Oltre a essere una baronessa britannica e direttore della Royal Institution of Great Britain, Susan Greenfield è anche una affermata neuroscienziata dell’Università di Oxford. Ha lanciato, ieri sul Daily Mail e oggi sul Guardian in una audio intervista, un allarme relativo al pericolo dell’utilizzo eccessivo di social network quali Facebook (150 milioni di utenti in tutto il mondo) e Twitter da parte degli adolescenti. Secondo la Greenfield, i nuovi media sarebbero in grado produrre profondi cambiamenti nel cervello dei giovani, riducendone l’attenzione, incoraggiando la gratificazione istantanea, rendendoli sempre più individualisti, azzerandone le relazioni umane reali, riducendo la loro empatia verso gli altri, facendoli regredire in sostanza a uno “stadio infantile”.
La notizia viene ripresa nel mondo dai più importanti giornali, fra cui il New York Times, che riporta un titolo di sicuro effetto: “Is Social Networking Killing You?”.
La denuncia di Lady Greenfield – così è conosciuta la baronessa in patria – incontra la preoccupazione di genitori e insegnanti, che si lamenterebbero del fatto che gli adolescenti di oggi non sono più capaci di comunicare né di concentrarsi, se privati dei loro terminali. Una schiera di neuroscienziati e di psicologi inoltre sono sempre più convinti che questi strumenti facciano alla fine più male che bene a chi li utilizza.
La ricercatrice britannica è sicura che la ripetuta esposizione ai nuovi media possa dare luogo a un vero e proprio “ricablaggio” (rewiring) delle connessioni cerebrali, così come accade utilizzando esageratamente videogiochi a computer e televisione. “Si sa che gli infanti necessitano di una continua rassicurazione sul fatto che esistono: la mia paura è che queste tecnologie stanno facendo regredire il cervello di chi le usa a uno stadio infantile, quello caratteristico di un bambino piccolo, attratto da rumori e luci brillanti, dotato di scarse capacità attentive e che vive solo per il momento”, ha dichiarato la Greenfield al Daily Mail.
La Greenfield sottolinea inoltre che le persone malate di autismo, che generalmente presentano grosse difficoltà a comunicare con le altre persone, si trovano a loro agio utilizzando il computer: “di certo – dice la baronessa – non sappiamo se l’aumento della prevalenza di autismo fra i giovani sia dovuta a una maggiore accortezza diagnostica da parte dei clinici o se tale fenomeno possa correlarsi in qualche modo all’incremento del tempo speso nelle relazioni virtuali tramite computer; sicuramente quest’ultima è una ipotesi da tenere in debita considerazione”.
Gli psicologi a loro volta, con le loro ricerche, confermano che la tecnologia digitale sta cambiando il modo in cui ragioniamo. Da una recente indagine del britannico Broadcaster Audience Research Board, ricorda il Daily Mail, emerge che i teenagers starebbero al computer per più di 7 ore e mezzo al giorno. Lo psicologo dell’educazione Jane Healy, ad esempio, sostiene che i bambini minori di 7 anni non dovrebbero fare giochi al computer, in quanto i giochi che vanno per la maggiore stimolerebbero prevalentemente le regioni del cervello alla base della risposta di “attacco e fuga”, e non quelle del ragionamento. Ancora più drastica Sue Palmer, autore di un libro dal titolo molto evocativo, Toxic Childhood, quando dice al Daily Mail: “Lo sviluppo del cervello dei nostri figli è danneggiato, perché non si impegna più in attività nelle quali i cervelli umani si sono impegnati per millenni”.
Dal canto nostro, modestissimi studiosi di neuroscienze e materie affini, ci sentiamo di porre ai ricercatori alcune domande: siamo proprio sicuri che il cambiamento sia sempre verso il peggio? E anche se lo fosse, non sarebbe pur sempre una conferma della “legge” dell’evoluzione umana, di cui pochi giorni orsono ricorreva la celebrazione dei 200 anni della nascita del suo nobile teorizzatore, Sir Charles R. Darwin? Sempre di adattamento in fondo si tratterebbe, un adattamento del cervello ai cambiamenti storici, sociali e tecnologici del mondo reale in cui quotidianamente dobbiamo “sopravvivere”. O ci sfugge qualcosa?
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