Le chiamano CBT. Ma non hanno nulla a che fare con la terapia cognitivo comportamentale. La CBT? Roba d’altri tempi. Oggi siamo nell’era delle “biotecnologie cognitive”. Parola dei ricercatori vicini alla North Atlantic Treaty Organization (NATO), per i quali tali avanzamenti sarebbero in grado già oggi di “trasformare la science fiction in realtà”.
“La CBT – spiega il team composto dai colleghi della Johns Hopkins University e dell’Imperial College London – è la capacità della tecnologia di potenziare e migliorare il pensiero, la percezione, il coordinamento, l’azione degli esseri umani, sia a livello fisico sia a livello sociale”.
“Con la CBT infatti – proseguono – la nostra efficacia, normalmente costretta nei limiti della fisiologia umana, può essere estesa e aumentata da mezzi biofisici, biochimici, bioingegneristici”. E, anche se il settore sta muovendo i primi passi, gli utilizzi già si immaginano in tre aree applicative, riassunte nelle “3R: Recover, Raise, Replace”.
In pratica, si pensa di arrivare in un vicino futuro a riparare completamente mente e corpo, sviluppare le funzioni psicofisiologiche oltre i limiti dell’umano per come lo conosciamo, sostituire in toto le dotazioni naturali con i ritrovati delle nuove tecnologie. Dei veri e propri cyborg, modellati da tDCS, BCI, AI, algoritmi, esoscheletri e chimica di sintesi.
Obiettivo? La difesa e la sicurezza, si intende. Da tempo gli “alleati” – come amano chiamarsi – stanno cercando nella borsa degli attrezzi delle neuroscienze qualcosa per rinvigorire le proprie truppe. La rassegna “Cognitive Biotechnology: opportunities and considerations for the NATO Alliance” è la terza di una serie dedicata alle “opportunità” dell’innovazione tecnologica e al loro “uso responsabile”.
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Image by Gioele Fazzeri from Pixabay
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