Il pensiero terrorista

Negli ultimi anni lo studio del terrorismo ha attirato l’attenzione di differenti settori della ricerca; questa tendenza, ovviamente, è stata amplificata dall’attacco devastante alle Twin Towers e dalla conseguente ridefinizione, nei vari settori, di politiche nazionali, transnazionali ed in genere di gran parte delle regole che disciplinano i comportamenti dei cittadini.

Questa disamina ha come oggetto di studio il think terrorist, come base cognitiva per l’applicazione di una dottrina di natura preventiva. La prospettiva basilare utilizzata è quella della Prevenzione Situazionale, funzionale all’analisi del pensiero terrorista, alla sua elaborazione ed alle sue fasi.

Key words: terrorismo, think terrorist, prevenzione, gruppo terroristico, reclutamento, Al Qaeda.

Abstract

In recent years the study of terrorism has focused the attention of several research areas, a trend which of course, has been amplified by the attack against the Twin Towers and the consequent redefinition, in various sectors of national policies and transnational policies, of most of the rules of our societies.

This analysis has as its main aim the study of the concept of “think terrorist”, by using the criminological doctrine of the Situational Prevention for a functional analysis of the terrorist behavior in all its stages.

Key words: terrorism, think terrorist, prevention, terroristic group, recruitment, Al Qaeda.

1.1 Introduzione

Una premessa fondamentale alla base di questo studio è insita nella
necessità di adottare un processo di immedesimazione che porti ad
acquisire la prospettiva decisionale del terrorista e del gruppo
terroristico. Bisogna cercare di vedere il mondo con gli occhi del
terrorista e del suo gruppo e determinare un modello di comprensione
relativo a quelle che sono le sue dinamiche decisionali interne ed
esterne.

Con scelte interne si identificano quell’insieme di considerazioni
personali atte a formulare una decisione basata su processi di
interiorizzazione, mentre con quelle esterne si intendono le
varianti caratterizzanti situazioni che ruotano (con vari livelli di
influenza) attorno al soggetto/gruppo. La Prevenzione Situazionale
(dottrina enunciata principalmente da Clarke & Newman, 1993,
1995, 1997, 1998, 2006) è utilizzata per la creazione di un modello
di analisi relativo ad una situazione interna ed esterna atto a
prevenire tutte le dinamiche (interne ed esterne) considerate.

1.2 Le dinamiche decisionali esterne ed interne

Come punto di partenza è utile sottolineare che ogni individuo,
anche il più rilassato, analizza in tempi variabili e soggettivi le
molteplicità di situazioni che riguardano costantemente l’esistenza
di breve e di lungo termine (Brent, 2008). Questo si applica a
svariate circostanze, dalle più elementari scelte quotidiane imposte
dalla everyday life fino alle scelte da ponderare con più attenzione
che richiedono un impegno mentale decisamente più approfondito.

L’opzione del crimine e quindi anche quella del terrorismo sono
altresì una preferenza di natura economica anche se grado e livello
decisionale sono molto più complessi rispetto ad una decisione
identificabile come comune. La scelta parte da un’analisi
solitamente accurata di costi/benefici in cui ostacoli ed
opportunità hanno un ruolo fondamentale (Clarke & Newman, 2006).

Nello specifico, si può argomentare:

  • le opzioni ed il tempo sono sempre determinati. La possibilità
    di scegliere di compiere un atto terroristico comprende sempre
    un vincolo temporale. Il potenziale terrorista attraverso un
    percorso ben delineato e sempre ripetibile analizza una serie di
    alternative rappresentate da una valutazione ideologica e dalla
    dicotomia costi/benefici che si inquadrano sempre in un
    intervallo temporale. Con estrema semplicità, le decisioni di
    appartenenza ed affiliazione sono sempre relazionate al tempo e
    non si assiste da parte del potenziale terrorista ad un
    atteggiamento atto a rimandare la decisione stessa (Clarke &
    Newman, 2006).
  • Come accennato i costi ed i benefici all’interno di una
    dinamica decisionale sono sempre presenti. In particolare, nella
    prospettiva preventiva adottata è funzionale implementare una
    politica atta a scoraggiare qualsiasi comportamento che porti
    all’ingresso nel gruppo terroristico, aumentando le difficoltà
    (generando ostacoli) e riducendo gli strumenti (allontanando
    così il target) del potenziale terrorista (Sageman, 2004).
  • L’elemento remunerativo, in termini di guadagno economico, non
    è mai da trascurare. Si ritiene erroneamente che la totalità dei
    terroristi abbia una connotazione di natura esclusivamente
    ideologica con una logica di appartenenza dettata spesso da
    motivazioni di natura religiosa (per esempio con l’applicazione
    del concetto di jihad). Questo è verosimile solo in una piccola
    percentuale dei casi trattati, infatti la maggior parte dei
    terroristi sceglie di appartenere ad un gruppo o di compiere un
    singolo atto per un ritorno economico, quindi per un beneficio
    di natura prettamente materiale e nettamente predominante
    rispetto a quello che è l’aspetto dottrinale (Clarke &
    Newman, 2006, p. 32).
  • Il terrorista ha dei costi, sempre presenti e talvolta davvero
    importanti. Si pensi per esempio ad un periodo di addestramento
    in zone impervie ed isolate sotto un regime disciplinare
    assolutamente più rigido di quello presente in un organismo
    militare riconosciuto (Petersson & Murawiec, 2012).
    L’enfatizzazione sociale dei costi ed un’offerta di alternative
    legali porta il potenziale terrorista a scegliere di non
    partecipare all’attività di un gruppo, ma di vivere ed operare
    seguendo i dettami della società civile (Clarke & Newman,
    2006, p. 34).
  • La fuga ed il rischio detentivo sono due elementi ben presenti
    nei processi decisionali del terrorista (o del potenziale
    terrorista). Appare molto chiaro come sia necessario porre in
    essere degli interventi sugli obiettivi a rischio che portino ad
    un significativo aumento delle difficoltà per favorire
    l’allontanamento del soggetto dal luogo prescelto per il
    compimento dell’atto. Riguardo la detenzione, una proposta
    detentiva con pene certe e significative costringerà il soggetto
    ad un percorso di riflessione che lo porterà a pesare la
    possibilità di trascorrere molti anni della sua esistenza
    all’interno di una struttura detentiva (Clarke & Newman,
    2006).

Conoscere tutte queste specifiche, anche per costruire ed applicare
un progetto normativo efficace, appare quanto mai indispensabile
all’interno di una società civile. E’ semplice dimostrare e
comprendere che per combattere il terrorismo e creare una seria
prospettiva specifica applicativa della Prevenzione Situazionale sia
indispensabile partire da un’analisi che abbia come elemento
basilare quello che è il modo di pensare del terrorista. Una
disamina basata sul concetto think terrorist permette quindi di
avere a disposizione validi strumenti da utilizzare a scopi
preventivi ed in generale di difesa.

1.3 Le dinamiche decisionali esterne ed interne in relazione al
gruppo

Il modello di indagine proposto può essere applicato al processo
decisionale del singolo individuo potenziale terrorista ed allo
stesso modo alla dinamica valutativa propria di un gruppo già
operativo. Il gruppo pone in essere una serie di analisi molto
simili a quelle attuate dal singolo ed il vantaggio dell’atto
terroristico porta chi decide a bilanciare minuziosamente quelle che
sono le prospettive di successo e l’effetto che questo porterebbe in
termini di visibilità; si ragiona quindi in termini di puro feedback
e conseguente analisi. Il tutto estremamente correlato al concetto
di rischio ed all’insieme di valutazioni costi/benefici presenti per
il singolo (Clarke & Newman, 2006).

Sappiamo che il gruppo terroristico necessita di una serie
articolata di infrastrutture (Albanese, 2004) senza le quali anche
solo l’idea di un’azione criminale sarebbe improponibile. Il
contributo economico (con l’esempio di Al Qaeda su tutti) è
fondamentale perché la rete terroristica necessita di una serie di
strumenti molto costosi e di difficile reperibilità, armi in primis
(Mullins, 2012). Nel processo decisionale un elemento non
indifferente che richiede molta attenzione è il superamento degli
ostacoli logistici e delle misure di sicurezza che gravitano intorno
ad un determinato bersaglio. Questa fase è quella in cui il pensiero
del terrorista è prettamente basato su un accurato procedimento di
valutazione che avrà estrema rilevanza in relazione alla decisione
finale di compiere o meno l’atto (Cornish, Clarke & Felson,
1998).

Nell’ambito del discorso relativo all’ottenimento degli strumenti
c’è da sottolineare come nei molti casi analizzati sia stato
fondamentale il sostegno della criminalità comune la quale fornisce
un valido contributo nel fornire un tipo di supporto logistico
essenziale all’interno delle dinamiche decisionali generali. Un
esempio molto semplice, oltre al caso ovvio delle armi, può essere
quello dei documenti falsi e delle SIM dei telefoni cellulari
necessari per le comunicazioni in loco (Collins & McCombie,
2012). Potrebbero apparire come situazioni molto banali, di facile
gestione e relative a degli aspetti a prima vista di normale
amministrazione per i terroristi.

La realtà è invece differente: si pensi ad un terrorista fermato
dall’autorità competente e trovato senza un valido documento di
identità; sicuramente sarebbe trattenuto, posto in stato di fermo e
sottoposto ad una serie di indagini che comprometterebbero la sua
posizione facendo decadere l’intero progetto terrorista. Stesso
discorso per la registrazione della SIM: un conto è avere una SIM
registrata a nome di una persona che risiede nel luogo
dell’obiettivo degli attentatori, mentre tutt’altra cosa è invece
detenere una SIM intestata ad un cittadino straniero. Infatti, i
controlli sono molto più attenti ed attuati con una percentuale
maggiore nei confronti dei cittadini stranieri (Clarke & Newman,
2006).

Una volta compiuto l’attentato il terrorista ed il gruppo che
progetta l’atto terroristico hanno il problema non indifferente di
trovare una via di fuga che garantisca di non incorrere in un fermo
di polizia o peggio ancora in un uccisione durante l’allontanamento
dal bersaglio. E’ una logica conseguenza che per un gruppo che sta
predisponendo un attentato non suicida la non possibilità di trovare
una via di fuga abbastanza sicura porti alla rinuncia e quindi ad
abbandonare completamente il progetto criminoso.

1.4 Il Think Terrorist

E’ molto utile analizzare schematicamente quelli che sono gli
obiettivi dei gruppi terroristici (Clarke & Newman, 2006, p. 24)
al fine di carpirne il pensiero e creare un modello di contrasto
efficace. Nello specifico si identificano i seguenti punti:

  1. causare il più alto numero di danni possibile.
  2. Generare un clima di paura.
  3. Attirare l’attenzioni del mass-media.
  4. Alterare la cosiddetta everyday life.
  5. Reclutare nuovi affiliati.
  6. Danneggiare il commercio e l’industria.
  7. Indebolire l’autostima delle forze dell’ordine.
  8. Ottenere svariate concessioni (rilascio di prigionieri,
    rimozione di truppe, cambio di determinate politiche, ecc.)
  9. Eliminare avversari e/o simboli ritenuti offensivi.
  10. Umiliare i governi.
  11. Forzare i governi ad adottare reazioni molto forti.
  12. Mostrarsi più organizzati di quello che si è in realtà per
    avere più potere.
  13. Dare l’impressione di essere una forza compatta ed una rete
    omogenea.
  14. Mostrare agli appartenenti la forza del gruppo.
  15. Intimidire le fazioni terroristiche rivali.
  16. Mantenere la disciplina all’interno del gruppo.
  17. Utilizzare nell’operazione i nuovi adepti.
  18. Intimidire la popolazione residente nelle zone dei campi di
    addestramento.
  19. Sfruttare quelle che i terroristi considerano le debolezze
    della democrazia (esistenza di un diritto, libertà di parola,
    leggi contro la tortura, provvedimenti inerenti i limiti alla
    detenzione antecedente il processo, ecc.).
  20. Rompere la volontà/obiettivi del nemico (Clarke & Newman,
    2006).

1.5 La Prevenzione

Si è visto quindi come il processo decisionale dipenda da diversi
fattori sui quali è necessario un intervento mirato da parte dei
governi e dei servizi di sicurezza. A queste condizioni è funzionale
aggiungere anche degli elementi precostituiti che possono avere
degli effetti devastanti:

  1. prisonizzazione. Dottrina criminologica relativa agli effetti
    del carcere sul potenziale terrorista e soprattutto applicabile
    allo sviluppo di possibili contatti tra il condannato detenuto
    per terrorismo ed il criminale comune, che può quindi subirne
    l’influenza ed essere ideologizzato (Clarke & Newman, 2006).
  2. Ghettizzazione. Intesa come insieme di azioni escludenti
    attraverso le quali un gruppo sociale dominante isola
    fisicamente e moralmente un sottogruppo tacciato di inferiorità
    portandolo all’emarginazione ed all’esclusione sociale. Questa
    condizione genera un’estrema tensione sociale che può favorire
    il pensiero terrorista in termini di adesione al gruppo (Clarke
    & Newman, 2006).
  3. Mancata integrazione delle generazioni future. Elemento molto
    importante per i componenti giovani delle cosiddette famiglie di
    stranieri che produce un isolamento dell’individuo dal resto
    della società che in questo caso non è direttamente responsabile
    per l’attuazione dei comportamenti escludenti. Pesano quindi
    nella fattispecie le scelte del gruppo famigliare di
    appartenenza che contesta le regole legislative, sociali,
    religiose, di costume, ecc. dello stato ospitante e spinge più o
    meno volontariamente le nuove generazioni ad un isolamento che è
    determinante nella logica del pensiero del gruppo terrorista,
    soprattutto in funzione del reclutamento (Clarke & Newman,
    2006).
  4. Esclusione sociale. Fenomeno che porta, sia in ambito di
    gruppi stranieri, sia in gruppi definibili come autoctoni ad una
    possibile collaborazione con i terroristi o ad una adesione
    all’interno dei gruppi stessi (Clarke & Newman, 2006).

In riferimento alla dottrina della Prevenzione Situazionale,
esistono delle misure da adottare, completamente relazionabili ad
una prospettiva basata sulla difesa preventiva (Clarke & Newman,
2006):

  1. non demonizzare i terroristi. Aumenta la loro rabbia ed i
    continui attacchi nei loro confronti possono generare dei
    sentimenti di simpatia da parte delle popolazione.
  2. Il terrorismo, come detto, deve essere sempre considerato e
    trattato in una prospettiva specifica, mai in maniera generale e
    decontestualizzata. Il relazionarsi al terrorismo in termini
    generali potrebbe anche essere utile a livello comunicativo, ma
    quando si ha l’esigenza di uno studio su un determinato
    bersaglio con lo scopo di preservarlo ed evitare un qualsiasi
    attacco, risulta necessario ragionare esclusivamente su quel
    target evitando modelli precostituiti. Questo si applica
    ovviamente alla disamina del singolo e del gruppo (Clarke &
    Newman, 2006).
  3. L’impostazione ideologica (reale o fittizia) che segue un
    attacco terroristico genera sempre nel pubblico un enorme
    interesse. E’ utile sottolineate che ai fini dell’analisi e
    della prevenzione l’ideologia propria dell’atto appena compiuto
    è assolutamente irrilevante, mentre può essere utilizzata in una
    prospettiva preventiva in relazione agli attentati futuri.
    Spesse volte inoltre si è riscontrato come l’ideologia non sia
    altro che uno strumento creato di proposito per ritardare le
    indagini degli investigatori e confondere chi analizza/previene
    l’evento terroristico. Si può applicare lo stesso discorso
    relativo alla totale inutilità per chi cerca di distruggere o
    semplicemente di smontare l’ideologia motivazionale in questione
    (Clarke & Newman, 2006, p. 26).
  4. Le singole fasi analizzate e discusse costituiscono il
    background di chi opera nell’ambito della Prevenzione
    Situazionale, soprattutto in relazione alla prospettiva
    analizzata, cioè il think terrorist. Bloccare o anche solo
    ostacolare un’unica attività di quelle considerate costituisce
    nella maggior parte dei casi un modo per far desistere i
    terroristi in relazione all’intera operazione contro l’obiettivo
    prescelto (Clarke & Newman, 2006, p. 27).

1.6 Conclusioni

I concetti esposti sono chiarificatori di come sia da una
prospettiva interna, sia da un processo esterno il percorso di
interiorizzazione del pensiero terrorista rappresenti un elemento
estremamente importante nella lotta al terrorismo ed un aspetto
fondamentale della dottrina criminologica concernente la Prevenzione
Situazionale.

Il gruppo terrorista necessita in ogni occasione di personale
motivato e capace che antecedentemente all’affiliazione si
auto-analizza attraverso una profonda valutazione costi/benefici.
L’esempio dei kamikaze, addestrati sin dall’infanzia con la
complicità dei genitori e dei parenti (attraverso un lungo processo
di training), è chiarificatore di quanta interiorizzazione necessiti
il compimento di certi atti (Brym & Araj, 2012).

La competenza tecnica è altresì una valore fondamentale, si pensi
per esempio alla costruzione di particolari armi (nucleari, chimiche
e batteriologiche) ed all’utilizzo di determinati ordigni (Clarke
& Newman, 2006). Il caso dei piloti suicidi del 9/11 è un
esempio da manuale di terroristi motivati e perfettamente addestrati
che dimostra quanto sia rilevante la variabile decisionale
all’interno del discorso generale e particolare sul terrorismo.

Marco Soddu

Bibliografia

Libri

  1. Clarke, R.V.G. & Newman, G.R. (2006). Outsmarting the
    terrorists, Westport (CT): Praeger Security International/Global
    Crime and Justice.
  2. Cornish D.B., Clarke, R.V.G. & Felson M. (1998).
    Opportunity Makes the Thief: Practical Theory for Crime
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Riviste

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  2. Petersson, D. & Murawiec, L. (2012). The Mind of Jihad, in
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  3. Sageman, M. (2004). Understanding Terror Networks,
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  4. Brym, R.J. & Araj, B. (2012). Are Suicide Bombers
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  5. Mullins, S. (2012). Iraq versus lack of integration:
    understanding the motivations of contemporary Islamist
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  6. Collins, S. & McCombie, S. (2012). Stuxnet: the emergence
    of a new cyber weapon and its implications, in Journal of
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Internet

  1. Albanese, J. (2004). New Perspectives on Terrorism, Journal of
    National Defense Studies, Retrieved February 10, 2014, from
    https://www.ncjrs.gov/
  2. Brent, S. (2008). A Look at Terrorist Behavior: How They
    Prepare, Where They Strike. National Institute of Justice.
    Retrieved February 10, 2014, from https://www.ncjrs.gov/

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