ROMA – Anche le malattie reumatiche possono avere una forte componente psicologica, mediata dal sistema immunitario. Lo stress, ad esempio, può costituire un fattore di rischio importante per la sclerosi sistemica, una malattia autoimmune caratterizzata da alterazioni degenerative, anomalie vascolari delle strutture articolari, degli organi interni o della cute (sclerodermia).
Quello del rapporto reciproco fra malattie reumatiche e condizioni psicologiche è stato uno dei temi più interessanti e attuali del XVI Congresso della Lega Europea contro le Malattie Reumatiche (Eular 2015), svoltosi a Roma la scorsa settimana.
Fra gli studi presentati, quello di Vasile e colleghi dimostra – proprio alla luce delle strette relazioni fra asse ipotalamo-ipofisi-surrene (“HPA Axis”), sistema nervoso simpatico e sistema immunitario – come lo stress debba essere considerato un fattore di rischio importante nello sviluppo della sclerosi sistemica: su un campione di 70 pazienti adulti diagnosticati per questa malattia (64 femmine, 6 maschi), ben il 57% aveva infatti subito un evento stressante acuto prima di ammalarsi.
Uno studio prospettico presentato da Ceccarelli e colleghi, condotto in 10 anni su un campione di 43 pazienti adulti (38 femmine, 5 maschi) diagnosticati per lupus eritematoso sistemico – malattia autoimmune che può implicare anche disturbi di memoria, attenzione, apprendimento, linguaggio, abilità visuospaziali – mette in evidenza come la modificazione dei deficit neurocognitivi tenda al miglioramento nel 50% dei casi, mentre il 40% si stabilizza e solo il 10% peggiora.
A Roma è stata inoltre sottolineata l’importanza del ruolo di familiari e amici, che rappresentano in Europa l’80% dei “carer”, costituendo di fatto ormai una parte indispensabile del percorso di cura: risorse preziose che dovrebbero essere a loro volta sostenute a “reggere” la pressione del ruolo, pena la compromissione della loro stessa salute fisica e mentale e un aggravio dei costi sociosanitari.
Fra le buone notizie… Del Rosso e colleghi riportano i risultati promettenti di uno studio che dimostra l’efficacia di una riabilitazione con Tai Ji Quan di persone sofferenti di fibromialgia: su un campione di 22 pazienti adulti (16 femmine, 6 maschi), il gruppo sperimentale ha mostrato miglioramenti significativi per quanto riguarda disabilità, qualità della vita, dolore, disturbi del sonno e sofferenza psicologica, grazie a soli 17 incontri settimanali di questa antica pratica cinese.
L’archivio completo degli abstract degli studi presentati a Eular 2015 è liberamente accessibile dalle pagine del sito web ufficiale del congresso.
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