Il primo giorno di ferie? Se l’è concesso Dio, dopo aver creato il mondo: “Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere. Allora Dio, nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto” (Genesi 2,1-3).
Così almeno è scritto nel secondo capitolo della Genesi. Da allora l’alternanza tra lavoro e riposo non è solo una necessità quotidiana, ma richiede anche uno “stacco” più ampio e determinato. Il rapporto tra il creatore e il creato si compie e si consacra con un giorno di festa o meglio, un giorno di riposo: il sabato. In ebraico la giornata del sabato viene tradotta con al parola Shabat. È una parola interessante perché etimologicamente deriva da lishbot che letteralmente significa “smettere”. L’idea che ho nel leggere il testo biblico è quella di un creatore che potrebbe continuare indefessamente la sua opera creativa, ma che decide di fermarsi e riposarsi. Perché?
Molte persone intorno a me hanno prenotato da mesi le loro vacanze e nonostante l’aria di crisi abbiamo sempre la necessità di respirarne di nuova lontano da internet, e-mail, radio e tv. Mare o montagna, laghi o campagne presto si affolleranno di villeggianti più o meno attrezzati per passare questo periodo di “smettere”. Non tutti avranno il coraggio di staccare totalmente e tra una granita e un bagno il pollice scorrerà comunque veloce sul blackberry per vedere l’ultima mail. Altri lasceranno i problemi in un cassetto di casa, ben serrato, sperando che, se proprio deve essere svaligiato il loro appartamento, i ladri si portino via quelli e non l’argenteria della nonna o lo stereo nuovo del figlio.
Le ferie: lo “smettere” più o meno forzato di lavorare non sempre produce gli effetti sperati e se Dio, al termine del suo riposo, è andando avanti a fare il suo mestiere più ritemprato di prima, non sempre, a tutti capita lo stesso. Lo stress della partenza è già in agguato: la valigia pesa troppo, il bollino nero dell’autostrada, l’aereo in ritardo, la trousse dei medicinali da prendere, sono solo la punta dell’iceberg e la nave è in rotta di collisione. Stressarsi per partire non credo sia il modo giusto per affrontare una vacanza. Questo non è “smettere”, ma sostituire un lavoro con un altro, quello del vacanziere.
Quando si sarà raggiunta la mèta vi saranno le escursioni, le gite, le cene e, presi da un attacco di sindrome “giapponese”, il visitare tutto il visitabile nel minor tempo possibile. Poi finalmente il ritorno: più stanchi di prima, ma con un mare di foto nella videocamera che accompagneranno le serate almeno fino a Natale (prossimo stacco). Nel suo libro “La fantasia e la concretezza” il sociologo Domenico de Masi elogia l’ozio creativo. Penso che il Creatore, che ho citato all’inizio, inventando lo “stacco”, il sabato, volesse insegnarci proprio questo: per creare bisogna fermare e sapersi “ri-creare”, oziare creativamente.
Quando a scuola suonava la campanella e iniziava la “ricreazione” facendo merenda giocavamo con i compagni, socializzavamo o copiavamo il compito non fatto a casa. Era uno stacco dalle attività impegnative che serviva per scaricare le tensioni, preparaci psicologicamente al prosieguo della giornata, riappropriarci di uno spazio un po’ più inconsapevolmente ricchi di qualche contenuto. Fermarci, pensare stimolando il nostro pensiero per aumentare le nostre capacità creative è l’obiettivo della ri-creazione ed è anche l’argomento di molte sessioni di counseling e di formazione aziendale.
Ma perché tanta attenzione alla creatività e perché delle vacanze creative possono aiutarci? Sono convinto che chi è creativo ha un approccio diverso ai problemi, socializza più facilmente, sa stare in gruppo, ha sempre una soluzione e spesso è anche più positivo. Tuttavia dato che tutte le persone sono differenti anche il loro approccio alla creatività, alla ri-creazione è diverso e personale. Per alcuni, ad esempio, è ricreativo fare una sessione di meditazione, mentre, per altri, lo è una gara di canoa o di tennis; altri ancora preferiscono leggere saggi filosofici oppure c’è chi sostiene che non c’è nulla di più ri-creativo di una bella e rumorosa gara di kart.
Trovare la chiave che apre le porte alla nostra creatività non è semplice e spesso richiede una profonda conoscenza di sé e dei propri piaceri più profondi perché non è solo una questione di hobby. Fromm riteneva la creatività umana un processo continuo nel quale è immersa la persona: ogni istante è un processo di nascita e attraverso la creatività che lo caratterizza si crea la continuità dell’azione. Ogni momento ci permette di creare qualcosa di nuovo partendo anche solo dal riuscire a collegare fatti e personaggi in modo che non siano episodi isolati, ma una relazione continua e costruttiva di un unico processo infinito.
Per ottenere questo è indispensabile uscire dagli schemi, romperli, potenziando le risorse personali attraverso stimoli continui, relazioni nuove, facendo crescere la curiosità. La mente tende, infatti, a riproporre degli schemi noti che da una parte ci proteggono dall’esterno, ma dall’altra si cristallizzano in una “gabbia” che limita la nostra capacità di comprensione e di conseguenza di azione. Uscire dalla “gabbia” è dunque più facile durante “stacco”. Il processo costruttivo avviato si ferma, si blocca e si interrompe per essere rivisitato in un’altra chiave: la visione che diamo e otteniamo in quell’istante è la “lampadina creativa”.
Dicevo che gli approcci sono diversi da persona a persona e la continuità del processo creativo ha forme e aspetti diversi proprio in relazione agli obiettivi che ognuno si pone. Secondo Poincaré, un matematico e filosofo della scienza vissuto nella seconda metà dell’Ottocento, la creatività nasce da “elementi preesistenti nella mente umana che si combinano in maniera rinnovata ed originale”. Sono questi elementi a produrre come risultato la “bellezza”, cioè l’armonia.
A questo punto possiamo quindi ampliare il discorso e passare da uno stadio antropocentrico (la creatività è un processo personale in cui c’è una base sulla quale l’individuo lavora per ottenere risultati) ad uno più “ecologico” (la persona sviluppa questi processi in relazione all’ambiente in cui vive e da cui trae insegnamenti e spunti). Disagi, crisi personali possono quindi diventare momenti di crescita: nella logica dell’azione-reazione e attraverso la rielaborazione dei dati è possibile accendere o riaccende gli aspetti creativi e di “problem solving”. La conoscenza continua, è il collante principale di questa catena.
Per tutte queste ragioni lo “stacco” diviene indispensabile e lo “smettere” è l’azione di osservazione necessaria per rendere armonica l’attività con tutto ciò nel quale va inserita e condivisa. Senza l’azione di osservazione è impossibile prendere atto dell’evoluzione e apportare i dovuti accorgimenti correttivi. Delle vacanze “creative” possono quindi essere una buona fonte per preparare mente e corpo ad affrontare un nuovo anno lavorativo:
- prima di tutto perché rompono lo schema quotidiano e la routine nella quale facciamo cadere tutto ciò che produciamo presi dalla frenesia del produrre;
- permettono un giusto ribilanciamento del tanto agognato riposo soprattutto in quegli stati avanzati di eccesso di produttività a cui molti sono chiamati per raggiungere obiettivi e risultati;
- permettono un riappropriarsi del fattore tempo slegandolo dalle “convenzioni” e aumentando il senso di libertà della persona;
- permettono di socializzare e rendere meno “finalizzati” gli incontri permette poi di riscoprire il gusto del conoscere persone nuove, esperienze diverse fuori dagli ambiti strettamente lavorativi nei quali si è relegati durante il resto dell’anno.
Spesso si è portati a pensare che basti avere degli interessi fuori dalle normali attività per poter produrre idee nuove. In realtà, dal punto di visto sociologico ed antropologico, questo non basta. Come abbiamo visto lo “smettere” ne è una prova inconfutabile in quando devia l’attenzione dal “creare” al “creato” riscoprendoci “creature” immerse in una condizione di crescita continua e di scambio continuo con noi stessi e con il resto del cosmo. Nei monasteri benedettini (di certo dediti da 1500 anni allo studio, alla preghiera rituale e al lavoro) ho scoperto che esistono momenti settimanali o mensili di “stacco” dalle normali attività. È la necessità del ritrovarsi, ricrearsi sentendosi parte di una struttura più ampia e non limitata alla quotidianità in cui anche “il non fare niente” diviene un esercizio importante per la crescita personale.
È in questa sana alternanza la chiave di volta da cui possiamo prendere spunti per ipotizzare una vacanza creativa in cui riempire noi stessi di stimoli da elaborare poi in processi successivi. Il rischio è replicare lo schema abituale con azioni ripetute che rendono abitudinarie anche lo “stacco” (andare in spiaggia sempre alla stessa ora, cercare sempre lo stesso posto, mangiare nello stesso ristorante, incontrare le stesse persone, ripetere gli stessi gesti, evitare di uscire dal normale circuito vedendo solo le stesse cose ed evitando esperienze nuove). La creatività ha bisogno di essere alimentata continuamente con stimoli anche nella ripetitività, ma per fare questo serve un allenamento “superiore” in cui ogni singolo istante diventa entusiasmo allo stato puro. Tutti aspiriamo a questo, ma pochi vi riescono, e sono soprattutto quelli che hanno saputo, in una fase antecedente, costruire i giusti presupposti.
Le ferie possono essere una buona opportunità se sappiamo viverle con questo spirito perché cambiare noi stessi è il processo più difficile da compiere: servono volontà, idee chiare e soprattutto sapere cosa vogliamo diventare e cosa vogliamo creare. Tornando alla domanda iniziale perché il Creatore si ferma? La risposta è sempre nella Genesi: per “vedere” e sicuramente dopo le sue “ferie” i suoi occhi gli avranno permesso di vedere e gustare tutto in modo diverso, più profondo, più sincero e autentico, ma soprattutto più felice per aver “creato”. Buone vacanze.
Paolo G. Bianchi
Antropologo, Counselor
Bibliografia
- Franco Lai: “La creatività sociale. Una prospettiva antropologica sull’innovazione”, Carocci Editore, 2006
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- Tim Harford: “Elogio dell’Errore: perché i grandi successi iniziano sempre da un fallimento” Sperling & Kupfer, 2011
- Paul Watzlawick: “Il Linguaggio del Cambiamento”, Feltrinelli 2004
- Richard Fisch – John Weakland – Lynn Segal: “Change – Le tattiche del cambiamento, la Psicoterapia in tempi brevi”, 2011
- Alexander Lowen: “Paura di Vivere”, Astrolabio, 2008
- Alexander Lowen: “L’Arte di Vivere”, Xenia, 2012
- Zygmunt Bauman, Riccardo Mazzeo: “Conversazioni sull’Educazione”, Eickson, 2011
- Erich Fromm: “Voi Sarete come Dei” Astrolabio, 1970
- John Littrell: “Il Counseling Breve in Azione”, Sovera, 2010
- Jules-Henri Poincaré: “Scienza e metodo”, Einaudi, 1997
- Paul Morand: “Elogio del riposo” Archinto, 2000
- Gaston Bachelard “La Terra e il Riposo, un viaggio tra le immagini dell’intimità”, 1994
- De Masi Domenico: L’ emozione e la regola. La grande avventura dei gruppi creativi”, Rizzoli 2005
- De Masi Domenico: “Non c’è progresso senza felicità”, Rizzoli, 2004
- De Masi Domenico: “Ozio creativo”, BUR, 2002
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