Controllo cognitivo e funzioni esecutive: prospettive nelle neuroscienze cognitive

Abstract

Il concetto di “Controllo Cognitivo (CC)” fu introdotto negli anni ’70 del XX secolo, un periodo in cui le neuroscienze cognitive videro un’enorme crescita degli studi sulle funzioni cognitive superiori e il loro legame con la corteccia prefrontale (PFC). Inizialmente, il termine fu utilizzato per distinguere tra processi automatici e processi volontari “goal oriented” ma, nel corso della ricerca scientifica, il concetto di CC è stato riproposto diverse volte con leggere variazioni concettuali. Lo scopo principale di questo studio è fornire al lettore una revisione del CC e delle sue relazioni con le Funzioni Esecutive (FE), basandosi su un quadro teorico che si riferisce alle neuroscienze cognitive.

Inizialmente, analizziamo come i due costrutti (CC e FE) siano stati operazionalizzati negli ultimi 30 anni, evidenziando i punti di contatto e le differenze nelle definizioni proposte da diversi autori e il rapporto tra CC e variabilità intraindividuale (VII). Successivamente, esaminiamo la relazione tra CC e il sistema emotivo-motivazionale al fine di stabilire la correlazione e la parziale sovrapposizione tra questi due sistemi, superando la classica dicotomia tra processi cognitivi “caldi” e “freddi”. Infine, analizzeremo il rapporto tra CC e i network neurali. Il classico modello del controllo esecutivo basato sull’omuncolo è ormai considerato riduzionistico, a favore di modelli basati sui circuiti neurali. In questo contesto teorico, la nostra revisione stabilisce e descrive la relazione tra le funzioni cognitive superiori, il CC e i network attentivi che coinvolgono la Corteccia Prefrontale (PFC).

The construct of “Cognitive Control (CC)” was introduced in the 1970s, a period marked by a surge of studies in cognitive neuroscience focusing on higher cognitive functions and their connection to the prefrontal cortex. Initially, this term was used to differentiate between automatic processes and goal-oriented voluntary processes. As scientific research progressed, CC has been reintroduced with slightly different conceptual nuances. The primary objective of this work is to provide the reader with a comprehensive review of CC and its relationships with Executive Functions (EF), guided by a theoretical framework rooted in cognitive neuroscience.

Firstly, we analyze the operationalization of both constructs (CC and EF) over the past 30 years, highlighting points of convergence and divergence among definitions proposed by various authors, as well as the relationship between CC and intraindividual variability (IIV). Secondly, we examine the correlation and partial overlap between CC and the emotive-motivational system, aiming to transcend the traditional dichotomy of “hot” and “cold” cognitive processes. Lastly, this review explores the relationship between CC and neural networks. The classical homunculus-based executive control model is now regarded as reductionistic, giving way to a circuit-based neural models. Within this theoretical backdrop, our review establishes and describes the interplay between higher cognitive functions, CC, and attentional networks involving the Prefrontal Cortex (PFC).

Introduzione

Il Controllo Cognitivo (CC) è un termine utilizzato nelle neuroscienze cognitive per descrivere un’insieme di abilità complesse che caratterizzano la cognizione umana ed è considerato sinonimo di Funzioni Esecutive (FE) (Friedman e Robbins, 2022; Menon e D’Esposito, 2022).

Tra le funzioni principali associate ai processi di CC c’è quella di mantenere la rappresentazione dell’obiettivo in corso (Miller e Cohen, 2001) e quindi regolare i pensieri e le azioni affinché siano in linea con tali obiettivi, una proposta consistente con altre concettualizzazioni maturate nell’ambito della neuropsicologia clinica classica, relative al ruolo che i lobi frontali avrebbero nel comportamento finalizzato a uno scopo. Recenti studi propongono una definizione di CC come l’insieme dei meccanismi indispensabili per adattare l’elaborazione delle informazioni in modo flessibile in base al compito (Musslick e Cohen, 2021).

Lo studio scientifico delle FE e del CC iniziò oltre un secolo fa; intorno al 1800 Phineas Gage. un operaio impiegato in un’impresa incaricata del posizionamento di cariche esplosive per ampliare la rete ferroviaria negli Stati Uniti, un giorno subì un grave incidente che gli causò la distruzione di una porzione molto ampia del lobo frontale sinistro (Ratiu e Talos, 2004). L’uomo sopravvisse ma, secondo alcuni rapporti medici dell’epoca, Gage divenne molto disinibito, iperattivo e con marcati cambiamenti della sua personalità (Goldstein et al., 2014).

Diversi anni più tardi due ricercatori, Eduard Hitzig e Gustav Fritsch, scoprirono che le aree motorie erano situate nei lobi frontali (Wickens, 2014): la stimolazione elettrica di specifiche aree nella porzione posteriore e mediale del lobo frontale di alcuni animali poteva infatti elicitare risposte motorie localizzate (Loprete, 2021), mentre un danno alla porzione posteriore del lobo frontale causava una perdita di controllo volontario sulle azioni motorie, anche se l’ animale poteva ancora eseguire movimenti automatici come camminare. Il fisiologo italiano Leonardo Bianchi trovò che un danno prefrontale bilaterale nelle scimmie causava diversi deficit nel funzionamento cognitivo. Prima ritenute zone silenti del cervello, i lobi frontali mostravano di essere coinvolti sia in processi motori che di elaborazione cognitiva.

Negli anni ’60 del Novecento altri studiosi sottolinearono l’importanza dei lobi frontali in riferimento alle funzioni cognitive complesse (Milner, 1963). Il termine funzioni esecutive verrà introdotto solo negli anni ’70 del Novecento (Pribam, 1973) nell’ambito di un aumento di un interesse teso a comprendere il ruolo della corteccia prefrontale nei comportamenti allora definiti ‘controllati’ per distinguerli da quelli ‘automatici’ (Schiffrin e Schneider, 1977); distinzione che troverà eco qualche anno più tardi (Posner e Snyder, 1975) quando verrà proposto il termine “controllo cognitivo” per indicare sostanzialmente le stesse abilità cognitive ascrivibili al funzionamento dei lobi frontali e per tentare di comprenderne il ruolo giocato nell’elaborazione delle informazioni (Näätänen e Picton, 1986). Tra le abilità suggerite c’era il controllo esecutivo attentivo responsabile della focalizzazione e selezione delle informazioni rilevanti dal punto vista comportamentale. Tale modello sarà ripreso ed elaborato anche da altri studiosi molto noti (per esempio, “Esecutivo centrale”, Baddeley, 1986; “Sistema Attentivo Supervisore, Shallice, 1988).

Tra i contributi di maggior rilevanza per la comprensione delle funzioni esecutive nell’essere umano ci fu senz’altro quello di Aleksandr Lurija, che approfondì il lavoro di Lev Vygotskij, secondo il quale le capacità cognitive di ordine superiore (“le funzioni psichiche superiori”) mostravano tra loro relazioni complesse e dinamiche, e lo sviluppo storico e culturale di strumenti come il linguaggio sostenevano la maturazione dei network cerebrali correlati (Vygotskij, 1997 in Bodrova et al., 2011). Lurija adattò tale concetto allo sviluppo delle funzioni esecutive, nel cui sviluppo erano rilevanti la maturazione neurologica e l’esperienza vissuta nel proprio ambiente, quest’ultima intesa come l’insieme degli stimoli sociali e culturali determinati storicamente (Lurija, 1977).

Nei decenni a seguire incrementarono in modo esponenziale le pubblicazioni scientifiche insieme a nuove definizioni di funzioni esecutive e controllo cognitivo, un’impresa che viene considerata ancora oggi complessa alla luce della natura alquanto sfuggente ed elusiva di tali costrutti (Jurado e Rosselli, 2007). Quest’ultimo aspetto non dovrebbe sorprendere, in considerazione del fatto che le funzioni esecutive e i processi di controllo cognitivo sono costrutti teorici, o ipotetici, che dipendono anche dal contesto teorico di riferimento da cui un autore muove la propria proposta e, come tanti altri costrutti psicologici, sono di per sé concetti vuoti che manifesterebbero indirettamente la loro presenza in occasione dell’esecuzione di un particolare compito; infatti, il rischio è quello della reificazione di una variabile, ovvero il processo per cui si rende concreto ciò che in realtà è soltanto astratto (Shuttlesworth et al. 1984).

In cerca di una definizione di Controllo Cognitivo (CC) e Funzioni Esecutive (FE)

Nella letteratura scientifica si trovano molte definizioni associate ai termini CC e FE e per questo motivo sono considerati dei termini a ombrello (Otero et al., 2014). Solitamente sono utilizzati per indicare abilità e processi cognitivi di alto livello (Diamond, 2013): alcuni esempi sono l’anticipazione e l’avvio del comportamento (Anderson, 2002), la pianificazione (Oosterlaan, Scheres e Sergeant, 2005), l’autoregolazione del comportamento, delle emozioni e dei pensieri (McCloskey et al., 2009, Barkley, 2011), la flessibilità cognitiva (Baron, 2004; Crone, 2009), la resistenza all’interferenza dei distrattori (Banich, 2009), la memoria prospettica (Burgess, 1997), il problem solving (Ardila, 2008), il monitoraggio (Lyons a Zelazo, 2011) e la memoria di lavoro (Miller e Cohen, 2001). Alcuni autori, invece di definire singole proprietà, fanno riferimento a un insieme di processi di controllo dominio generale coordinati tra di loro per affrontare in modo adattivo un particolare compito (Funahashi, 2001; Vriezen e Pigott, 2002).

BOX 1 – La natura fluttuante del Controllo Cognitivo: la variabilità intraindividuale

La variabilità intraindividuale (VII) fa riferimento ai cambiamenti momentanei, o transitori (MacDonald et al., 2006), nella performance di una persona, in particolare quando impegnata in prove a tempi di reazione; nel passato veniva considerata come un errore di misura da eliminare dalle analisi statistiche, oggi invece è valutata come un importante indicatore dell’efficienza con il quale i processi di controllo cognitivo e attentivo sono allocati su un compito specifico.

In un’ottica di ciclo di vita, è possibile evidenziare cambiamenti nella VII durante le varie fasi evolutive. In generale, i bambini mostrano, rispetto agli adulti, una maggior variabilità che sembra essere legata allo sviluppo. In particolare, un decremento di VII è stato messo in relazione con la maturazione a livello di connettività della materia bianca. Al contrario, è stato mostrato un incremento di VII durante l’invecchiamento (Dykiert et al., 2012). Queste informazioni suggeriscono come la variabilità intraindividuale vari nel corso del tempo (MacDonald et al., 2006).

Altri studi hanno permesso di evidenziare differenze nella VII dei tempi di reazione (RT) anche nel confronto tra popolazione clinica e normale: in particolare, un aumento di VII è stato messo in relazione con disturbi del neurosviluppo come l’ADHD, nella sindrome di Tourette e nell’autismo. van Belle et al. (2015) sottolineano come un’alta VII possa essere un marker del corretto sviluppo neurale, portando a concettualizzare la VII nei RT più genericamente come un marker per disturbi psicopatologici in generale o come un fattore di rischio condiviso (Kofler et al., 2013).

Tamm et al. (2012) suggeriscono che l’aumento della VII osservato in patologie psichiatriche diverse tra loro dipenda dalla presenza di comuni problemi a livello attentivo. Dunque, un aumento dell’inconsistenza nella performance rifletterebbe occasionali lapsus attentivi, suggerendo che un aumento della VII in bambini e adolescenti con difficoltà a livello attentivo, come nell’ADHD e nelle difficoltà di apprendimento, possa determinare degli effetti a cascata sull’organizzazione temporale del comportamento, ovvero maggior inconsistenza nella performance.

A livello neurobiologico, è stato osservato che la VII è associata ai meccanismi di controllo attentivo implementati dalle funzioni prefrontali (Cubillo et al., 2021; Papenberg et al., 2013).

Il CC e le FE risultano essenziali per pianificare, controllare e regolare il flusso delle informazioni (Gazzaniga et al., 2021), fornendo un’interfaccia tra la percezione, la memoria a lungo termine e le azioni, consentendo a queste ultime di rimanere in linea con gli obiettivi, le motivazioni, i processi autoreferenziali e le informazioni sensori-motorie (Keller et al., 2022). Tali processi sono supportati da un’ attivazione diffusa e sostenuta da diversi network neurali, o circuiti, richiamati in modo più o meno mutevole a seconda del tipo di abilità richieste nella situazione contingente.

Kane et Al. (2007), per esempio, sostengono l’ipotesi di una sinergia tra processi attentivi e le memorie, al fine di mantenere attivato l’ accesso alle informazioni rilevanti per il compito in corso e, nel contempo, bloccare le informazioni irrilevanti. Questa abilità, soprattutto in situazioni di interferenza (doppio compito), richiederebbe l’ intervento di un sistema attivo come la capacità in memoria di lavoro, che consentirebbe di concentrare l’ attenzione e spostarla flessibilmente.

Un altro importante aspetto è la relazione tra CC e i processi emotivi e motivazionali. Sebbene alcuni autori preferiscano separare i concetti di CC da quelli riferibili agli aspetti emotivo-motivazionali (Koeclin, 2013), ipotizzando di conseguenza prove che valutino aspetti “freddi” del CC e altre che ne valutino aspetti più “caldi”, il senso comune suggerisce come qualsiasi comportamento messo in atto quotidianamente, dal più semplice a quello che richiede maggior impegno, sia caratterizzato e influenzato da aspetti emotivi e motivazionali. Infatti, studi recenti che utilizzano prove ipotizzate valutare alcuni aspetti del CC con la presenza di stimoli emotigeni e non emotigeni, trovano attivazioni in regioni del cervello associate tipicamente al CC con entrambi i tipi di stimoli indicando, perciò, la presenza di processi di CC condivisi tra le varie prove (Seeley et al., 2007; Menon e Uddin, 2010).

Il CC potrebbe essere rappresentato anche come un’insieme di processi di controllo emotivo, in altre parole le emozioni non dovrebbero essere viste come un epifenomeno in situazioni di conflitto cognitivo, ma come vere e proprie fondamenta emotive del CC (Inzlicht et al., 2015).

Il CC è un costrutto unitario o un’insieme di funzioni?

Una questione importante è se il controllo cognitivo è un sistema unitario oppure è composto da un insieme di componenti. O ancora se è sia unitario che frazionato.

I termini ‘unità e diversità’ sono già apparsi nella neuropsicologia clinica (Teuber, 1972), tuttavia alcuni recenti modelli psicometrici hanno esaminato la questione in riferimento al CC indagando le correlazioni tra prove psicometriche supposte valutare alcuni aspetti riconducibili alle funzioni esecutive in persone senza lesioni cerebrali. Per esempio Miyake e colleghi (2000) si sono concentrati su tre abilità del CC: l’inibizione di risposte preponderanti, come quando è richiesto di arrestare una determinata risposta motoria al fine di mettere in atto una risposta alternativa; l’aggiornamento in memoria di lavoro, come quando è richiesto di ascoltare una lista di sostantivi e poi ripetere solo quelli appartenenti ad una certa categoria; la flessibilità cognitiva, o shifting tra set mentali, come quando è richiesto di classificare delle immagini a volte per forma ed a volte per colore.

Avvalendosi di statistiche complesse come l’analisi delle variabili latenti (un’ estrazione statistica della varianza comune a un determinato insieme di prove psicometriche), i risultati dei loro studi suggeriscono sia l’unità che la diversità delle funzioni esecutive. In estrema sintesi, le tre abilità da loro considerate, anche se in linea teorica è impossibile determinare il numero esatto di funzioni esecutive, condividerebbero qualcosa in comune, ma allo stesso tempo sarebbero anche qualcosa di differente una dall’altra. Questo aspetto non dovrebbe sorprendere, considerando che il controllo cognitivo è, appunto, controllo di altri processi cognitivi e quindi è ragionevole pensare che nell’esecuzione di un determinato compito siano richiamate tutte le diverse abilità ascrivibili al CC.

Figura 1. Rappresentazione schematica dell’organizzazione funzionale dei sistemi di controllo cognitivo.

Recenti modelli psicometrici hanno identificato un fattore generale di CC correlato al costrutto teorico di inibizione della risposta e altre componenti più specifiche come la l’aggiornamento in memoria di lavoro e la flessibilità cognitiva (Friedman et al., 2008; Miyake e Friedman, 2012). La componente comune potrebbe anche essere relativa all’abilità di mantenere la rappresentazione degli obiettivi al fine di selezionare solo le informazioni pertinenti e utili al raggiungimento dello scopo (Friedman e Miyake, 2017).

Modelli ibridi, quali il “Multiple Demand” (MD) di Duncan (2010), prevedono un sistema, o network, distribuito frontoparietale, coinvolto in compiti di molti tipi diversi: in base al carico elaborativo, tale rete consente un’attività integrata per legare insieme le molteplici caratteristiche di un programma di controllo mentale, mentre processi specializzati supportano funzioni specifiche, per esempio alcuni aspetti dell’inibizione della risposta, dell’aggiornamento in memoria di lavoro e della flessibilità cognitiva (Shashidhara et al. 2019). Il CC avrebbe anche connessioni con altri sistemi complessi e processi non esecutivi come quello del linguaggio (Miyake e Friedman, 2012; Friedman e Robbins, 2022; McCall et al., 2023).

Aspetti fondamentali dell’intelligenza fluida, come il ragionamento e il problem solving, sono spesso inclusi nell’ombrello delle FE. Infatti, l’intelligenza fluida si sovrappone fortemente a quella cosiddetta di livello superiore delle funzioni esecutive, vale a dire il ragionamento, la risoluzione dei problemi e la pianificazione. Tuttavia, il CC e le FE sembrano essere qualcosa di differente dal fattore g di Spearman (fattore di intelligenza generale). Infatti condividerebbero solo il 25% della varianza con il fattore g, indicando che non siano la stessa cosa (Friedman e Miyake, 2017).

Un filone di ricerca emerso negli ultimi anni ha affrontato la questione relativa alla possibilità che le differenze individuali in prove che valutano le FE siano o meno ereditabili. Studi sui gemelli suggeriscono che, almeno a livello di variabili latenti, tali differenze siano altamente ereditabili (Friedman et al., 2008; Engelhardt et al., 2015). Tuttavia questa affermazione non è stata esente da critiche (Müller et al., 2013).

Il ruolo dei network e sistemi funzionali della corteccia prefrontale nel controllo cognitivo e nelle funzioni esecutive

Il CC e le FE richiamano sia processi specializzati sia l’integrazione funzionale tra aree del cervello, emergendo come conseguenza dell’interazione dinamica tra network cerebrali, e questa interazione realizza un sistema di codifica adattiva (eg. Duncan, 2010; Shashidhara et al., 2019) evolutosi per affrontare in modo efficace le richieste di un determinato compito o di una situazione specifica. La PFC (Corteccia Prefrontale) svolge un ruolo di hub cognitivo molto importante nel coordinare altri processi mentali e quindi nel realizzare il CC (Friedman e Miyake, 2017).

Negli ultimi anni, grazie allo sviluppo di metodologie e strumenti sempre più precisi, sono stati individuati alcuni network nella PFC, caratterizzati da una specifica impronta definita dalle reciproche connessioni con altre aree cerebrali formando così dei network funzionali che comprendono un’insieme di regioni connesse con uno specifico pattern spazio-temporale di attività e interattività (McIntosh, 2000). Infatti, sta acquisendo rilevanza l’approfondimento della connettività effettiva e funzionale tra regioni cerebrali (McIntosh e Gonzalez-Lima, 1994) così come il confronto tra i pattern di attivazione dei network cerebrali richiamati nella ricerca di quello che viene chiamato connectional fingerprint (Passingham, Stephan e Kötter, 2002).

Fig.2. La figura mostra le principali aree della corteccia prefrontale. I numeri indicano le aree di Brodmann. La corteccia prefrontale mostra un’estesa connettività neuroanatomica con molte aree del cervello estendendo le funzioni di controllo cognitivo ad altri domini funzionali come quello verbale, visivo, spaziale ecc. (Adattato da Friedman e Robbins, 2022).

I sei network coinvolti nel CC sono stati identificati utilizzando diversi metodi, da quelli computazionali all’analisi della connettività funzionale a riposo e in relazione a compiti cognitivi. Le diverse configurazioni hanno suggerito i seguenti network della corteccia prefrontale e che comprendono altre regioni del cervello :

  • il network “fronto-parietale”, o “central executive” (FPN), ancorato alla corteccia prefrontale dorsolaterale (BA 9/46) e dorsomediale (BA 6), al giro sopramarginale della corteccia parietale posteriore (BA 40), al nucleo caudato e il talamo anteriore; recentemente è stato proposto un modello che indica il FPN importante per sostenere quei repentini cambiamenti che consentono di esercitare un controllo flessibile e adattabile al contesto in sintonia con il cingolo-opercolare o CON (vedere sotto), che fornirebbe dei segnali per sostenere l’attenzione integrativa nel tempo (Dosenbach et al., 2008). Il FPN implementerebbe meccanismi finalizzati a coordinare gli altri network, sostenuto dal ruolo complementare del CON, che fornirebbe le risorse necessarie per sostenere un adeguato livello di attivazione consentendogli di affrontare nel modo ottimale il compito in atto (Cocuzza et al. 2020). Una questione rilevante è se un sistema di CC che consideri le funzioni di coordinamento in termini di progressi nella situazione contingente, come quelli realizzati e sostenuti dal FPN, debba fare ricorso al cosiddetto homunculus (Gazzaniga et al., 2021). La neurobiologia ha recentemente dimostrato l’irrilevanza della questione se scomodare un homunculus che attivi o disattivi al momento giusto il sistema, svelando l’esistenza di meccanismi a livello cellulare che agiscono come dei sensori e che possono attivare determinati recettori (Murthy, 2022) senza la necessità di un presunto homunculus.
  • il network “cingolo-opercolare” (CON), che si sovrappone al “salience network” (SN) e comprende l’insula anteriore, la corteccia cingolata anteriore e regioni sottocorticali (Seeley et al., 2007). Alcuni autori suggeriscono che le connessioni tra le aree che costituiscono questo network e il FPN siano importanti per realizzare il giusto livello di allerta: più precisamente, sembrerebbe che il CON sia coinvolto nel mantenimento di un tipo di allerta tonico e il FPN di un tipo di allerta fasico, ovvero fornendo segnali che regolano momento per momento l’elaborazione in atto (Sadaghiani e D’Esposito, 2015). Il salience network e il CON mostrerebbero sovrapposizioni a livello anatomico nell’insula anteriore e nella corteccia cingolata anteriore, ma a livello funzionale sembrano presenti differenze nella tipologia di controllo cognitivo che realizzano. Infatti mentre il SN è stato indicato da alcuni come nodo importante per rilevare tutti quegli eventi con caratteristiche di salienza dal punto di vista biologico e comportamentali, guidando così in modo adattivo l’attenzione e il comportamento (Sridharan et al., 2008), il CON garantirebbe il mantenimento dell’ azione sugli stimoli omeostaticamente salienti (Sadaghiani e D’Esposito, 2015).
  • il network “attentivo ventrale” (“ventral attention” network), comprende il giro frontale inferiore, regioni dell’insula e la giunzione tempo-parietale; questo network mostra connessioni con il DAN (dorsal attention network), in alcuni casi fungendo come una sorta di interruttore per richiamare l’attenzione su stimoli salienti. Il controllo endogeno esercitato dal DAN può essere in ogni momento “aggiustato” grazie alle connessioni con il network frontale ventrale (VAN), attirando l’attenzione su stimoli improvvisi e salienti dal punto vista comportamentale (Shulman et al., 2009).
  • il network “attentivo dorsale” (“dorsal attention” network), include i campi visivi frontali e il solco intra-parietale; i nodi che comprendono il network risultano attivati in compiti che coinvolgono l’attenzione spaziale (Corbetta e Shulman, 2002), in particolare nel selezionare gli stimoli rilevanti mediante l’implementazione del controllo top-down sugli stimoli e le risposte appropriate.
  • il “default mode network” (DMN), comprende regioni cerebrali ampiamente distribuite nella corteccia parietale, temporale e frontale. Contrariamente agli altri network fin qui descritti, è attivo in stati di riposo e durante stati mentali quali l’elaborazione autoreferenziale e il recupero della memoria autobiografica, mentre si deattiva durante compiti cognitivi. Pertanto, la sua attività è solitamente opposta a quella degli altri network durante l’esecuzione di compiti cognitivi, ovvero mostrando maggiore attività a riposo e durante i cosiddetti processi di controllo interni invece che durante attività che richiedono attenzione (Friedman e Robbins, 2022; Menon e D’Esposito, 2022).

Conclusioni

Come emerge dalla nostra revisione, il CC e le FE svolgono un ruolo cruciale nella pianificazione, nel controllo e nella regolazione del flusso delle informazioni. Questi costrutti sono coinvolti nella percezione, nella memoria e nell’azione, e sono centrali nei processi di decision making e nell’esecuzione di compiti finalizzati ad uno scopo.

I processi emotivi e motivazionali sono strettamente legati al CC. Anche se alcuni autori preferiscono considerare separatamente i concetti di CC e gli aspetti emotivo-motivazionali, è evidente come le emozioni e la motivazione influenzino tutti i comportamenti, specialmente quelli che richiedono maggior impegno cognitivo.

In letteratura sono presenti diversi studi che mirano ad ascrivere il CC a specifici network neurali. Come evidenziato nel paragrafo “Il ruolo dei networks e sistemi funzionali della corteccia prefrontale nel controllo cognitivo e nelle funzioni esecutive”, e’ stato recentemente possibile individuare sei network principalmente coinvolti in compiti di natura attentivo-esecutiva. Occorre tuttavia riflettere sulla possibilita’ di segregare ed utilizzare in maniera selettiva queste reti nella quotidianita’; e’ verosimile ipotizzare che siano molto piu’ frequenti le azioni finalizzate che coinvolgono l’integrazione di sistemi dominio-specifici con i network del CC.

Queste reti neurali influenzano e sono influenzate da diversi hub e network e secondo il principio “use it or lose it” la forza di queste connessioni risente della variabilita’ interindividuale dettata anche dall’esperienza del singolo. Badre & D’Esposito (2009) ricalcano questa idea proponendo un sistema di funzioni esecutive organizzate in modo gerarchico, in cui le elaborazioni più complesse delle regioni anteriori facilitano l’attivazione delle regioni posteriori della PFC. In questo modello, le regioni posteriori del lobo frontale sarebbero responsabili della formazione e dell’ esecuzione di semplici regole che collegano gli stimoli al comportamento (premere un tasto quando si vede un quadrato rosso). Le regioni più anteriori, invece, sarebbero responsabili di codificare le norme per il comportamento di ordine superiore, inviando input a hub posteriori dominio-specifici.

Studi recenti cercano di chiarire come l’organizzazione funzionale del cervello supporti lo sviluppo del CC. Per esempio, una linea di ricerca analizza il functional connectome, ovvero l’insieme di tutte le interazioni funzionali nel cervello. Il functional connectome può essere suddiviso in sistemi funzionali che mostrerebbero una graduale differenziazione tra loro nei profili di connettività lungo un asse sensori-motorio/associativo, catturando l’organizzazione su macro scala della corteccia. I sistemi funzionali aderiscono a questa organizzazione (Margulies et al., 2016) con alcuni sistemi che diventano nel corso dello sviluppo maggiormente segregati e specializzati, altri più integrati. Per esempio i sistemi sensori-motori, più modulari, presenterebbero interazioni ridondanti cosa che fornisce una maggiore robustezza ai sistemi funzionali più specializzati nell’elaborazione di alcune tipologie di informazione. Invece, i network coinvolti nella cognizione più complessa sono caratterizzati da interazioni e integrazioni tra i sistemi funzionali collegati, portando a una interazione sinergica e complementare che implementerebbe l’attenzione integrativa e il controllo cognitivo (Luppi et al., 2022).

I sistemi di controllo cognitivo e l’attenzione integrativa supportano i cambiamenti che si verificano durante l’infanzia e l’adolescenza, favorendo la comunicazione e coordinazione tra i diversi sistemi funzionali. Questi complessi processi di riorganizzazione continua sarebbero alla base dello sviluppo delle funzioni esecutive, che a loro volta realizzerebbero processi specializzati e favorirebbero la comunicazione flessibile tra i diversi sistemi funzionali. Grazie a continui processi di riorganizzazione a raffinamento a livello di connettività funzionale che interessano i sistemi attentivo ventrale e frontoparietale, emerge una maggiore differenziazione tra i network e al contempo si sviluppano le abilità di controllo dell’attenzione (Keller et al., 2022).

Le differenze nei profili di connettività tra i sistemi funzionali, insieme alle particolari caratteristiche a livello di proprietà neurobiologiche, possono essere rappresentate lungo un asse che dalle aree sensoriali primarie percorre l’intera corteccia fino alle aree associative ed a quelle deputate a supportare gli aspetti più complessi e astratti del pensiero. Tale processo di allineamento dei sistemi funzionali lungo tale asse si protrae nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza rendendo i vari sistemi di CC più vulnerabili alle esperienze positive (per esempio training cognitivi e attentivi e della memoria di lavoro) ma anche a esperienze negative.

Il CC risulta quindi essere un costrutto complesso, difficilmente scindibile da quello di FE; inoltre, la trasversalita’ di questo costrutto evidenzia come questo sia implicato in diversi compiti complessi e funzioni di ordine superiore. La capacità del cervello umano di riorganizzare dinamicamente la propria configurazione funzionale su larga scala in risposta a situazioni che richiedono un particolare sforzo cognitivo risulta una delle più importanti conquiste a livello evoluzionistico dell’essere umano fornendo robustezza, ma allo stesso tempo flessibilità, all’intero sistema cognitivo per far fronte a circostanze mutevoli.

Studi futuri dovranno indagare la relazione tra CC e disturbi psichiatrici e neurologici (Friedman e Robbins, 2022; Menon e D’Esposito, 2022) così come con altre funzioni complesse, analizzando in che misura – al netto della variabilita’ interindividuale – alterazioni a livello di CC producano alterazioni in parallelo in diversi compiti di natura piu’ o meno dominio-specifica.

Simone Loprete
Università degli Studi di Genova
simoneloprete@hotmail.com

Federico Palmisani
Università di Exeter
f.palmisani@exeter.ac.uk

Grazia Maria Santoro
Università degli Studi di Genova
graziamariasantoro@fastwebnet.it

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