Il cervello Empatico

Il cervello Empatico.Con l’articolo di Alessandro Baffigi sul “Cervello Empatico” prosegue l’iniziativa di BrainFactor per la Settimana del cervello (12-18/3/2012) “L’Alfabeto del cervello”, patrocinata anche quest’anno da Dana Foundation e realizzata in collaborazione con la Società Italiana di Neurologia (SIN) e con il Dipartimento di Neuroscienze e Tecnologie Biomediche (DNTB) dell’Università di Milano Bicocca.

“How selfish soever man may be supposed, there are evidently some principles in his nature, which interest him in the fortune of others, and render their happiness necessary to him, though he derives nothing from it except the pleasure of seeing it.”
Adam Smith (1759)

Empatia (gr. En –dentro- Pathos – emozione) è un termine che rispecchia una facoltà che nasce, probabilmente, con la nascita stessa dell’uomo. La derivazione del termine empatia è fatta risalire a “empatheia” (passione), la possibilità dell’ “ingresso nella sofferenza” dell’altro fino all’immedesimazione. Originariamente, il termine empatia definisce il rapporto dell’Aedo con il suo pubblico, nei termini del coinvolgimento che porta ad una consonanza emotiva dei vissuti. Sta scritto nell’Odissea, mentre Ulisse racconta le sue disavventure: “Così narrava e tutti rimasero muti, in silenzio / vinti dal fascino nella sala ombrosa”(Od. XI, 333-4). Ne fa un chiaro riferimento Socrate (contrapponendo il pathos all’insieme del logos) che, immaginando il dialogo con Ione, un aedo, scrive:

“Ione: […] Dunque parlerò senza nasconderti nulla. Infatti quando recito qualche avvenimento pietoso, i miei occhi si riempiono di lacrime e, quando recito un evento spaventoso e terribile, mi si drizzano i capelli per la paura e il cuore batte forte […].
Socrate: Dunque sai che voi create questi stessi effetti sulla maggioranza degli spettatori?”

Viene quindi evocata una sorta di “contagio” della sfera emotiva tra chi parla e il suo uditorio, idea sottolineata da Aristotele, che parla di “emozione suscitata”; ciò che dalle nostre “corde” (con etimo “cor, cordis”, cuore per i latini) muove quelle altrui; metafora più avanti ripresa dalla psicopatologia tedesca attraverso il concetto di “Stimmung”.

Gli echi giungono fino al romantico Ottocento, quando Herder e Novalis coniano il temine “Einfühlung” (immedesimazione), evocando un concetto di maggiore “circolarità” tra Sé e Altro. Un miglior dettaglio del termine empatia ci viene, mediato dai filosofi Theodore Lipps e Edmund Husserl, da Edith Stein, secondo cui empatia è “l’atto paradossale attraverso cui la realtà di ‘altro’, di ciò che non siamo, non abbiamo ancora vissuto o che non vivremo mai e che ci sposta altrove, diventa elemento dell’esperienza più intima cioè quella del sentire insieme che produce ampliamento ed espansione verso ciò che è oltre”. Anche negli estremi dell’ einfühlung, l’io non diviene un io fusionale quindi, ma mantiene una sua identità: rimango io a “cum-patire” insieme all’alieno da me.

Empatia diviene dunque un ponte tra vita personale e vita altrui e sociale: una comunanza umana che informa il concetto stesso di cooperazione. Da Heinz Kohut, per cui empatia è “nutrimento psicologico”, il termine è specificato ancora da Carl Rogers, psichiatra americano, che ricalca il modello di questa immedesimazione non fusionale scrivendo che empatia è “[…] sentire la ferita o il piacere di un altro come lui lo sente, e di percepirne le cause come lui le percepisce, ma senza mai dimenticarsi che è come se io fossi ferito o provassi piacere e così via. Se questa qualità di come se manca, allora lo stato è quello dell’identificazione”. Un senso di comunalità consenziente che impedisce il giungere alla “cosificazione” dell’altro (E. Borgna) nella realtà sociale.

Sul versante della riflessione psichiatrica, Karl Jaspers elabora in modo parallelo, influenzato dal pensiero di Husserl, Max Weber la fondamentale distinzione tra psicopatologia esplicativa e comprensiva: rispolverando una definizione di Dilthey tra “comprensione” e “spiegazione” egli raccomanda l’utilizzo di una capacità di immedesimazione per avvicinarsi alla persona con disagio psichico. “Quando nella nostra comprensione i contenuti dei pensieri appaiono derivare con evidenza gli uni dagli altri secondo le regole della logica”, scrive Jaspers, “allora comprendiamo queste relazioni razionalmente (comprensione di ciò che è stato detto); quando invece comprendiamo i contenuti delle idee come scaturiti da stati d’animo, desideri e timori di chi pensa, allora comprendiamo veramente in modo psicologico o empatico (comprensione dell’individuo che parla)”.

Gli aspetti di funzionalità cooperativa dell’empatia sono oggi sottolineati dagli psicologi evoluzionisti, che sottolineano come, dal tempo in cui l’essere umano si è organizzato come “cacciatore-raccoglitore”, questi abbia intrinsecamente connesso le proprie possibilità vitali all’altro. La nostra abilità nel sopravvivere pare essere stata quindi implicata anche nell’abilità di comprendere i bisogni altrui, rispondervi nel modo adeguato, stabilire relazioni efficaci, riconoscere i bisogni della prole. Prova ne sia che questa forma di percezione empatica “totale” esiste anche negli animali. Ogni essere, nell’ambiente evolutivo, ha la necessità di poter predire il comportamento altrui per intraprendere azioni appropriate (ad esempio condotte di attacco-fuga) o riconoscere l’amichevole dall’ostile. E probabile, quindi, che questo “senso” si sia sviluppato lungo l’arco evolutivo (anche) dell’essere umano fino ad approdare nelle interazioni nelle società allargate di cui oggi facciamo parte; l’empatia pare configurarsi quindi come qualcosa di “connaturato” alla specie cui apparteniamo, probabilmente innato e altrettanto probabilmente sostanziato da alcune strutture cerebrali che hanno fornito risposta ai bisogni selettivi nell’ambiente evolutivo.

Le moderne neuroscienze, attraverso i nuovi metodi di indagine neurofisiologica, parlano infatti di un particolare tipo di cellule nervose chiamate “Neuroni Specchio”, individuate per la prima volta da ricercatori Italiani nel cervello del macaco, che sembrano prestarsi alle speculazioni sul substrato cerebrale per il riconoscimento delle azioni dell’altro e per il loro apprendimento. Questi gruppi di neuroni sembrano dunque essere coinvolti nel meccanismo dell’empatia e di alcune condizioni disfunzionali che la potrebbero riguardare. Benché il dibattito nelle neuroscienze cognitive sia ancora aperto, i nuovi paradigmi e le nuove metodologie di indagine stanno quindi aprendo il campo su quegli aspetti di consonanza emotiva, di condivisione e di possibilità cooperativa che risultano essere, probabilmente, uno dei principali fondamenti dell’animo umano.

Alessandro Baffigi, psicologo, psicoterapeuta
Integrational Mind Labs (IML)

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