orman Quine, Nelson Goodman, Jerome S. Bruner, Thomas Kuhn sono solo alcuni degli autori che si sono occupati delle rilevazioni in merito ai significati della verità, della falsità e della finzione entro specifiche versioni dei mondi.

Nel 1993, durante le sue lezioni americane, Umberto Eco osservava:

non è per esperienza che so che Napoleone è morto nel 1821, anzi se dovessi basarmi sulla mia esperienza non potrei neppure dire che sia esistito (qualcuno ha anzi scritto un libro per dimostrare che era un mito solare); non so per esperienza che esiste una città chiamata Hong Kong e non è neppure per esperienza che so che la prima bomba atomica funzionava per fissione e non per fusione – di fatto è dubbio che io sappia bene come funziona la fusione atomica. Come ci insegna Putnam, esiste una divisione sociale del lavoro linguistico, che è poi una divisione sociale del sapere, per cui io delego ad altri la conoscenza di nove decimi del mondo reale, riservandomi la conoscenza diretta di un decimo [26].

E così nei mondi finzionali della letteratura, come ad esempio le fiabe: accettiamo l’esistenza di lupi e di altre entità con sets di comportamenti talvolta molto distanti dalla realtà quotidiana, ma è altresì vero che, prima della lettura di una fiaba e subito dopo, ognuno ritorna nella struttura di riferimento in cui i lupi vengono descritti come stabilito nei congressi di zoologia. Queste non sono più o meno chiare di come i lupi vengono descritti nelle fiabe: si tratta di molteplici strutture sul medesimo oggetto, dentro una rete di eventi.

Ancora Eco, a proposito della finzionalità nell’opera di Alexander Dumas:

Ne I tre moschettieri si dice che Buckingham sia stato pugnalato da un certo Felton, che era uno dei suoi ufficiali, e per quel che ne so si tratta di notizia storica. In Venti anni dopo si dice che Athos abbia pugnalato Mordante, il figlio di Milady, e certamente si tratta di verità finzionale. Ma che Athos abbia pugnalato Mordante rimarrà come verità indiscutibile sinché esisterà al mondo una sola copia di Venti anni dopo, e persino se qualcuno in futuro inventerà un metodo interpretativo post-decostruzionista. Invece ogni storico serio deve sentirsi pronto a rinunciare all’idea che Buckingham sia stato ucciso da uno dei suoi ufficiali, nel caso si scoprissero nuovi documenti negli archivi britannici. In tal caso che Felton abbia pugnalato Buckingham diventerà storicamente falso: ma ciò non toglie che rimarrà narrativamente vero (nel mondo de I tre moschettieri) [27].

La percezione del mondo e la formazione di versioni su di esso ad opera dei sistemi rappresentazionali e delle qualità del pensiero rilevate da Bruner, vengono inevitabilmente influenzate da tutto il materiale che i soggetti-fruitori conoscono e frequentano; ognuna delle arti presenti e vive nella società, altera la nozione di verità e per certi versi rende di più complicata verifica la distinzione tra verità e falsità nella realtà rispetto a quanto non si possa enucleare, a proposito di questa antinomia, nel mondo finzionale della letteratura.

La memoria si pone dentro questo discorso come collante delle cose e degli eventi; la memoria sia personale che collettiva vivifica il racconto storico dell’Io, che costitutivamente si pone come naturale continuazione di colui che (secondo i genitori e una certa documentazione) è nato a quell’ora, di quel giorno, in quel luogo; tuttavia, ognuno confonde continuamente la memoria individuale con quella collettiva, e «siamo portati spesso a confonderle, come se della nascita di nostra madre (ma infine anche di quella di Giulio Cesare) avessimo avuto la stessa esperienza oculare che abbiamo avuto del nostro ultimo viaggio» [28].

Enrico Orsenigo

Ph.D. Student in Learning Sciences and Digital Technologies
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

Note

  1. J.S. Bruner, Psicologia della conoscenza [1973], traduzione di S. Dinelli, Armando, Roma 1976, pp. 443-444.
  2. ivi, p. 448.
  3. ivi, p. 457.
  4. ivi, p. 458.
  5. J.S. Bruner, La mente a più dimensioni [1986], traduzione di R. Rini, M. Carpitella, Laterza, Roma-Bari 1993, p. 119.
  6. I. Kant, Critica della ragion pratica [1788], traduzione e cura di P. Chiodi, UTET, Torino 1970.
  7. D. Hume, Trattato sulla natura umana [1739], a cura di E. Lecaldano, Laterza, Roma-Bari 2008.
  8. N. Goodman, Of mind and other matters, Harvard University Press, Cambridge Massachusetts 1984, p. 30.
  9. ivi, p. 31.
  10. J.S. Bruner, La mente a più dimensioni [1986], traduzione di R. Rini, M. Carpitella, Laterza, Roma-Bari 1993, p. 123.
  11. J. Piaget – B. Inhelder, Dalla logica del fanciullo alla logica dell’adolescente, traduzione di C. Andreis, Giunti-Barbera, Firenze 1971.
  12. J.S. Bruner, La mente a più dimensioni [1986], traduzione di R. Rini, M. Carpitella, Laterza, Roma-Bari 1993, p. 149.
  13. R. Barthes, Miti d’oggi [1970], traduzione di L. Lonzi, Einaudi, Torino 1975, pp. 52-53.
  14. N. Goodman, Ways of Worldmaking, Harvester Press, Brighton 1978, p. 3.
  15. ivi, p. 8.
  16. G.P. Thomson, Some thoughts on scientific method. Boston Studies in the Philosophy of Science, vol. 2, Humanities Press 1965.
  17. N. Goodman, op. cit., p. 12.
  18. ivi, p. 13.
  19. ivi, p. 14.
  20. N. Goodman, op. cit., p. 35.
  21. N. Goodman, op. cit., pp. 22-23.
  22. ivi, p. 25.
  23. ivi, p. 123.
  24. ivi, pp. 140-141.
  25. H. Putnam, Representation and Reality, MIT Press, University of Idaho 1988.
  26. U. Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi, La Nave di Teseo, Milano 1994, p. 115.
  27. ivi, p. 117.
  28. ivi, p. 123.

Bibliografia

  • D. Hume, Trattato sulla natura umana [1739], a cura di E. Lecaldano, Laterza, Roma-Bari 2008.
  • G.P. Thomson, Some thoughts on scientific method. Boston Studies in the Philosophy of Science, vol. 2, Humanities Press 1965.
  • H. Putnam, Representation and Reality, MIT Press, University of Idaho 1988.
  • I. Kant, Critica della ragion pratica [1788], traduzione e cura di P. Chiodi, UTET, Torino 1970.
  • J. Piaget – B. Inhelder, Dalla logica del fanciullo alla logica dell’adolescente, traduzione di C. Andreis, Giunti-Barbera, Firenze 1971.
  • J.S. Bruner, La mente a più dimensioni [1986], traduzione di R. Rini, M. Carpitella, Laterza, Roma-Bari 1993.
  • J.S. Bruner, Psicologia della conoscenza [1973], traduzione di S. Dinelli, Armando, Roma 1976.
  • N. Goodman, Ways of Worldmaking, Harvester Press, Brighton 1978.
  • N. Goodman, Of mind and other matters, Harvard University Press, Cambridge Massachusetts 1984.
  • R. Barthes, Miti d’oggi [1970], traduzione di L. Lonzi, Einaudi, Torino 1975.
  • U. Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi, La Nave di Teseo, Milano 1994.

© COPYRIGHT Illustrazione di Raffaella Cocchi per BRAINFACTOR Tutti i diritti riservati.

1 Trackbacks & Pingbacks

  1. Dove sta andando il mondo? | BRAINFACTOR

Leave a comment

Your email address will not be published.


*


Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.