E’ di pochi giorni fa la decisione degli americani di muovere guerra alla Siria. Bashar al-Assad avrebbe usato armi chimiche, e ucciso più di mille civili, la maggior parte bambini, nei pressi di Damasco. Comunque siano andate le cose, e comunque vadano, restano alcuni fatti sconcertanti. La morte, la paura, la disperazione e il trauma di un numero impressionante di bambini.
In Siria, una situazione di conflitto che dura da circa due anni e mezzo, ha prodotto più di un milione di bambini rifugiati. La maggior parte ha meno di undici anni. Secondo i dati dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) ci sarebbero circa due milioni di rifugiati, sparsi in Libano, Giordania, Turchia, Iraq ed Egitto, di cui la metà bambini. Per non parlare dei quattro milioni di sfollati ancora presenti all’interno del paese. Numeri spaventosi, e destinati ad aumentare.
Campi profughi nascono in mezzo al deserto. Come il campo di Azraq, in corso di costruzione, destinato ad essere un nuovo Zaatari, campo per rifugiati ch’è sorto nel deserto della Giordania e che, attualmente, ospita più di 130.000 persone. Diverse organizzazioni internazionali come Save the Children, Unicef, Oxfam e Mercy Corps, portano il loro aiuto a questa popolazione che ha perso tutto o quasi tutto. Inutile dire, poi, che mancano le risorse per soddisfare i bisogni di ognuno …
Le storie di violenza e trauma sono veramente molte, in ogni caso troppe, in ogni caso intollerabili. Alison Philips, su Mirror, racconta la storia di Yusuf, sette anni. Nel campo per rifugiati di Zaatari, egli si rifiuta di obbedire alla madre. Non vuole assolutamente andare a scuola. E’ terrorizzato. I figli dei combattenti dell’Esercito Siriano Libero, principale forza di opposizione armata all’esercito e al governo di Bashar al-Assad, vengono rapiti nelle scuole siriane, al fine di costringere i padri ribelli a consegnarsi. Yusuf, come altri, è stato minacciato di morte.
Gli uomini di Assad hanno intimato al bimbo, infilandogli una granata sotto la maglietta, di non tornare a scuola. In seguito gli hanno trivellato la casa di colpi e, il giorno successivo, l’hanno bruciata. Sicché la madre è stata costretta a portare Yusuf in un villaggio vicino, presto bombardato. Comunque sopravvissuti, Yusuf e la madre non hanno trovato altro destino che attendere il difficile ritorno alla normalità nel campo per rifugiati di Zaatari.
Farid, 12 anni, anche lui presente nel campo di Zaatari con la madre, ha visto la sua casa cadere sotto i colpi dei missili. L’evento lo ha traumatizzato gravemente. Per mesi non ha parlato. Ed ora, nel campo, seppur in un contesto relativamente sicuro, non profferisce che poche parole.
Cassandra Nelson, giornalista per CNN e operatrice umanitaria per Mercy Corps, racconta la storia di Mustafa, 12 anni, inserito in un centro dedicato alla riabilitazione dei bambini traumatizzati, presso Baalbek, in Libano. Di Mustafa colpisce innanzitutto l’aspetto esteriore. La fragilità. Le sopracciglia aggrottate, segno di qualche persistente preoccupazione. Nelson riferisce che il ragazzo sembra molto più vecchio. Si capisce perfettamente che ha all’incirca dodici anni, eppure il suo viso è stanco e invecchiato. E, poi, si nota che tra i capelli, all’altezza delle tempie, sono presenti delle macchie grigie. Ciuffi di capelli grigi, senz’altro fuori posto, parlano piuttosto esplicitamente di paura e morte.
Il ragazzo è silenzioso e chiuso in sé stesso. Servirà del tempo e maniere intelligenti a Cassandra Nelson per fargli raccontare la sua storia di orrore, le cause di quei segni di invecchiamento precoce e improvviso. Mustafa viveva ad Aleppo, in una casa circondata da un vasto terreno, nel quale pascolavano sei agnellini di cui egli si prendeva quotidianamente cura e ai quali era, come sembra ovvio, molto affezionato. La casa era situata vicino ad una fabbrica di armi controllata dalle forze governative. Per i primi due anni di conflitto la situazione è rimasta calma, ma, poi, c’è stato un attacco da parte delle forze ribelli, determinate a sottrarre al governo il controllo della fabbrica.
Le bombe hanno iniziato ad esplodere vicino alla casa di Mustafa, e la famiglia è dovuta scappare letteralmente su due piedi, lasciando tutto. Lasciare gli agnellini, per Mustafa, è stato particolarmente difficile. In poche parole, questo è il suo trauma. In Libano, poi, la situazione non è affatto semplice. Mancanza di soldi, difficoltà linguistiche, assenza di relazioni sociali solide ma, ancora prima, di conoscenze, assenza di campi per rifugiati, solitudine, spazi comuni ristretti e povertà, tutto contribuisce a determinare condizioni di vita molto dure. Eppure da queste condizioni devono partire nella costruzione o ricostruzione del loro futuro.
Gli esempi riportati sono esempi comuni. Questa gente, questi bambini si trovano a dover affrontare, oltre a problemi di natura fisica e materiale, gravi problemi di natura psicologica. Superare, elaborare il trauma. Ritrovare l’equilibrio di senso necessario per poter vivere ancora una volta nella normalità. Poter sviluppare relazioni sociali durature, affrontare la scuola, il lavoro e la vita, in generale. Ricostruire un ambiente in cui sentirsi accolti, al proprio posto, in cui poter sviluppare delle progettualità.
Cosa può fare la scienza, la psicologia, per questa gente? Il futuro dei conflitti in Siria è oggi, più che mai, incerto e ricolmo di ombre. Non è certamente in potere alla scienza dirimere questioni internazionali complesse, determinate da interessi economici e di potere e, in parte – perché no? – da scelte valoriali. Non spetta alla scienza guidare gli accordi di pace. La scienza ha il compito di chiarire la relazione tra le cause e gli effetti, tra la violenza e il disagio mentale, tra la perdita e senso di perdita. Per capire come aiutare le popolazioni meno fortunate a guarire, a superare il trauma. Per capire come favorire a questa gente una convivenza dignitosa con il passato. Spetta poi alla politica saper integrare le conoscenze scientifiche nei piani per la salute del paese.
Esistono numerosi studi che dimostrano allarmanti livelli di disturbi della salute mentale gravi (come depressione e PTSD, disturbo post-traumatico da stress) nelle società che escono da guerre. Gli effetti della guerra sulla salute mentale della popolazione possono essere cronici, comunque duraturi, e rappresentare una grave piaga sociale ed economica. Per non parlare del fatto che questi problemi, se non curati, possono determinare altri seri problemi di salute generale (ipertensione, disturbi cardiovascolari, diabete e cancro).
Più di un miliardo di persone, in più di 47 paesi, nell’ultimo secolo, è stato colpito dalla violenza di massa – guerre, conflitti etnici, torture e terrorismo. Quello che manca, ancora oggi, è un’efficiente e veramente diffusa capacità di far fronte ai duraturi problemi di natura psicologica che sorgono in relazione a queste situazioni violente e traumatiche. Oltre ad un sistema sanitario locale valido, è necessario un approccio globale alla cura mentale e fisica delle popolazioni traumatizzate.
Il progetto “1 Billion” (i cui lavori sono iniziati nel settembre 2002) è stato pensato per rispondere a queste esigenze. Il piano d’azione, proposto a Roma nel 2004, è stato uno dei maggiori sforzi per avviare in modo strutturato e consapevole le forze necessarie a conseguire, nel tempo, l’applicazione universale di un approccio con una solida base scientifica, adattabile alle varie diversità culturali ed economicamente efficiente. Ministeri della salute, agenzie delle nazioni unite, governi, organizzazioni non governative, pianificatori di politica internazionale e donatori, sono tutte figure che devono interagire nel migliore dei modi nella realizzazione dell’obiettivo finale: l’attuazione di validi programmi e valide politiche sulla salute mentale delle popolazioni meno fortunate.
Francesco Margoni
References
- Alison Philips, Syria’s war children forced to grow up too soon by atrocities they’ve seen
http://www.mirror.co.uk/news/world-news/syrias-war-children-forced-grow-2237422 - Cassandra Nelson, Syria’s traumatized refugee children will be the ones to rebuild their country http://edition.cnn.com/2013/08/23/opinion/syria-million-child-refugees-mercy-corps/
- Project 1 Billion: http://vimeo.com/23172305 – speaking Prof. Richard F. Mollica, Director of the Harvard Program in Refugee Trauma.
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