Blindsight e filosofia della mente

Il blindsight è un fenomeno che coinvolge persone con aree della corteccia visiva primaria gravemente danneggiate. Nonostante queste persone siano cieche a porzioni più o meno grandi del campo visivo, in alcuni compiti, come ad esempio quello della localizzazione di oggetti o della discriminazione della loro inclinazione, le loro risposte sono straordinariamente accurate e paragonabili a persone con il campo visivo intatto.

Il blindsight ha attirato l’attenzione dei filosofi che si sono interrogati sulle relazioni tra questo fenomeno e la natura della coscienza. Agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso il dibattito sulla percezione vedeva contrapposti i sostenitori del doxasticismo e quelli del fenomenalismo. Mentre i primi pongono l’accento sull’importanza che l’atto percettivo ha nella formazione di credenze e giudizi tali da poter identificare ciò che vediamo come un qualcosa di un certo tipo, i secondi rimarcano la centralità delle qualità fenomeniche mostrate nel corso di una qualsiasi percezione, nella parte non concettuale dell’atto percettivo.

Questa suddivisione rispecchia abbastanza fedelmente le posizioni assunte da filosofi di primo rilievo sul rapporto tra blindsight e coscienza. Colin McGinn sostiene che la coscienza sia una struttura complessa e che essa non può essere indagata, almeno in parte, introspettivamente. La coscienza ha un’organizzazione che va al di là di ciò che riteniamo immediatamente cosciente. Il blindsight mostra, secondo McGinn, che la coscienza sia molto più profondamente articolata di quanto si possa superficialmente supporre e la capacità di riportare colori, posizioni e inclinazioni di oggetti in assenza di una possibile coscienza fenomenica è un sintomo di tale profondità e inaccessibilità introspettiva ad alcuni livelli della coscienza. Questa posizione pur non screditando l’importanza della coscienza fenomenica mostra come l’attività percettiva nella sua funzione di formazione delle credenze sia una componente degna della massima attenzione e che il passaggio non direttamente cosciente di informazioni metta in luce l’articolazione stratificata della coscienza stessa.

Daniel Dennet da parte sua analizza filosoficamente il fenomeno del blindsight e raggiunge una posizione filosofica piuttosto radicale. Dennet sottolinea che la mancanza di esperienza fenomenica presente nel blindsight non costituisce assenza di coscienza visiva. Se la persona, in assenza di esperienza visiva, può essere condotta come sembra a riportare fedelmente le caratteristiche dell’oggetto e ad avere giudizi percettivi adeguati allora essa può essere ritenuta pienamente cosciente. La coscienza percettiva sarebbe allora a scanso di equivoci la possibilità di avere immediata disponibilità di informazioni per la deliberazione.

Dennet e McGinn possono essere ritenuti abbracciare posizioni doxastiche sulla percezione e cercano di mostrare che, anche se il soggetto non ha accesso visivo agli oggetti dell’ambiente che lo circonda, può essere ritenuto avere una capacità di discriminazione percettiva pressoché intatta poiché percepire significa avere la possibilità di formare giudizi sul mondo che ci circonda e nulla più. Questa posizione può essere facilmente associata a quella che impone alla visione di essere direttamente in contatto con gli oggetti del mondo esterno.

Chi sostiene invece che la coscienza fenomenica sia un ingrediente centrale e indispensabile perché si possa parlare di evento percettivo associa la propria idea di percezione all’esistenza di contenuti non concettuali della percezione e ad entità come i qualia. Nel fare ciò difficilmente ci si può affrancare dall’idea che ci sia qualcosa di squisitamente fenomenico che si frappone tra gli oggetti del mondo esterno e il soggetto percipiente.

I sostenitori dell’esistenza dei qualia sostengono conclusivamente che nel fenomeno del blindsight esiste qualcosa che viene effettivamente perso a livello cosciente ed è la coscienza delle intrinseche qualità fenomeniche dell’esperienza come la “rossezza” di un oggetto o il suo caratteristico profumo, entrambe genuine qualità dell’esperienza mentale soggettiva.

Andrea Bucci

Bibliografia

  1. Dennet, D. (1991). Consciousness explained. Boston: Little, Brown and Co.
  2. McGinn, C. (1991). The problem of consciousness. Oxford: Blackwel.
  3. Stanford Encyclopedia of Philosophy, https://plato.stanford.edu/entries/qualia/.
  4. Tye, M. (1993). Blindsight, the absent qualia hypothesis, and the mystery of consciousness. In C.
  5. Hookway (Ed.) Philosophy and the Cognitive Sciences. Cambridge: Cambridge University Press.
  6. Weiskrantz, L. (1986). Blindsight: A case study and implications. Oxford: Oxford University Press.

Image Credits: Shutterstock

 

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