Non sei pigro, demotivato o bloccato
dopo anni in cui hai vissuto
in modalità di sopravvivenza.
Sei esausto.
È diverso.
(Nakeia Homer)
La casa è abbastanza silenziosa, un luogo amato e sicuro.
Magari non si abita neanche soli, ma con qualcuno di caro.
Si sentono, al di fuori, dei rumori comuni, di strada, persone, traffico, vita.
Non c’è oggettivamente alcun motivo per sentirsi in una condizione di vulnerabilità.
Eppure si è lievemente tachicardici; ci si sente inquieti, si fatica a stare fermi.
Gli stimoli sensoriali vengono come amplificati, soprattutto l’udito; i pensieri non si arrestano, è difficile seguirne il filo o mantenere un livello di conversazione socialmente accettabile, se c’è chi ci sta parlando.
I muscoli sono tesi – collo, schiena, forse anche una cefalea muscolo-tensiva, forse anche della nausea.
Magari si cambia posizione sovente, e pur essendo seduti le gambe non stanno ferme, o si è un poco sudati.
Un senso di angoscia non abbandona: la sensazione di un pericolo incipiente permane.
E si tenta di celare questo stato, ma in verità ci si distrae con un nonnulla.
In questa immagine si è sull’urlo del panico, vicinissimi, e l’ansia è intensa, ma la persona potrebbe riuscire a mantenere un comportamento adeguato, anche se a caro prezzo – se ha acquisito abitudine, può fingere sufficientemente, non facendo trasparire che ciò che dovrebbe essere un attimo piacevole è in realtà uno sforzo titanico, per lei.
E come ha imparato? Perché le capita sovente, di viversi così, perché più e più volte al giorno si ritrova a vivere questo stato.
Cosa le sta succedendo? Cosa accade quando un meccanismo necessario alla sopravvivenza, tarato per essere attivo quel tanto che basta a metterci al riparo da ciò che mina la nostra integrità (i leoni ai tempi delle caverne, uno sconosciuto che ci segue di notte) resta acceso?
Quando il trigger che fa scattare diviene pervasivo, non è più una fobia specifica, ma un’alta marea che si diffonde?
Come si fa?
Non è mai tutto solo nella testa.
Non è mai tutto solo nel corpo.
La dicotomia ormai sta finalmente languendo, e ci si ritrova a osservare un’interezza che, in questa sorta di dipinto, è scossa da una disregolazione profonda, che può chiaramente avere varie sfumature, ma che rende sempre e comunque compromessa la qualità di vita.
Parlare di ansia cronica significa spalancare orizzonti che vanno da esperienze fortemente traumatiche che, se ulteriormente esacerbate nelle manifestazioni, sfociano nella tragicità del disturbo post traumatico da stress; ma le gradazioni sono appunto molteplici, e sono parecchie le situazioni che possono condurre, psicologicamente e fisiologicamente a questo quadro, magari più sfumato, più contenuto, ma ad ogni modo fonte di sfinimento e di vitale cerca di aiuto.
È doveroso, pur appunto volendosi allontanare da una visione dicotomica, precisare che in una situazione fisica del genere è fondamentale uno screening medico per escludere motivazioni psichiatriche non indagate, neurologiche, endocrinologiche o altro ancora, che potrebbero essere protagonisti in questo essere congelati del tempo – prima di poter procedere con un approccio psicologico, che però dovrebbe essere multidisciplinare, e questo è il punto focale di questo articolo.
Perché quando si parla di ansia cronica, si parla di quel preciso individuo incapace di rilassarsi, anche solo un poco, o, se ce la fa, è in grado di rado, con superficialità, con tutto quel che ne deriva in termine di sonno, cognizione, capacità lavorativa e, in primis, serenità.
Nessun versante viene risparmiato dall’ansia, quando fedele compagna: ogni profilo di ciò che potrebbe essere creato e assaporato viene spento nel suo potenziale dalla quantità di energia utilizzata per fronteggiare ciò che è maladattivo, dalle ombre che popolano tanti istanti di seguito.
E quando si parla di ansia cronica dobbiamo ricordarci di un “grande escluso” dalla nostra attenzione, un preziosissimo nume tutelare che ci consente di vivere mentre lui si occupa di infinite funzioni vitali date per scontate, un protagonista che come sostengo spesso, viene spesso trascurato: il Sistema Nervoso Autonomo (SNA).
Che non è certamente attore unico di stati complessi dell’essere, ma che gioca un ruolo primario che non si può sottovalutare, nel triste fermoimmagine iniziale.
Quando l’allarme non si spegne più
Il SNA svolge un’impressionante pletora di funzioni essenziali.
Nel fondersi di ciò che è prettamente considerato psicologico e ciò che è visto come squisitamente biologico (lo so che sono ripetitiva nel rigetto di questa distinzione), il SNA ci racconta di come esperienze che passano per la Psiche reazioni dell’organismo si possono compenetrare, divenendo inscindibili in molte dinamiche, tra cui, appunto, l’ansia cronica.
Per brevità, possiamo ricordarne alcuni dei lunghi possibili percorsi che conducono a uno stato ansiogeno che non trova tregua, nel ventaglio delle sfumature, sottolineando come si vada da scenari che sconvolgono ogni equilibrio, come quelli di guerra e violenza, eventi che hanno messo a repentaglio l’integrità personale, alla più vasta gamma di sfortunate possibilità che sono più diffuse, ma non di meno lesive.
Per cui possiamo far riferimento a:
- numerosi e possibili traumi importanti o ricorrenti (chiaramente ogni accaduto può essere vissuto come drammatico, ma qui ci riferiamo a eventi oggettivamente di alto livello traumatico);
- condizioni stressogene quotidiane e prolungate, magari su più fronti del vivere, con costante richiesta di farsi carico di responsabilità, di affrontare attivamente problematiche personali e familiari;
- esperienze negative precoci che non hanno permesso un buon adattamento in termini di regolazione nell’affrontare cognitivamente ed emotivamente la vita.
Si evidenzia che il disturbo post traumatico da stress è stato citato perché organicamente radicato nella sofferenza inferta anche a livello del SNA, ma non è sinonimo di ansia cronica, che è comunque una condizione altamente invalidante, spesso svilita come fosse problema secondario e affrontabile “con un po’ di volontà” (vecchio adagio che crudelmente ritorna, nella patologia mentale).
E disquisendo del Sistema Nervoso Autonomo, se ci focalizziamo sull’ansia stiamo puntando i riflettore sulla branca “simpatica” del SNA – il simpatico è il genitore della famosa Fight or Fly – “combatti o fuggi”, la reazione che ci ha permesso di sopravvivere di fronte ai predatori e alle insidie.
Il SNA è terribilmente efficiente nel consentire questa risposta necessaria – è atavico, indelebile, imprescindibile.
Predispone il nostro organismo, a livello multisistemico, alla fuga o alla lotta, non è agire che può fallire: il corpo tutto, dai muscoli, al cuore, alla pressione, a sostanze prodotte per renderci in grado di auto-conservarci salvandoci, vengono immediatamente messi in moto, sequenze articolate di assestamenti che nella quieta normalità non vengono scomodate.
Ovvio che il SNA simpatico ha molte altre sfaccettature, ma non saremmo neanche qui a leggere queste righe, senza di lui – anche solo per il motivo che in chissà quante occasioni, non per forza tragiche, ci ha consentito di avere un idoneo feedback agli stressor di cui un’esistenza non può essere priva.
Ma quando ciò che ci ha spaventati e spronati è ormai lontano, ci si può rilassare – avete presente anche la semplice stanchezza che si prova quando finalmente si torna a casa dopo una giornata di impegni intensi e che magari agitavano un poco?
Qui è il SNA parasimpatico (per voler essere semplicistici) a consentire uno stato di distensione, che istintivamente aiutiamo magari facendo qualcosa di tranquillizzante – “ho solo voglia di mettermi sul divano con un libro e una coperta!”.
Quindi, il sistema Fight or Fly è un allarme che non può essere ignorato, che ci serve, ma è strutturato per autolimitarsi nel tempo.
E invece eccolo che suona, stridente, snervante, incastrato: magari in passato i ladri c’erano davvero, ed è stato spaventoso ed è stato salvifico, essere stati avvisati.
Ma cosa succede se l’allarme ricomincia a innalzare i suoi sgradevoli decibel, è scattato per sbaglio, e non si riesce più a disattivarlo?
Magari ci è stato insegnato il codice, lo ricordiamo, ma non funziona.
Questa è un’immagine forse banale, ma rende l’idea di ansia cronica, uno stato di perpetua attivazione, magari a volume più basso rispetto a quel che accade nel reale momento di calamità, ma costante.
Quanto può essere drenante per il nostro fisico, tra produzione di cortisolo, sensazioni (cardiache e non solo) sgradevoli, stato di irritazione, agitazione psicomotoria e difficoltà a dormire e concentrarsi? E questo, per citare solo alcune conseguenze di un input fuori controllo…
“Sei sempre una corda di violino”, direbbe qualcuno – buffo come il sonoro rientri in tante espressioni che manifestano uno stato dell’essere, ma nessuna corda di violino può essere fastidiosa quanto il famigerato allarme.
Possiamo considerare l’ansia cronica come una forma di malfunzionamento del SNA e quindi una disautonomia?
In un certo senso sì, anche se il termine disautonomia si applica a contesti specifici e differenti, e vi sono patologie, come accenneremo, che sono caratterizzate da un percorso inverso, ossia hanno peculiarità che portano anche a stati d’ansia organici: come si mescolano, gli aspetti dell’umano!
L’ansia attiva il SNA – tutto corretto e sano fino a un certo punto – e poi il comando di freno si perde, il sistema nervoso parasimpatico non ha capacità di uscire dallo stato di distress e riportare un equilibrio, e gli effetti si propagano a cascata.
Come evidenziato da una ricerca recente, si è sottolineato che una tale condizione disregola anche il sistema immunitario, portando a una maggiore produzione di citochine pro-infiammatorie che vanno ad alimentare, per esempio, mutamenti neuronali che alimentano stati depressivi maggiori (Won E., Kim Y.K., 2016).
La psiconeuroendocrinoimmunologia (PNEI) a sua volta suggerisce come questo aspetto delle citochine pro-infiammatorie determini quello stato di Low Grade Chronic Inflammation, un’infiammazione “a basso volume” ma cronica, di rilievo nel predisporre a patologie importanti (Bottaccioli F., Bottaccioli A. G., 2017).
Ad oggi, di fronte a numerosi studi che riportano i medesimi risultati sull’importanza delle vie biologiche che tratteggiano l’ansia cronica, nel trauma acuto come nel quotidiano, ci si interroga su possibili vie di soluzione, legate per esempio a cercare un modo di abbassare questo substrato fastidioso e iper-attivato, magari agendo anche sulla capacità di reazione del SNA parasimpatico.
Si chiaro: non si vuole in alcun modo depotenziare il ruolo fondamentale delle psicoterapie e degli approcci psichiatrici classici, in assoluto da abbracciare e seguire in queste situazioni, ma si vuole seguire anche quei sentieri somatici che se, aiutati, porterebbero ulteriore giovamento proprio a percorsi terapeutici validati.
E si stanno esplorando ulteriori vie che si concentrano su aspetti del SNA su cui si ha giocoforza un minor controllo e, delle volte, una minor consapevolezza, per quanto, senza rendercene conto, già agiamo in modi che paiono scontati e invece hanno effetti sul sistema nervoso parasimpatico, come vedremo tra poco.
E lungo questi nuovi percorsi innovativi della ricerca, la neuromodulazione, in diverse forme, sta acquisendo un ruolo cardine.
E se c’è un argomento di particolare fermento nel contesto, questo ha a che vedere col nervo vago.
Vagheggiamo… del Nervo Vago
Se ne parla finalmente parecchio – forse un giorno scopriremo che se ne è parlato persino troppo?
Poco importa: ogni periodo ha il suo focus su cui si è concentrati, e visto che attualmente i risultati sono incoraggianti, è ottimo che si dia spazio ad aspetti un tempo poco indagati eppure utili al miglioramento delle condizioni di sofferenza.
E anche il nervo vago è stato misconosciuto, in passato.
È il nervo cranico più lungo – giungendo sino all’addome (dal centro alla periferia, dunque).
Anzi, non è singolo, ma sono un paio (si usa parlare di nervi cranici al singolare, ma in coppia si lavora meglio e la natura lo sa).
Il ruolo del vago è fondamentale a livello di funzioni parasimpatiche.
La sua influenza si estende dalla regolazione del battito cardiaco, alla respirazione, alla pressione sanguigna, alla digestione e alle componenti viscerali, giusto per citare una parte del suo ruolo, sino agli stati emotivi di cui stiamo appunto trattando.
Stimolare il nervo vago non è di per sé una novità, e in situazione come ad esempio forme depressive farmacoresistenti, la questione è consolidata.
Così come si sa che, appunto, esistono azioni precise, semplici e quasi “automatiche” (tanto che siamo in tema) che aiutano a stimolare questo nervo cranico.
Alcuni esempi: ascoltare musica e suoni rilassanti e “canticchiare” (il termine corretto sarebbe l’inglese “humming”, di difficile traduzione); meditare e praticare yoga; respirare lentamente e profondamente; esporsi al freddo (una doccia, bagnarsi la faccia); ridere (sì, ridere), comunicare e interagire in un contesto piacevole; l’agopuntura; e persino l’assunzione di probiotici, che, aiutando l’intestino, il nostro secondo cervello, paiono contribuire, secondo la letteratura scientifica, al funzionamento del nervo vago (Chintapalli S., 2022).
Ma, accanto a questi consigli di vita a portata di mano, la stimolazione vagale avviene anche a livello medico, per via transcutanea, in maniera non invasiva – essenzialmente a livello del collo e, ancora più conosciuta, a livello dell’orecchio (altre metodologie più invasive sono ormai meno usate e per casi specifici).
Le sue applicazioni? Davvero molteplici, ma, tassativo da precisare, i dati sono ancora in larga parte da corroborare pienamente: si va appunto da condizioni di trauma, stress e patologie psichiatriche, all’epilessia, al dolore, all’emicrania, ai disturbi del sonno, oltre che al trattamento di stati infiammatori e condizioni cardiache – ed è persino una lista non esaustiva.
Sinceramente non sorprende, pensando a questa sorta di segreti che indossiamo vivendo nella nostra pelle, che tale livello di complessità resti ignoto, come fosse un luogo troppo ampio da conoscere davvero, in cui sapersi orientare, eppure è lì a chiamarci per essere esplorato.
Anche per evitare il rischio di perdersi, erroneamente, per vie familiari, il che può accadere – ci permettiamo a questo proposito una piccola precisazione.
Quando l’ansia inganna: le disautonomie e l’esempio di una diagnosi mascherata
Senza voler parere saccente, mi sembra doveroso citare, benché rischio statisticamente basso ma presente (e anche una sola vita umana conta ben più delle percentuali), che in questa nostra decantata complessità si instillano talvolta condizioni rare, che possono sfuggire anche al medico più esperto, proprio perché estremamente sporadiche, elusive, ben mascherate.
E una diagnosi errata può scardinare un’esistenza, portando su strade sbagliate, non effettive, facendo perdere energie, tempo e sviluppando susseguente sfiducia nel proprio futuro come paziente e persona.
Può accadere in alcuni casi che ci siano condizioni, sovente croniche, che sono caratterizzate da un malfunzionamento del SNA: disautonomie, appunto.
Ma non le classiche che delineano profili di patologia noti, come le complicate disautonomie più o meno diffusi delle mielolesioni.
Questa parentesi ha a che fare con situazioni dalle multiformi manifestazioni che investono virtualmente ogni funzione corporea, ogni caso a sé stante, creando uno stato organico di attivazione intensa del SNA: non che non ci sia anche un’ansia intesa nel senso più usuale, “mentale”, dato che chiaramente ci si trova in condizioni di sofferenza rara dalla prognosi incerta; è che vi è proprio un accendersi del sistema nervoso autonomo in maniera scorretta, un meccanismo inceppato, l’allarme fin troppo raccontato.
Questo stato di agitazione psicofisica, unito a sintomi ove non è facile unire i puntini può portare, non trovando attraverso indagini cliniche e strumentali, una chiara identificazione, alla formazione di una diagnosi di “disturbo d’ansia”, che invece non è che una parte del problema, e da trattare in maniera diversa perché la genesi è inversa rispetto a quanto sarebbe naturale supporre.
Un caso emblematico è quello della sindrome POTS (Postural Ortostathic Tachycardia Syndrome), che può essere primaria o secondaria, invalidare fortemente la qualità di vita, e nel suo essere una forma di intolleranza ortostatica porta una sintomatologia complicata e diffusa, con anche brain fog e stati iper-adrenergici che possono rientrare facilmente in una definizione di disturbo d’ansia, ove gli altri sintomi possono apparire sequele del vissuto ansiogeno stesso, e non viceversa (Kesserwani H., 2020).
Ci son tante ombre e penombre, quando si accumulano sovrastrutture, e si deve navigare “a vista”.
Questa non vuole essere una critica a chi esegue ogni giorno iter diagnostici: vuol solo far presente una dinamica umana che può accadere, in presenza del poco conosciuto, del dissonante rispetto al sapere e all’esperienza quotidiana stessa.
Credo possa sempre essere utile sussurrare dell’invisibile, della rarità, di ciò che, alieno alla conoscenza, può ingannare, trascinandosi dietro un vivere (sovente, tra l’altro, la sindrome POTS colpisce giovani donne, con ancora tutti i domani da costruire).
Nessun motivo per essere allertati: respirate a fondo (off topic finale)
La parola “ansia” è spesso abbinata nel quotidiano di tutti a stati di preoccupazione, nervosismo, agitazione, timore.
Comprensibile.
Ma l’ansia, quella patologica, è ben altra realtà, spesso sottovalutata – forse, le parole, quando abusate e abbracciate da tutti, si logorano.
E l’ansia cronica, che si insinua in ogni meandro, è ancora più sfuggente e cruenta.
Per questo motivo, sarebbe importante che si imparasse del ruolo del sistema nervoso autonomo in questi contesti – dato che è stato un poco trascurato nel suo valore, nel suo lavoro costante e nel ruolo che può avere per il nostro stare bene.
Del resto, bisogna proprio aspettare che un allarme non si spenga, per renderci conto del suo valore e della necessità imperante di farsi carico di questo meccanismo?
Con l’augurio, stasera, di rilassarvi, risvegliare il SNA parasimpatico facendo qualcosa di piacevole, e attivare l’allarme solo per andare a dormire più sicuri – consapevoli della sublime delicatezza e forza di questo impianto che ci orchestra.
E ricordando che, se non soffrite di ansia cronica o altre afflizioni è gradevole ricordarsi, come detto all’inizio, che:
la casa è abbastanza silenziosa, un luogo amato e sicuro.
Magari non si abita neanche soli, ma con qualcuno di caro.
Si sentono, al di fuori, dei rumori comuni, di strada, persone, traffico, vita.
Non c’è oggettivamente alcun motivo per sentirsi in una condizione di vulnerabilità.
Respirate a fondo.
Alessia Ghisi Migliari
Psicologa, Master in Neuropsicologia Clinica
Master in Psiconeuroendocrinoimmunologia
Formata in Psicodiagnostica
agmpsiche.weebly.com
Biblbiografia e sitografia
- Won E., Kim Y.K., Stress, the Autonomic Nervous System, and the Immune-kynurenine Pathway in the Etiology of Depression. Current Neuropharmacology, vol. 14(7), pag. 665-73, 2016. doi: 10.2174/1570159×14666151208113006. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5050399/
- Bottaccioli F., Bottaccioli A. G., “Psiconeuroendocrinoimmunologia e Scienza della Cura Integrata. Il Manuale”, Milano, Edra, 2017
- Styx L., “Can Vagus Nerve Therapy Regulate Mood and Anxiety?” in VeryWellMind, 15 ottobre 2022: https://www.verywellmind.com/can-vagus-nerve-therapy-regulate-mood-and-anxiety-6744380
- Ben-Menachem E., Revesz D., Simon B. J., Silberstein S., Surgically implanted and non-invasive vagusnerve stimulation: a review of efficacy, safety and tolerability. European Journal of Neurology, vol. 22(9) pag. 1260-1268, 2015. https://doi.org/10.1111/ene.12629
- Chintapalli S., “How Do I Tone My Vagus Nerve?” in MedicineNet, 16 novembre 2022: https://www.medicinenet.com/how_do_i_tone_my_vagus_nerve/article.htm
- Pallanti S., “Stimolazione del nervo vago non-invasiva (VNS)”, in IstitutoDiNeuroscienze, 2024: https://istitutodineuroscienze.it/neuroscienze-salute/terapie/terapie-di-neuromodulazione/vns
- Agnoletti M., Mariano S., “Analisi comparativa delle metodologie della stimolazione transcutanea del nervo vago”, in MedicaLive Magazine, 24 gennaio 2024: https://www.medicalive.it/analisi-comparativa-delle-metodologie-della-stimolazione-transcutanea-auricolare-del-nervo-vago/
- Kesserwani H., Postural Orthostatic Tachycardia Syndrome Misdiagnosed as Anxiety: A Case Report with a Review of Therapy and Pathophysiology. Cureus, vol. 12(10), 2020. doi: 10.7759/cureus.10881. PMID: 33178533; PMCID: PMC7652348. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33178533
Foto di Valentina Locatelli su Unsplash
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