Il suo mercato vale più di 2.400 miliardi di dollari e cresce al ritmo di oltre 5 punti percentuali all’anno, rappresentando la settima economia mondiale, comparata ai PIL nazionali. Ed è sempre più affascinata dall’intelligenza artificiale.
Stiamo parlando dell’industria della moda, a cui le cifre si riferiscono, secondo l’ultimo rapporto McKinsey BoF “The State of Fashion 2018“.
Le applicazioni di AI consentono infatti di ottimizzare i processi di vendita, ridurre i rischi di impresa, offrire prodotti “su misura” a clienti sempre più esigenti che sembrano smarrirsi in tanta abbondanza proposta da vecchi e nuovi canali distributivi.
Ma l’intelligenza artificiale non è destinata soltanto ad aiutare i “brand” a vendere di più e meglio.
Può servire anche a prendere decisioni informate su cosa e quanto mandare in produzione, su quali fogge e colori saranno di tendenza nelle successive stagioni, interessando a monte anche i creativi che disegnano le collezioni, con indicazioni previsionali che usciranno da macchine in grado di apprendere dall’esperienza.
Come ricorda l’Economist, il “fashion forecasting” ha sempre detenuto un ruolo chiave nella filiera della moda, a partire dagli anni sessanta, quando a Parigi le agenzie di ricerca iniziavano a pubblicare i “quaderni di tendenze”, vere e proprie fonti periodiche di ispirazione per merchandiser, designer e altri professionisti del settore.
Oggi la principale agenzia è WGSN. Fondata nel 1998 a Londra, serve il 50% del mercato. I suoi 150 “trend forecaster”, come i vecchi giornalisti di inchiesta, non disdegnano di frequentare strade e locali di tutto il mondo a caccia di “piste” che anticipano i trend dei prossimi anni, contestualizzandole, una volta in redazione, nel quadro generale degli indicatori socioeconomici di fonte istituzionale.
Con la diffusione sempre più massiccia delle nuove tecnologie gli operatori si chiedono se il lavoro di forecasting tradizionale sarà in qualche modo minacciato dall’intelligenza artificiale, se questa professione avrà ancora un senso quando le macchine avranno preso il sopravvento anche in settori la cui cifra distintiva è – e si spera resterà sempre – la creatività umana.
C’è chi vede nell’intelligenza artificiale una minaccia, c’è chi invece la accoglie con entusiasmo. Probabilmente una relativa integrazione tra macchine e umani è prossima anche nel mondo della moda, come sarebbe auspicabile del resto nel XXI secolo e come è peraltro già avvenuto in settori ad elevata complessità come la medicina e la neuropsicologia.
Intanto c’è da dire che le agenzie di forecasting stanno già facendo buon uso dei dati archiviati nei sistemi informatici del versante retail, aggiungendo ai loro servizi anche previsioni a breve termine ottenute da applicazioni basate sul “machine learning”, come Edited, Instock, StyleSage e BlueYonder, solo per fare qualche esempio.
E, nonostante i modelli predittivi presentino ancora significativi margini di errore, anche il gigante Google ha deciso di esplorare le opportunità dell’industria della moda con “Fashion Trend Report” che attingono all’immenso patrimonio di dati a sua disposizione. Ma l’applicazione non è ancora concorrenziale. Almeno, così si dice in giro. A Mountain View sembra esserci ancora molto da fare su questo fronte.
Come riporta Glossy, magazine dedicato all’evoluzione dello stile, tra i marchi noti, Tommy Hilfiger a gennaio ha annunciato una partnership con IBM e il Fashion Institute of Technology di New York per rilevare il “sentiment” dei clienti sui prodotti presenti in negozio o ancora in passerella, decifrando in tempo reale le tendenze, individuando temi riemergenti a livello di pattern, forme, colori e stili.
Questa “libreria massiva” di contenuti visivi e testuali che getta un ponte tra passato e futuro, una volta elaborata, verrà fornita ai designer per metterli in condizione di operare scelte oculate sulle collezioni da realizzare.
Della bontà di questa scelta aziendale innovativa è fermamente convinto il Chief Brand Manager di Hilfiger, Avery Baker, che non riesce a trattenere il suo ottimismo quando afferma che “l’intelligenza artificiale può identificare le tendenze imminenti molto più velocemente degli esperti umani, potenziando in questo modo i processi di progettazione”.
Anche nella moda, dunque, gli umani saranno sempre meno necessari? McKinsey ad esempio stima che il 20% – 30% dei lavori attualmente svolti dai fashion designer potrebbe essere automatizzato.
Il ricercatore responsabile delle applicazioni cognitive di IBM, Chris Palmer, d’altro canto ci tranquillizza: “l’obiettivo – dice – non è certo quello di rimpiazzare i processi creativi soggettivi con l’oggettività fredda delle macchine, ma di alleggerire gli umani da compiti laboriosi e ripetitivi che correntemente ritardano gli stessi processi creativi”.
C’è però chi si è già spinto molto più avanti, come l’americana Stitch Fix di San Francisco, che ha affidato all’intelligenza artificiale l’intera progettazione di una linea di abbigliamento: “Hybrid Design” è uscita come per magia da una serie di puri algoritmi forniti dalla macchina. E gli umani, in quel caso, si sono limitati ad approvare o meno le proposte del “collega” robot.
Sul versante produttivo, invece, la startup californiana Grabit (finanziata con 25 milioni da importanti investitori, tra i quali Nike) ha messo a punto un sistema di automazione che usa robotica, machine learning, computer vision e algoritmi complessi per automatizzare la produzione di scarpe, velocizzando il processo di 20 volte rispetto all’operato umano.
Con braccia e mani meccatroniche dotate di “pinze” elettroadesive, Stackit (questo il nome del sistema) lavora materiali e pelli, accoppia e compone fibre più sottili di un millimetro, muove scatole di oltre 50 chili. Gli algoritmi di visione determinano l’allocazione dei materiali e monitorano l’intero processo.
L’azienda ha spiegato a Bloomberg che per realizzare le tomaie Nike, composte da una quarantina di pezzi di materiali, un umano ci impiega 20 minuti, mentre Stackit ci mette soltanto 50 secondi, a un ritmo da 300 a 600 paia di tomaie prodotte ogni 8 ore.
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