Coronavirus in carcere. Radicalizzazione, conseguenze psico-sociali e processi rieducativi

L’emergenza sanitaria globale dovuta alla diffusione del COVID-19, ha causato ripercussioni sul settore produttivo ed ospedaliero, non lasciando indenne neanche il sistema penitenziario.

Le proteste alle quali si è assistito recentemente, per citarne solo alcune, nelle carceri di Milano, Modena, Foggia e Trapani, causate dal panico dei detenuti alla notizia della pandemia, mettono in risalto non solo la gravità del diffondersi del COVID-19 ma anche la fragilità degli equilibri psico-sociali, determinanti nella buona gestione delle persone ristrette.

Infatti, oltre a condizioni psicologiche pregresse, l’isolamento sociale e la mancanza di gratificazione causate dalla detenzione, rappresentano elementi da monitorare e bilanciare costantemente non solo per evitare disordini su larga scala, in cui il carcere funge da cassa di risonanza, ma anche per guidare il detenuto verso un percorso riabilitativo.

In quest’ambito, uno degli aspetti principali da tenere sotto controllo, riguarda il nesso tra carcere ed estremismo jihadista. Tale fenomeno, pur non essendo rumoroso quanto una protesta pubblica, è altrettanto pericoloso a lungo termine oltre ad insinuarsi nelle pieghe del percorso riabilitativo, rischiando di renderlo totalmente vano.

Il fenomeno della radicalizzazione

La radicalizzazione jihadista è un processo che porta l’uomo a diventare terrorista. Un percorso silente ma non privo di segnali da intercettare ed interpretare.

Infatti, riconoscere la minaccia quando ancora a livello embrionale risulta fondamentale per poter avere un impatto significativo sulla progressione del fenomeno.

A tal fine, in maniera esemplificativa, il processo di radicalizzazione può essere suddiviso in quattro fasi, ognuna delle quali ha delle peculiarità e possibilità di intervento differenti.

  1. Pre-radicalizzazione: individua i fattori esogeni, definiti dal contesto generale, che rendono un individuo ricettivo all’estremismo.
  2. Identificazione: il soggetto si allontana progressivamente dall’identità o comportamento che lo caratterizzava fino a quel momento.
  3. Indottrinamento: ha inizio l’isolamento e l’accettazione dell’ideologia estremista; l’individuo sviluppa una nuova identità e una nuova visione del mondo.
  4. Manifestazione: presa di coscienza nell’attivismo per abbracciare la propria rinnovata ideologia ed agire in prima persona per il cambiamento della società.

Nonostante la natura delle fasi sopra descritte siano finora risultate comuni a tutti i soggetti, non è possibile definire il comune denominatore del percorso di radicalizzazione. Ogni processo è individuale; è il risultato di variabili esogene (ad esempio, la sua storia personale e la sua percezione del mondo che lo circonda), che si intersecano in modo unico e diverso con variabili endogene (ad esempio, il contesto socio-culturale in cui è inserito).

Ciononostante, definire i vari step è l’unico modo al momento utile a riconoscere e prevenire che avvenga un processo ideologico e socio-culturale teso all’accettazione ed attivismo dell’estremismo ideologico jihadista.

A tal fine, a livello statale, basandosi sulle diverse fasi della radicalizzazione finora identificate, vengono previste tipologie di azioni finalizzate a trovare una possibile intersezione nelle pieghe del processo di accettazione dell’ideologia estremista, che rende possibile scardinarne le cause.

In particolare, in questo contesto, si individuano tre momenti in cui intervenire:

  1. Primario, in grado di intervenire anticipando l’attivazione del processo, mirando ad eliminare ab origine i potenziali fattori di rischio.
  2. Secondario, un intervento precoce e specifico con gruppi considerati a rischio e soggetti vulnerabili.
  3. Terziario, mirato a soggetti già radicalizzati e mira a prevenire il rischio di recidiva. Quello che è significativamente chiamato de-radicalizzazione.

La fase di prevenzione terziaria, ovvero il processo della de-radicalizzazione, è un percorso individuale, che procede a scandagliare e scardinare agendo a ritroso sulle motivazioni che hanno portato il soggetto ad abbracciare l’ideologia jihadista, al fine di innescare le ragioni opposte che spingono ad allontanarsene.

Il carcere come luogo della radicalizzazione

I contesti in cui si riscontra maggiore probabilità di proliferazione dei processi di radicalizzazione sono quelli in cui si costruiscono nuovi processi di socializzazione, caratterizzati da sintomi di esclusione sociale, disagio ed esasperazione del rancore nei confronti di una società da cui il soggetto sceglie di isolarsi.

In particolare, assume una grande valenza sul piano osservativo l’ambiente carcerario, dove l’emarginazione, il degrado sociale e il contatto con altri detenuti radicalizzati diventano concause di devianza che, progressivamente, conducono il detenuto all’accettazione di idee estremiste.

Tra questi elementi, risulta determinante la percezione del soggetto della privazione dei diritti durante la detenzione, la quale si tramuta in carburante d’odio favorendone la radicalizzazione. In quasi tutti gli stati europei, del resto, il sovrappopolamento carcerario è una realtà che può tramutare il carcere in luogo di “incubazione” di idee radicali.

Questo un fenomeno rappresenta una crescita graduale. Infatti, recludere menti radicalizzate insieme a criminali comuni aumenta inevitabilmente il rischio del “contagio”: chi è radicalizzato infesta l’ambiente che lo circonda.

Inoltre, a fare da veicolo di radicalizzazione è la promiscuità dell’ambiente. La detenzione, come profonda condizione di isolamento ed emarginazione, ricreata dall’esclusione dapprima fisica e successivamente sociale e psicologica dei reclusi dalla società, dalla famiglia e dagli affetti, privano l’individuo della sfera della gratificazione, alienandolo.

I contatti sociali individuali vengono meno e il recluso vede lo specchio della propria identità nel gruppo a cui aspira appartenere, dove la sua personalità si fonde e identifica con il gruppo, che assume il ruolo di unica entità di tutela e di guida religiosa.

Da quest’ottica, quindi, la natura repressiva del carcere, se non accompagnata da un adeguato percorso rieducativo teso alla risocializzazione, può generare o incentivare sentimenti di avversione per il sistema.

Il carcere può accentuare la fragilità ed annullare le speranze, generando una condizione di estrema debolezza, alimentando un ecosistema gerarchico in cui le menti già radicalizzate, attraverso la religione, possano convincere altri detenuti che l’ideologia estremista sia la soluzione ai loro problemi.

Per disinnescare i processi di radicalizzazione è dunque fondamentale intervenire in maniera preventiva sui processi culturali, agendo negli stessi contesti in cui la radicalizzazione matura.

La funzione rieducativa della religione

La religione, se da un lato può essere strumento di radicalizzazione, dall’altro può essere leva primaria ed imprescindibile del percorso di recupero.

In questa cornice, si favorisce la collaborazione tra mediatori culturali ed imam dal riconosciuto grado di affidabilità, con gli istituti penitenziari.

Tuttavia, si evidenzia che l’Islam non ha un’organizzazione unitaria e per l’accesso degli imam negli istituti penitenziari si segue la stessa procedura prevista per i ministri di culto di confessioni religiose, richiedendo quindi il nulla osta ad personam dall’ufficio culti del Ministero dell’interno.

Tuttavia, queste figure esterne, nell’intento di interagire con soggetti radicalizzati, soffrono l’aver ottenuto un’autorizzazione del Ministero dell’Interno, venendo spesso percepite dal detenuto come “spie” dello Stato demandate al loro mero controllo.

Ciononostante, il ruolo strategico di queste figure religiose non viene scalfito da inevitabili pregiudizi, dimostrando comunque un comprovato ruolo chiave nel creare gli anticorpi necessari al contrasto della radicalizzazione e, come inevitabile conseguenza, di essere fondamenta su cui poggiare la costruzione di un percorso di de-radicalizzazione.

Entrambi i processi possono disinnescare l’odio nei confronti del contesto reale in cui si trova l’individuo, agendo a completamento della funzione rieducativa della pena e portandola, così, al suo pieno compimento.

Conclusioni

Alla luce di quanto riportato, la prevenzione, la collaborazione a vari livelli e l’attività di ricerca, analisi e osservazione rappresentano lo snodo fondamentale verso un effettivo sistema di meccanismi efficaci di de-radicalizzazione. La cooperazione tra forze dell’ordine, esperti del settore e politica, in un’ottica di prevenzione e osservazione, può portare dei benefici tangibili all’incremento della sicurezza, contribuendo ad alleviare quel sentimento di abbandono che porta anche a manifestazioni pericolose per l’incolumità dei detenuti e del personale, come quelle alle quali si è assistito in occasione della diffusione del COVID-19.

Inoltre, per quanto riguarda esclusivamente il fenomeno della radicalizzazione, è fondamentale mantenere un visione ravvicinata, in quanto le logiche e le dinamiche proprie dell’estremismo di matrice jihadista presentano connotati trasversali difficili da tenere sotto controllo rispetto a quelle che governano altre forme estremismo come, ad esempio, quello di matrice interna.

Quindi, per frenare il percorso di radicalizzazione è importante la formazione costante di tutti gli attori coinvolti e, data la peculiarità del contesto carcerario, in primis del personale penitenziario e di tutte le forze di polizia coinvolte per decodificare ed individuare gli elementi del comportamento che fungono da sintomi di una radicalizzazione in corso (1). Questo consentirà solo successivamente di poter attivare tutte le misure utili ad intercettare e interrompere il percorso di indottrinamento.

Elena Balia

Note

  1. “Transfer Radicalisation Approaches in Training”, progetto proposto dal DAP e dal Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero della Giustizia italiano volto ad ampliare la conoscenza del fenomeno della radicalizzazione tra gli operatori penitenziari degli Istituti per minori e per adulti e per coloro che si occupano dell’applicazione delle misure alternative e di comunità.

Fonti

  1. Augusto Zaccariello, Il fenomeno della radicalizzazione violenta e del proselitismo in carcere (II parte), in Sicurezza e Giustizia, Lexetars, Roma, n. IV, 2016, pp. 43-44.
  2. Augusto Zaccariello, “Il carcere e il suo paradosso. Bacino di reclutamento per aspiranti mujaheddin e garanzia di riabilitazione per i detenuti”, Gnosis. Rivista italiana di intelligence, Numero speciale dedicato al tema della Deradicalizzazione (a cura di Lorenzo Vidino), 2018, pp. 57-63.
  3. AAVV, La radicalizzazione del terrorismo islamico. Elementi per uno studio del fenomeno di proselitismo in carcere.l’Istituto Superiore di Studi Penitenziari, 2012.
  4. Claudio Galzerano, Lotta al Jihad in carcere, in «Polizia Moderna», marzo 2019.
  5. Commissione Internazionale Austria, Francia, Germania, Manuale sulla radicalizzazione violenta, riconoscimento del fenomeno da parte di gruppi professionali coinvolti e riposte a tale fenomeno, Commissione Europea – Direzione Generale della Giustizia, Libertà e Sicurezza, giugno 2009.
  6. D. Milano, A. Negri, Tra libertà di religione e istanze di sicurezza: la prevenzione della radicalizzazione jihadista in fase di esecuzione della pena in «Stato, Chiese e pluralismo confessionale», rivista telematica, 18 giugno 2018, pp. 7-10.
  7. F. Delvecchio, Il detenuto a rischio radicalizzazione e i rimedi della prevenzione terziaria: triage iniziale, scelta allocativa e ruolo degli operatori penitenziari, in «Diritto Penale Contemporaneo», rivista telematica, 2017.
  8. J. Nevett (12/03/2020) How Europe deals with terror offenders when they are freed from jail. BBC NEWS.
  9. J. Pasquali Cerioli, Propaganda religiosa: la libertà silente, Giappichelli, Torino, 2018.
  10. M. Soddu, L’Imam e la pratica Islamica in ambito carcerario, Brainfactor, 9 giugno 2018.
  11. RAN (Radicalization Awareness Network) Dealing with radicalisation in a prison and probation context RAN P&P – practitioners working paper.
  12. Relazione sull’amministrazione della giustizia – anno 2017 – Inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2018 – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, 2018.
  13. UNODC (United Nations Office of Drugs and Crime), Handbook on the Management of Violent Extremist Prisoners and the Prevention of Radicalization to Violence in Prisons.
  14. Vidino L., L’introduzione di misure di de-radicalizzazione in Italia: note preliminari, in L. VIDINO (a cura di), L’Italia e il terrorismo in casa: che fare?, Epoké – ISPI, 2015, pp. 72-73.

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