Comunicare, con la Regola Benedettina

Comunicare, con la Regola Benedettina.Ogni giorno mi rendo conto che ancora tante persone vivono poco nel presente perché o sono ancorate al passato oppure sono proiettate nel futuro. Questa loro visione di vita si riproietta in modo diretto sulla quotidianità e soprattutto sul loro modo di comunicare: chi vive nel passato fa sempre riferimento a quanto realizzato anni prima e su cosa si sarebbe potuto fare, mentre chi vive nel futuro non spreca un attimo per cercare di raggiungere i propri obiettivi…

In entrambi i casi le persone sono schiave di un tempo che “non vivono” e quindi non comunicano in modo efficace con gli altri sentendosi così inadeguati o incompresi. Il monaco, invece, è costantemente sollecitato affinché viva in consapevolezza la realtà del suo tempo: il “qui e ora” è un must che si riflette in ogni azione e che va ad influenzare anche e soprattutto la comunicazione.

In un luogo dedicato al silenzio e alla meditazione come il monastero sembra paradossale avere un gran senso della comunicazione attraverso un uso adeguato del silenzio. Nella Regola Benedetto non è contrario al parlare, ma a quello che oggi definiremmo “parlare a vanvera”. L’obiettivo non è quello di essere tristi e cupi o chiusi in se stessi, ma evitare le sregolatezze mantenendo contegno e concentrazione. Nella quotidianità il monaco è chiamato a leggere negli atteggiamenti dei fratelli i loro stati d’animo ed essere loro vicini nelle necessità: l’umanità regola questi rapporti nei quali sono necessari una profonda dose di umiltà e di apertura mentale che spesso nel mondo scarseggiano.

Ognuno di noi infatti pensa che “saper parlare” significhi automaticamente anche “saper comunicare”. Proprio la Regola benedettina sottolinea invece che la comunicazione non è solo un fattore legato alla parola, ma ad un sistema di vita. Nel capitolo 31, per esempio, parlando del Cellerario, dice: “Se non può concedere nulla a uno dei fratelli, perlomeno gli dia una risposta amichevole. Infatti sta scritto: una buona parola vale di più del migliore dei doni”. Saper parlare con gentilezza e disponibilità di fronte a problemi e difficoltà non è un fattore da poco: l’attenzione è posta nel rincuorare l’interlocutore senza metterlo a disagio.

Al contrario nel capitolo 3, “La convocazione dei fratelli a consiglio”, a proposito dell’esprimere e difendere le proprie decisioni e convinzioni Benedetto dice: “I monaci esprimano poi il loro consiglio con umiltà e modestia, senza permettersi di difendere testardamente la loro opinione”. L’attenzione in questo caso si sposta sulle competenze: spesso le persone ritengono che la loro conoscenza in un dato settore e il riconoscimento sociale che ne consegue le autorizzi a dettare legge anche in altri campi o ad aggredire deliberatamente chi ha un’opinione, una preparazione o un’informazione differente.

In questo caso l’attenzione, di cui ho parlato nel mio precedente articolo, si tramuta in puro egocentrismo: nessuno è al centro del mondo; nel“saper frenare la lingua”, descritto dalla Regola, è facile ritrovare l’insegnamento di come emozioni e sensazioni possano alterare la capacità di valutazione prima, e di comunicazione poi.

Il modo di parlare agli altri è sempre frutto del nostro modo di ascoltare e di porci nella discussione. Se ritengo di essere il possessore unico della verità, i miei discorsi saranno dogmatici e paternalistici e non saranno mai aperti al dialogo e alla relazione. Molte persone comportandosi così alla fine si ritrovano isolate e spesso non sanno spiegarsi dove hanno sbagliato o perché i loro amici li hanno abbandonati. Bisogna conoscere i propri limiti e prepararsi bene prima di varcarli. È importante vincere la paura del mettersi in gioco e lasciarsi andare con lo scopo di imparare non di insegnare!

Questo gioco di interrelazione nel monastero vale per tutti e quindi anche l’Abate, l’autorità massima, non ne è esente. Nel capitolo 2, quello che descrive proprio la sua figura, la Regola dice: “Aiutando gli altri a migliorare attraverso le sue ammonizioni, correggerà se stesso dai suoi difetti personali”. Nessuno è esentato da questa lezione che ci indica anche come la comunicazione efficace passi sempre attraverso l’attenzione verso gli altri.

È difficile in un mondo che misura tutto sulla velocità e i risultati attuare il pensare prima di agire: spesso vengono compiuti insieme, ma con quali risultati catastrofici sulla comunicazione? Nel gioco delle responsabilità comunicare bene è tutto: la storia è piena di esempi di persone che hanno dovuto rivedere i loro approcci agli altri per poter adempiere ai loro doveri.

Sempre nel già citato capitolo 3, la Regola propone: “Egli (l’Abate) deve ascoltare il parere dei fratelli e poi riflettere per proprio conto proprio sulla questione (…)”. È ancora l’ascolto a farla da padrone. Ascoltare prima di agire per farlo con correttezza e serietà. Questo è il cardine di una comunicazione efficace in cui la reciprocità è il fondamento. Infatti lo stesso passo continua dicendo: “Disponiamo che tutti siano convocati per la consultazione, perché spesso il Signore rivela a uno dei più giovani qual è la cosa migliore da fare”. Quindi non c’è solo una comunicazione attenta alle competenze specifiche, ma anche una comunicazione in continuo apprendimento: non basta parlarsi tra pari, ma bisogna saper parlare anche con chi è diverso da me. La differenza può essere d’età, come in questo caso, oppure può essere di ceto sociale, o economica o geografica.

Nessuno può chiamarsi fuori da questo gioco: è un impegno preciso che sicuramente rende il piccolo mondo a cui apparteniamo qualcosa di grandioso, fatto di cambiamenti continui, di continua evoluzione e miglioramento, di apprendimento e coinvolgimento totale. L’iniziativa personale in questo contesto non è esclusa, ma rafforzata dal senso di reciprocità che ci lega l’uno all’altro in una comunicazione di dare e avere, chiedere e ottenere come in un cerchio in cui ognuno dà e riceve qualcosa da qualcuno.

Spesso nella comunicazione apriamo uno spazio solo ai contenuti o solo alle persone che li espongono. La Regola ci impone di non scinderli perché il contenuto di qualsiasi discorso privato dalla coerenza di chi lo espone non ha senso di esistere. Per questa ragione è importante ascoltare e parlare in una dimensione fatta unicamente di presente. La parola ha valore nel preciso istante in cui è comunicata e condivisa, prima che il processo cognitivo e culturale ne elabori il senso e il significato e la porti su un piano diverso.

In questo modo la Regola ci insegna che ha senso vivere la realtà senza introspezioni colpevolestiche o futuribilità poco realizzabili, ma su una realtà il più chiara possibile in cui siamo consci dei nostri punti di forza e di debolezza e che per questo siamo disposti a rimetterci in discussione.

Nel gioco della comunicazione non ci sono vincitori o vinti e la Regola nel capitolo 6 ci dice che solo con l’amore per il silenzio può farci rispettare questo aspetto fondamentale:“…ho taciuto anche su cose buone” perché, spesso, non immaginiamo nemmeno quanto delle lodi sperticate verso qualcuno possano danneggiare altri: mentre esaltiamo e portiamo ad esempio una parte ne affossiamo un’altra ricca di potenziali inespressi.

Parlare non è sicuramente semplice e portare la parola ad un piano più elevato è sicuramente un’impresa altrettanto ardua. Senza questa consapevolezza è pressoché impossibile crescere e maturare perché, come molte persone mi dimostrano, se la bocca serve solo fare dei bei discorsi allora è indispensabile fermarsi, fare tesoro dell’insegnamento della Regola e nel silenzio ritrovare se stessi.

Articolo di di Paolo G. Bianchi – Terzo di una serie di quattro, dedicati agli insegnamenti della Regola Benedettina nel contesto del Counseling… In esclusiva, su BrainFactor © 2011

2 Comments on "Comunicare, con la Regola Benedettina"

  1. Sono parole che rasserenano oltre a far pensare. In effetti uno dei problemi ricorrenti è “togliere il rumore di fondo” dei media, ma anche dei colleghi e dei conoscenti che hanno poco da fare ma devono dare aria alla bocca, anche senza collegare il cervello. Mi piace passeggiare da solo in silenzio, in macchina mi prendo i miei spazi per pensare. Poi c’è il discorso del trasferire questi elementi agli altri… Ma mi dilungherei troppo. Grazie.

  2. E’ affascianante scoprire come anche una forma di pensiero come quella benedettina sia così vicina al counseling che è attento al valore della comunicazione e della persona. penso che questo dimostri la trasversalità delle discipline quando si parla dell’uomo e della sua valorizzazione!
    grazie per questo prezioso spunto!

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