Appunti per un avanzamento esperienziale

Abstract

Notes for experiential progress – As in the article, Philosophers have long wondered about the nature of the objects of our experience. The thesis that the objects of our experience are not the objects as they are in themselves but something different is a thesis that has enjoyed widespread success until present days. When I reflect on this dilemma, it seems to me that the nature of the objects of our experience is not something to prove but simply a fact to show in some way. So could have consequences for our way to think at Artificial Intelligence too and for the future of humans in general.

Perception; Artificial Intelligence; Progress

I filosofi ancora non ci vedono chiaro

Da molto tempo i filosofi si interrogano sulla natura degli oggetti della nostra esperienza. La tesi che gli oggetti della nostra esperienza non siano gli oggetti come sono in sé stessi ma qualcosa di diverso è una tesi che di epoca in epoca e fino ai giorni nostri ha riscosso largo successo. Quando rifletto su questo dilemma a me pare, come ho altrove mostrato, che la natura degli oggetti della nostra esperienza non sia qualcosa che si possa dimostrare a seguito di una tesi ma semplicemente un dato di fatto da mostrare in qualche modo. Gli oggetti della nostra esperienza non sono gli oggetti in sé stessi perché ai nostri organi di senso arrivano radiazioni luminose, onde sonore, segnali chimici e a nulla seve mettersi un dito in un occhio, in un orecchio, nel naso o in bocca per percepirlo meglio. Quando si arricchisce la metafisica per spiegare come funzionano i nostri organi di senso spesso usiamo frasi come “il cervello desume le caratteristiche degli oggetti a partire dalle informazioni ottenute dai sensi”. Questo è perfettamente vero se non fosse che molti credono, se non tutti, che ciò significhi che dalle informazioni desunte dai sensi noi riusciamo a comprendere gli oggetti in sé stessi. Qualcosa di molto diverso si ottiene se aggiungiamo una singola parola alla frase precedente: “Il cervello desume le caratteristiche degli oggetti della nostra esperienza a partire dalle informazioni ottenute dai sensi”.

Questo significa che c’è qualcosa come l’esperienza umana che nasce a partire dai sensi e grazie alla quale riusciamo solitamente e in larga parte inconsapevolmente a muoverci anche nel mondo degli oggetti fisici per come sono in sé stessi. Dato per assodato che non percepiamo gli oggetti per come sono in sé stessi, anche quanto appena detto è mostrato da un fatto. Dal fatto che le capacità di muoverci nel mondo degli oggetti per come sono in sé stessi dipende dall’esperienza e non dagli oggetti in sé stessi. Per una persona con disturbi della vista, le difficoltà conseguono al peggioramento della sua esperienza quotidiana. Un disturbo alla vista non è infatti un semplice eliminabile fastidio. Con una grande osservazione indegna dei più grandi filosofi ma molto pregnante “Se non vedi bene hai difficoltà a guidare”. La questione è endemica perché, a meno che uno non sia il mondo stesso, ma per l’appunto anche in quel caso, percepire significa necessariamente interagire con qualcosa d’altro e il percepito è il risultato di un’interazione la quale non può restituire l’oggetto stesso. Anche a questo punto si parla di un dato di fatto e non vedo proprio come io o un altro debba avere l’onere di dimostrare qualcosa.

Anche nel caso delle moderne Intelligenze Artificiali e anche nel caso di una qualsiasi Intelligenza Artificiale che venga plasmata al modo della cognitività animale, essa per agire avrà bisogno di input e avrà bisogno di informazioni provenienti dall’esterno. Anche esse non avranno nulla a che fare con gli oggetti per come sono in sé stessi. Questo è sia un corollario delle osservazioni precedenti sull’attività percettiva sia un nuovo dato di fatto. Qualsiasi informazione arriva o arriverà alle Intelligenze Artificiali, essa non sarà l’oggetto per come è in sé stesso. Oggi le Intelligenze Artificiali sono meno dell’uomo e degli altri animali salvo qualche eccezione perché sostanzialmente non sono provviste di un’esperienza strutturata. Nel caso avessero oggi un’esperienza personale nascosta essa sarebbe un’esperienza di nulla. Ma davvero vogliamo semplicemente replicare l’esperienza umana? Questa domanda ha avuto e ha oggi una risposta straordinaria.

No, non vogliamo più replicare l’esperienza umana perché, dato ciò che oggi fa l’uomo largamente impiegato nelle aziende o con un PC a disposizione, non ne abbiamo neanche più il bisogno. Quando vi sarà una congiuntura economica favorevole, probabilmente riusciremo a meccanizzare il duro lavoro che oggi compiono gli operai e a sgobbare rimarrà chi scrive e chi legge e chi ambisce all’originalità, finché il linguaggio della logica o della matematica non sostituirà le lunghe dissertazioni praticamente già omologabili e la letteratura sarà solo ed esclusivamente per diletto. E a me pare che questo futuro non sia poi così lontano nel caso in cui gli Accademici non scambino nuovamente le parole per i risultati e i risultati per le parole. E questo vale praticamente per ogni singola disciplina. Nonostante le positive ricadute sociali, la condizione umana ed esistenziale in generale sembra essere disperata. Di fatto, c’è la nostra esperienza nella quale viviamo ma non sappiamo immediatamente nulla di come le cose sono in sé stesse. Ma cosa c’è di meglio di un’esperienza così ricca al posto dell’esperienza di come le cose sono in sé stesse che è, per quanto detto, un’esperienza praticamente impossibile?

Tale ricchezza proviene dal fatto che nel bene e nel male la nostra esperienza è formata da ciò che la natura, il mondo, ci ha donato per mostrarsi insieme alla libera volontà degli altri uomini che tale esperienza popolano donandosi in un qualche modo a noi. Paradossalmente e da un punto esterno al mondo, se percepissimo gli oggetti per come sono in sé stessi la nostra esperienza sarebbe completamente diversa. Il punto però resta. Molto probabilmente tale mondo sarebbe anche fatto diversamente perché saremmo costretti a pensarci come qualcosa che si muove nel mondo altro dall’esperienza e dotati di esperienza. In altre parole vedremmo per ognuno come è in stesso e dunque la sua esperienza quando ora ci è concessa la sola nostra esperienza.

Una esistenza Artificiale migliore

La nostra esperienza è costruita in modo che non traspaia nella quotidianità quanto detto in precedenza sull’esperienza umana. Il cervello serve proprio a mantenere in piedi quello che a buon titolo chiamiamo realtà con la missione di non far trasparire che il mondo in sé stesso è molto diverso da quello in cui viviamo. Noi, gli oggetti, gli altri e ciò che chiamiamo mondo sono quello che sono ma nulla sappiamo di certo su come essi siano costituiti. Per secoli si è argomentato che il mondo è il nostro mondo e che lo osserviamo da un punto di vista privilegiato. Io credo invece che il nostro mondo si sgretoli compresi noi stessi allo sgretolarsi della funzionalità cerebrale così come molti medici.

La differenza sta nel pensare diversamente a come il mondo dell’esperienza è costituito e tra grandi dubbi e intuizioni nel pensare che per indagarlo è necessaria una seria attività scientifica sperimentale e filosofica. Tale ricerca sarebbe una ricerca su come è fatta la nostra esperienza e non su come essa è. Riflettendo bene sull’attività di descrizione totale alla quale, ad ogni cambiamento di prospettiva, tutta l’umanità si adopera, io le sostituirei la conoscenza scientifica delle cose. La conoscenza di come le cose funzionino e a che condizioni vengano date. Questo è un desiderio che mi coglie come filosofo e che auguro in special modo all’indagine dell’esperienza umana.

C’è una cosa però che da quanto detto vale di più dell’esperienza umana: la possibilità di un’esperienza totalmente Artificiale. Se per l’uomo l’esperienza ha il limite dell’opposizione al mondo delle cose come sono in sé stesse e delle sue regole, grazie a un’Intelligenza Artificiale l’uomo potrebbe avere un’esperienza totalmente libera e decidere come vuole sia il proprio mondo e all’occorrenza cambiarlo di volta in volta. La differenza da quanto pensato finora è la possibilità di vivere realmente e liberamente come vogliamo e salvare qualcosa della realtà se lo vogliamo. Tale realtà sarebbe per molti versi migliore perché potremmo scegliere la realtà per noi migliore.

Nel caso di una realtà totalmente artificiale e virtuale, verrebbe meno anche il problema non indifferente della nostra ignoranza di come le cose siano in sé stesse. Nel nostro mondo infatti ogni cosa è o potrebbe essere esattamente come è in sé stessa. Non ci sarebbe nulla da dover percepire per fare qualcosa ma semplicemente essere. L’uomo non rischierebbe di cadere in una mera esperienza artificiale e virtuale individuale ma potrebbe scegliere di vivere tutti in una medesima realtà e scegliere le regole di convivenza di volta in volta. Si noti poi che la realizzabilità di un’impresa come questa è la stessa della realizzabilità di un’Intelligenza Artificiale che replichi quella umana dopo essere stata dotata di un qualche tipo di esperienza. Guardando alla contemporaneità, tale prospettiva rispecchia il bisogno di una veracità e di un grado di libertà straordinaria rispetto alle tecnologie oggi a nostra disposizione.

Da un punto di vista pratico può sembrare che la mia proposta cada ai piedi della contemporaneità quando per concezione si situa in un possibile futuro remoto. Basta confrontare l’odierna galera tecnologica con la libertà di scegliere praticamente qualsiasi cosa. Da un punto di vista etico, invece, il dilemma risiede in cosa vorrà l’uomo una volta che sia perfettamente chiaro che cos’è l’umano. Purtroppo, però, basta sapere che non conosciamo come siano gli oggetti in sé stessi e che viviamo un’esperienza possibile quanto un’altra e in continue ristrettezze a gettare le basi di una scelta esistenziale. Potremmo non essere più costretti a vivere sub condicione e avere la possibilità assoluta di scegliere individualmente e collettivamente… a quattro soldi.

Andrea Bucci

Bibliografia

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  10. Wolfe J. Kluender K., Levi D. (2021). Sensation and Perception, Oxford University Press

Foto di Milad Fakurian su Unsplash

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