Il rapporto tra scienza e spiritualità, che continua ad essere problematico, si riflette anche, e forse soprattutto, nel rapporto tra coscienza e cervello, che è stato indagato a lungo in questi decenni, senza giungere a una posizione condivisa. In questo articolo parlerò di questo rapporto e proporrò una teoria che credo possa conciliare e comprendere i due aspetti, quello scientifico e quello spirituale.
Gli atti di coscienza dipendono dall’integrità del cervello
Partiamo dal fatto che il rapporto della coscienza e degli atti di coscienza con il cervello non si può negare. Esistono moltissimi dati verificati (dati accertati, non ipotesi o teorie) che collegano la coscienza al cervello e singoli atti di coscienza a singoli cervelli:
- lesioni dell’area di Wernicke dell’emisfero sinistro producono disturbi del linguaggio e della comprensione;
- lesioni dell’area visiva occipitale producono cecità;
- lesioni dell’area uditiva temporale producono sordità;
- lesioni dell’ippocampo generano incapacità di memorizzare i fatti;
- lesioni dell’amigdala producono assenza di alcune emozioni;
- lesioni cerebrali fetali o neonatali generano ritardo cognitivo più o meno grave;
- distruzioni della corteccia da meningoencefaliti provocano deficit cognitivi più o meno gravi;
- l’atrofia cerebrale produce demenza senile;
- le placche di beta amiloide nella corteccia danno l’Alzheimer;
- la stimolazione con elettrodi di un’area della corteccia genera un’esperienza soggettiva;
- la somministrazione di una sostanza psichedelica produce alterazione della coscienza;
- un trauma cranico grave produce perdita di coscienza;
- la somministrazione di un anestetico generale genera assenza di coscienza.
Chi afferma che la mente non è collegata al cervello nega questi e tantissimi altri dati; ma questo significa arrampicarsi sugli specchi per sostenere un’ipotesi che è smentita in modo fin troppo evidente dai fatti. Credo che non sia e non possa essere questa la via per contestare il materialismo. E credo anzi che queste posizioni che non tengono conto di dati scientifici e medici innegabili alla fine portino acqua al mulino del materialismo.
Ma la coscienza non è causata dal cervello
Il fatto che la coscienza, come abbiamo visto, sia collegata al cervello e alla sua integrità porta la grande maggioranza dei neuroscienziati a sostenere che essa è una capacità o proprietà dei circuiti neuronali ed è causata direttamente da essi. Questo affermano tutte le varianti della teoria dei correlati neurali della coscienza (NCC). La prima di esse è stata proposta nel 1990 da F. Crick e C. Koch. Altre teorie NCC sono quella proposta da A. Damasio nel 2010 e quella proposta da M. Solms nel 2021. Ma tutte queste teorie presentano diversi problemi irrisolti.
I primi due sono stati evidenziati da D. Chalmers in un suo celebre articolo del 1995. Il primo è che i processi neuronali possono avvenire anche “al buio”, senza alcuna esperienza cosciente. Il secondo è che stabilire queste correlazioni risolve “il problema facile”, cioè collegare dei circuiti cerebrali a un atto di coscienza, ma non risolve “il problema difficile”, cioè spiegare come e perché dei circuiti neuronali generino un atto di coscienza, con i suoi qualia: la qualità della coscienza è qualcosa di radicalmente diverso dalla quantità e complessità dei circuiti. Il terzo problema è la considerazione che, anche se si riuscisse ad associare ogni atto di coscienza a una certa configurazione neuronale, ciò non dimostrerebbe che è quella configurazione a generare quell’atto, e che non serve altro; affermare questo sarebbe come pretendere di comprendere perché un uomo piange conoscendo tutto, e nei dettagli molecolari, sulle sue ghiandole lacrimali e su come producano le sue lacrime.
Un ulteriore problema nasce dal fatto che tutte le teorie che sostengono che sono i circuiti neuronali a generare la coscienza sono chiaramente forme di emergentismo. L’emergentismo afferma che la coscienza emerge da un insieme di parti, ma non dalle singole parti. Ma esso è in realtà autocontraddittorio. Poiché le parti di cui si parla sono parti fisiche e materiali, il suo presupposto è il monismo materialista. Se qualcosa emerge da un insieme di parti, significa che emerge non da una semplice somma delle parti, ma da una qualche relazione tra le parti. Ora, le relazioni tra queste parti (tra i neuroni, o tra i circuiti neuronali) sono descritte e regolate da leggi fisiche e chimiche ben conosciute, sono cioè spiegabili scientificamente. Una proprietà o caratteristica di un insieme di parti fisiche è spiegabile con proprietà o caratteristiche delle singole parti. Quindi, non c’è qualcosa che “emerge” da un insieme fisico in relazione. Se così fosse, l’emergentismo sarebbe in contraddizione col monismo materialista, e cadrebbe il suo stesso presupposto.
Anche la teoria dello spazio di lavoro globale (GWT), proposta da J. Newman e B. J. Baars nel 1993 sostiene che la coscienza nasce quando vengono attivate aree della corteccia prefrontale. Oltre ai problemi esposti sopra, essa deve fare i conti con l’osservazione che anche pazienti con distruzione della corteccia prefrontale hanno atti di coscienza. E anche la teoria dell’informazione integrata (IIT), proposta da G. Tononi e G.M. Edelman sostiene che la coscienza nasce nella corteccia cerebrale posteriore. Oltre ai problemi visti sopra, essa presenta quello che alcuni atti di coscienza non attivano la corteccia posteriore; ad esempio, il pensiero creativo attiva la corteccia prefrontale.
Vi sono altri dati a sostegno dell’idea che la coscienza non è una capacità del cervello e non è causata da neuroni o da circuiti neuronali. Il primo è costituito dalle esperienze di pre-morte (NDE, Near Death Experiences), che mostrano che si è capaci di vedere e di sentire anche quando il cervello non è funzionante e l’EEG è piatto. Il secondo sono alcune sensazioni postipnotiche: se a un soggetto ipnotizzato si comanda che al risveglio avrà la mano destra calda, egli al risveglio sentirà la mano destra calda, anche se la sua temperatura misurata è normale ed è identica a quella della mano sinistra. Il terzo sono alcuni fenomeni innegabili, in cui la coscienza di un fatto si verifica nello stesso momento in cui avviene quel fatto in un luogo lontano, come la chiaroveggenza, dove un fatto che sta accadendo in un certo momento è “visto” in quello stesso momento da un soggetto il cui cervello è distante chilometri dal luogo in cui sta accadendo; o come la visione di un luogo o di una scena lontana, verificata da chi era lì in quel momento, durante un’esperienza fuori dal corpo (OBE, Out of Body Experience). Se dunque la coscienza è una capacità di una realtà non neuronale, la mia ipotesi è che questa realtà fa parte di una dimensione non fisica, ma spirituale, che si può anche chiamare anima.
L’interazione tra coscienza e cervello è mediata dai fotoni
Ma se la coscienza non è causata dai circuiti neuronali, ma è comunque, come abbiamo visto, dipendente da essi, dev’esserci qualcosa che collega gli atti di coscienza ai circuiti neuronali. Dev’esserci, cioè, necessariamente, una qualche interazione tra coscienza e cervello. Secondo il dualismo ontologico cartesiano, esistono una res cogitans e una res extensa. Ma questo dualismo non può dar conto dell’interazione tra coscienza e cervello. La critica a Cartesio di P. Gassend, tuttora insuperata, è di non poter spiegare come ciò che non ha estensione possa interagire con ciò che ha un’estensione.
La mia ipotesi è che l’interazione tra coscienza e cervello non è diretta, ma mediata, ed è mediata dai fotoni. L’attività neuronale emette fotoni (questo è dimostrato). Ciò avviene perché il potenziale d’azione di un neurone, cioè la sua attivazione, nasce quando c’è un passaggio massivo di ioni sodio carichi positivamente dall’esterno all’interno del neurone attraverso i canali per il sodio presenti nella membrana. Poiché è stato dimostrato da molto tempo che qualunque movimento di cariche elettriche genera l’emissione di fotoni, ogni insieme di circuiti neuronali genera un insieme di fotoni, una configurazione fotonica. Ma com’è possibile che questi fotoni interagiscano con l’anima? È possibile se si ammette che l’anima ha natura vibrazionale e comprende un campo coscienziale. Così come ogni particella elementare della realtà fisica, secondo la geniale intuizione di P. Dirac, è una vibrazione o eccitazione del relativo campo quantistico (ad esempio, un fotone è un’eccitazione del campo quantistico dei fotoni), ogni atto di coscienza nasce da vibrazioni del campo coscienziale.
Sarebbe più esatto parlare di campo rappresentazionale, perché le sue vibrazioni possono generare non solo sensazioni, o emozioni, o rappresentazioni che costituiscono atti di coscienza, ma anche rappresentazioni o intenzioni inconsce. Ma userò la locuzione campo coscienziale, con sottintesa questa precisazione. Questo campo coscienziale che io collego all’anima ha qualcosa in più rispetto ai campi delle particelle elementari, perché genera la coscienza e il libero arbitrio. Se le generassero anche i campi delle particelle elementari, non potrebbe spiegarsi perché un computer, che è pieno di campi di particelle elementari, non ha coscienza né libero arbitrio. Né potrebbe negarsi, dato che l’attività dei neuroni riguarda un insieme di campi di particelle elementari, che la coscienza è una capacità dei neuroni e dei circuiti neuronali, cioè quello che sostiene il monismo materialista.
Per capire perché i fotoni interagiscono con l’anima, partiamo dall’equazione proposta nel 1924 da L.-V. De Broglie, e poi verificata, che stabilisce che non solo i fotoni, ma anche tutte le particelle dotate di massa hanno natura ondulatoria: λ = h / mv. E nel 1927 N. Bohr enunciò il principio di complementarietà, secondo cui la realtà fisica quantistica ha natura sia corpuscolare sia ondulatoria. Se ha natura ondulatoria, ha natura frequenziale e vibrazionale, come mostrano la stessa equazione di De Broglie, e l’equazione di Planck (E = hv). Quindi i fotoni hanno una natura frequenziale e vibrazionale. Si può pensare che anche l’anima ha natura vibrazionale e comprende un campo coscienziale. E ciò rende possibile l’interazione, che avviene quando l’insieme dei fotoni che, come abbiamo visto, sono emessi dai circuiti neuronali attivi, modificano il campo coscienziale dell’anima, che è “interfacciato” con il cervello. Questo “interfacciamento” dev’essere ammesso, perché, se la coscienza da un lato è generata dall’anima, dall’altro è collegata al cervello, l’anima e il cervello devono essere in qualche modo collegati, e quindi “interfacciati”.
I fotoni emessi dai circuiti neuronali si propagano, come tutti i fotoni, e interagiscono immediatamente con il campo coscienziale che è “interfacciato” col cervello, trasmettono ad esso vibrazioni e si genera un nuovo atto di coscienza. Così si spiegano sia tutte le sensazioni, sia tutte le emozioni, sia una parte delle rappresentazioni e delle intenzioni, quelle che nascono dall’attività neuronale spontanea. Ma un atto di coscienza nasce non quando c’è un singolo circuito neuronale, ma quando c’è un insieme complesso di circuiti neuronali, che coinvolgono non solo la corteccia, ma anche la base encefalica, cioè sia corticali che baso-corticali. Alcuni di questi circuiti baso-corticali sono attivi durante la veglia o durante il sonno con sogni, ma non durante il sonno senza sogni o l’anestesia generale. È questo il motivo per cui la coscienza (durante la vita terrena) non è continua.
Ma si deve ammettere anche che esistano rappresentazioni ed intenzioni che originano dall’anima, e che quindi giustificano l’esistenza del libero arbitrio, che altrimenti non esisterebbe. Occorre come primo passo distinguere chiaramente tra un’intenzione o un contenuto dell’anima e la coscienza di quell’intenzione o di quel contenuto. Se non facessimo questa distinzione non potremmo neanche distinguere tra un contenuto inconscio e la coscienza di quel contenuto, cosa che invece facciamo da Freud in poi. Un’intenzione o rappresentazione dell’anima, che abbiamo detto ha natura vibrazionale, trasmette vibrazioni al campo fotonico, e quindi genera fotoni. Questi fotoni emessi a partire dall’anima “interfacciata” attivano nuovi circuiti neuronali o inibiscono quelli attivi. Come avviene questo?
Sappiamo che, per effetto della pompa sodio-potassio, una proteina che si trova nelle membrane e che fa uscire tre ioni sodio ed entrare due ioni potassio, si genera una differenza di potenziale a riposo, con una zona elettropositiva subito all’esterno delle membrane dei neuroni e una zona elettronegativa subito all’interno. E sappiamo che l’apertura dei canali per il sodio che si trovano nelle membrane fa passare ioni sodio dall’esterno all’interno della membrana di un neurone e questo passaggio genera un potenziale d’azione e un’eccitazione di quel neurone, che viene trasmessa, attraverso le sinapsi, agli altri con cui è in contatto. Si è scoperto che il canale per il sodio è una proteina che contiene una subunità, chiamata S4, che ha una carica elettrica positiva; quando questa subunità si muove verso la parte esterna della membrana, il canale per il sodio si apre e si genera un potenziale d’azione. Poiché qualunque carica elettrica che si trovi all’interno di un campo elettromagnetico viene spostata o accelerata o ruotata, e questo è stato dimostrato sperimentalmente, la mia ipotesi è che i fotoni generati dalle vibrazioni del campo coscienziale, che si propagano, producono un campo elettromagnetico che, agendo sulle cariche positive della subunità S4 del canale, la fa spostare e ruotare, generando così l’ingresso di ioni sodio all’interno e l’attivazione del neurone, quindi delle sue sinapsi e dei circuiti neuronali.
La coscienza di una rappresentazione o intenzione dell’anima è successiva all’attivazione di questi circuiti neuronali e compare quando essi, come abbiamo visto, a loro volta emettono fotoni, i quali fanno vibrare e modificano il campo coscienziale dell’anima. Questo è dimostrato dagli esperimenti di B. Libet del 1983, in cui nell’EEG compare un potenziale che precede di circa 350 millisecondi la coscienza dell’intenzione di compiere un’azione. A far vibrare il campo coscienziale non sono i fotoni generati inizialmente dalle vibrazioni dell’anima; se fosse così, gli atti di coscienza non avrebbero col cervello la relazione che invece hanno, come abbiamo visto. Ma sono i fotoni generati dopo dai circuiti neuronali, perché solo una configurazione fotonica complessa può produrre un atto di coscienza.
L’emissione di fotoni spiega diversi fatti e fenomeni
Tutto quanto esposto fin qui consente di spiegare diversi fatti e diversi fenomeni. Intanto, spiega perché gli atti di coscienza dipendono dal cervello e dalla sua integrità: essi sono ridotti o compromessi nelle condizioni che abbiamo visto sopra perché sono ridotti i circuiti neuronali, quindi è ridotta la quantità di fotoni generata da essi e sono ridotte le modifiche dell’anima da essi prodotte, cioè i nuovi atti di coscienza. La varietà, l’intensità e la bellezza degli atti di coscienza dipendono dall’integrità del cervello, e quindi dalla quantità dei circuiti neuronali, e si riducono proporzionalmente con la riduzione di questa quantità.
Inoltre, l’emissione a partire dall’anima di fotoni che si propagano può spiegare numerosi fenomeni misteriosi, che descrivo nel mio libro I fenomeni misteriosi, e che si possono dividere in quattro gruppi: 1) quelli prodotti dall’azione dei fotoni sulla pelle, come calore, ustioni, ipertermia, o su circuiti elettrici, come accensione o spegnimento di luci o di elettrodomestici; 2) quelli prodotti dalle quantità di moto trasmesse dai fotoni, come levitazioni di oggetti e di persone, spostamento di oggetti, scomparsa di oggetti; che i fotoni trasmettano quantità di moto è mostrato dalla forza di attrazione o repulsione di Coulomb, dall’effetto fotoelettrico, dall’effetto Compton e dalle vele solari; 3) quelli prodotti dalle materializzazioni, che possono avvenire, come negli acceleratori di particelle, a partire dagli urti di fotoni ad elevata energia con altri fotoni o con altre particelle, come gli apporti, o la comparsa su oggetti di lacrime, o di sangue, o di olio; 4) la luce che è presente in alcuni fenomeni misteriosi (come l’aura, le sfere di luce, alcune levitazioni, alcune guarigioni miracolose), che è vista da numerose persone contemporaneamente e nello stesso luogo, quindi è prodotta da fotoni nello spettro visibile che giungono alle loro retine. Tutti questi fenomeni comportano che l’emissione di fotoni a partire dall’anima avvenga mentre essa ha ampliato il suo “interfacciamento” col cervello, e ciò può accadere durante una trance, o durante uno stato estatico, o durante alcuni sogni.
Esperimento possibile per testare l’ipotesi
È possibile programmare un esperimento che dimostri che a partire dall’anima vengono emessi fotoni che precedono un atto di coscienza. Questo è l’esperimento che propongo. Ai soggetti da esaminare vengono applicati insieme, e ciò è tecnicamente possibile, sia gli elettrodi per l’EEG sia il casco per la magnetoencefalografia, che registra i campi magnetici prodotti dall’attività neuronale. I soggetti guardano un quadrante in cui un puntino luminoso si muove a velocità costante, compiendo un giro ogni due secondi. Essi devono riferire in che punto del quadrante si trova il puntino luminoso nell’istante in cui avvertono l’intenzione di muovere in alto un dito. Se venisse registrato in sequenza durante numerose prove prima un campo magnetico, poi la comparsa di un potenziale nell’EEG e poi il momento in cui l’intenzione diventa cosciente, significherebbe che un’intenzione dell’anima ha generato dei fotoni, che poi hanno prodotto un’attivazione neuronale, quella registrata dall’EEG, che precede, come negli esperimenti di Libet, la coscienza dell’intenzione.
Il monismo vibrazionale
Tutto quanto esposto sin qui porta a supporre che non esistano due realtà fondamentali, ma una: non un dualismo, ma un monismo. Ma non un monismo fisicalista, che ha i problemi insoluti che abbiamo visto, ma un monismo diverso, che chiamerò vibrazionale, secondo cui sia le particelle elementari che gli atti di coscienza sono generati da realtà vibrazionali costituite da campi. Un campo fisico è un’entità diffusa, che esiste anche in assenza della corrispondente particella elementare. Anche un campo coscienziale è un’entità diffusa, che esiste anche in assenza di un atto di coscienza. Quando il campo coscienziale è diffuso in un ambito limitato, quello dell'”interfacciamento” con un individuo, si può collegare all’anima individuale. Ma poiché il campo coscienziale è un’entità diffusa, esiste anche un campo coscienziale diffuso ovunque, che si può collegare con la realtà spirituale divina.
Occorre comunque fare una sottolineatura importante. Anche se hanno entrambi natura vibrazionale, c’è diversità tra i campi delle particelle elementari e i campi coscienziali. Questa diversità potrebbe consistere nel fatto che i primi generano entità, le particelle elementari, che hanno un doppio aspetto, ondulatorio e corpuscolare, e questa è un’acquisizione della fisica quantistica, dimostrata dal famoso esperimento della doppia fenditura; mentre i campi coscienziali generano entità, le sensazioni, o le emozioni, o le rappresentazioni, in cui manca l’aspetto corpuscolare e non c’è la materia che vediamo e tocchiamo. La qualità degli atti di coscienza, che non è dovuta alla materia, potrebbe essere dovuta a questa diversità tra i campi delle particelle elementari e il campo coscienziale.
Per la realtà spirituale io uso anche la locuzione “dimensione extrafisica”, nel senso di una dimensione, quella dei campi coscienziali, che non è quella dei campi delle particelle elementari che secondo la meccanica quantistica costituiscono l’universo fisico e materiale. Non sto dicendo che esiste una realtà fisica e una realtà non fisica. Questo sarebbe un riaffermare quel dualismo che a partire da Platone ha condizionato tutta la cultura occidentale. La realtà ha due dimensioni, non due nature ontologiche. La realtà è una e la vibrazione dell’anima non è una realtà non fisica che interagisce con una realtà fisica, il che sarebbe impossibile. La vibrazione è qualcosa che riguarda entrambe le dimensioni, quella dei campi coscienziali e quella dei campi delle particelle elementari.
La natura vibrazionale dell’anima di un individuo può interagire anche con la natura vibrazionale dell’anima di un altro. Abbiamo detto che una rappresentazione o intenzione di un’anima, che ha natura vibrazionale, trasmette vibrazioni al campo fotonico, e quindi genera fotoni, che, agendo sulle subunità S4 dei canali per il sodio, attivano circuiti neuronali; questi emettono una configurazione fotonica complessa, che fa vibrare il campo coscienziale e così nasce la coscienza di quella rappresentazione o intenzione. Se l’anima di un individuo si è “staccata” dal suo cervello, o meglio ha ampliato il suo “interfacciamento”, può incontrare, in una dimensione extrafisica, l’anima di un altro individuo col suo campo coscienziale. E allora, le vibrazioni del campo coscienziale del primo individuo, che hanno generato in lui un atto di coscienza, possono trasmettersi al campo coscienziale del secondo e generare quindi in lui un atto di coscienza, che è uguale o molto simile a quello del primo individuo. Con questo meccanismo si può spiegare un altro gruppo di fenomeni misteriosi, e in particolare la telepatia, la psicometria, la chiaroudienza, le rivelazioni. La natura vibrazionale dell’anima e il monismo vibrazionale possono spiegare anche questi fenomeni.
Quest’ipotesi potrebbe essere testata con un esperimento. Durante la fase del sonno senza sogni, o fase non-REM, nell’EEG compaiono le onde delta, che hanno elevata ampiezza e bassa frequenza, inferiore a 4 hertz, cioè a 4 cicli al secondo. Se un soggetto viene svegliato durante questa fase, egli non riferisce alcun sogno, o alcuna immagine mentale. Ciò significa verosimilmente che non sono attivi circuiti cerebrali complessi, baso-corticali e cortico-corticali. L’esperimento che propongo è il seguente. Un soggetto che sta dormendo viene monitorato con l’EEG. Quando compaiono le onde delta, un altro soggetto che egli conosce e che si trova in un’altra stanza si concentra su un’immagine e cerca di trasmetterla al soggetto che dorme. Questi viene svegliato mentre è ancora nella fase di sonno senza sogni. Se riferisce, anche confusamente, che stava pensando a un’immagine uguale o simile a quella trasmessa, si deve dedurre che essa si sia formata non perché il trasmittente ha attivato nel ricevente circuiti cerebrali complessi, che non ci sono, ma perché le vibrazioni del campo coscienziale del trasmittente si sono trasmesse alle vibrazioni del campo coscienziale del ricevente.
Il monismo vibrazionale potrebbe fornire la base per spiegare anche un altro fenomeno importante e piuttosto diffuso, e cioè le autoguarigioni. In questo caso bisognerà partire dalle ultime scoperte sul DNA. Si è visto che le molecole di DNA emettono fotoni a bassissima frequenza e una ricerca pubblicata nel 2008, che ha utilizzato la spettroscopia elettronica a effetto tunnel, ha mostrato che ciò avviene perché all’interno delle doppie eliche del DNA si muovono degli elettroni, e sappiamo che qualunque movimento di cariche elettriche genera fotoni. Poiché sappiamo anche che i fotoni fanno muovere le cariche elettriche che incontrano, si potrebbe ipotizzare che fotoni che giungano a un tessuto malato, spostando gli elettroni all’interno del DNA, modifichino la sua trascrizione nell’RNA e producano quindi nuove proteine che generano una guarigione o un miglioramento della malattia. Per quanto abbiamo detto, questi fotoni potrebbero giungere anche dall’anima. Infatti, se un’anima ha ampliato il suo “interfacciamento”, i fotoni generati dalle sue vibrazioni possono giungere al DNA delle cellule di un altro individuo, agire sugli elettroni del DNA e produrre in lui la guarigione o il miglioramento di una malattia; ritengo che sia questo che avviene nella pranoterapia e nel Reiki. Ma i fotoni generati dalle vibrazioni dell’anima di un individuo possono anche giungere al DNA delle cellule dello stesso individuo e produrre un’autoguarigione o un miglioramento di una malattia; e credo che sia questo il meccanismo con cui agiscono la preghiera, o la meditazione, o un’intenzione nuova, o una consapevolezza nuova. E potrebbe anche trattarsi di guarigioni inspiegabili o miracolose, che quindi non sono dovute, come già sosteneva sant’Agostino, a uno stravolgimento delle leggi di natura.
Concludo prospettando due possibili punti di partenza che l’ipotesi del monismo vibrazionale può fornire per la soluzione di due annosi e importanti problemi. Il primo è quello dell’unificazione tra fisica quantistica e relatività generale. Ho fatto una distinzione tra anima individuale, il cui campo coscienziale è limitato dall’”interfacciamento” con un individuo, e realtà spirituale divina, il cui campo coscienziale è diffuso ovunque. L’anima individuale trasmette vibrazioni al campo fotonico, che generano fotoni. Ma si potrebbe pensare che una realtà spirituale diffusa trasmetta vibrazioni non solo al campo fotonico, ma ad ogni altro campo della realtà fisica, compreso il campo gravitazionale, e quindi generi non solo le onde elettromagnetiche, ma anche le onde gravitazionali, previste dalla relatività generale e osservate e dimostrate nel 2015. Ciò non significa aver trovato una realtà fisica più fondamentale delle particelle elementari della fisica quantistica e della gravità della relatività generale, una realtà che unifica le due teorie, che dopo più di cento anni dalla loro nascita non è stata ancora trovata; ma significa che ciò che le unifica è qualcosa che precede sia le particelle quantistiche che la gravità e che può agire sia sulle une che sull’altra. E significa che per unificare le due teorie occorre forse cominciare a prendere in considerazione l’idea che la realtà è costituita anche da un campo coscienziale diffuso che interagisce con tutti gli altri.
Il secondo problema a lungo e tuttora dibattuto è quello dell’intelligibilità della natura. Sembra che vi sia una corrispondenza tra la realtà mentale e quella fisica. «La cosa più incomprensibile dell’universo è che l’universo sia comprensibile» ha affermato Einstein. Ed è un’affermazione che vale ancora oggi. Ciò accade perché le equazioni della fisica, e in particolare della fisica quantistica, che sono concetti, prevedono i dati della realtà fisica, e proprio quei dati sono stati sperimentalmente verificati. Dev’esserci un motivo che rende l’universo comprensibile. Se sia il campo coscienziale che tutti gli altri campi della realtà fisica hanno natura vibrazionale, può essere questo, credo, il motivo di base che può spiegare l’intelligibilità della natura.
Il monismo vibrazionale ci dice che c’è una natura che tutti abbiamo e condividiamo con gli altri e col mondo, che non siamo isolati, ma c’è qualcosa che ci lega, e ci relaziona in modo indissolubile, non solo alle persone, ma anche alla realtà in cui siamo immersi; un legame fondativo e rassicurante, un’armonia col tutto, che potrebbe aiutarci a trovare, o ritrovare se l’abbiamo persa, la gioia di vivere.
Salvatore Capo
Membro del Direttivo dell’AISM
Associazione Italiana Scientifica di Metapsichica
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