La bambina che non può invecchiare

La bambina che non può invecchiare.Dimostra 11 mesi. Ma la bambina del Maryland di cui parla questa settimana il New Scientist in realtà ha già 16 anni. E la speranza, scrive Andy Coghlan, autore dell’articolo, è che lo studio dei geni di Brooke possa almeno aiutarci a comprendere meglio i meccanismi dell’invecchiamento umano (Andy Coghlan, Teenage ‘baby’ may lack master ageing gene, New Scientist, June 25, 2009).

Un gruppo di ricerca americano che fa capo alla University of South Florida di Tampa ha preso in esame questo caso, “più unico che raro”, sostenendo che la condizione di Brooke non rappresenta una inversione del fenomeno dell’invecchiamento precoce: il sequenziamento del DNA della bambina infatti non ha mostrato anomalie relative ai geni associati alle malattie dell’invecchiamento precoce, a differenza di quanto si riscontra ad esempio nella sindrome di Werner e nella progeria. L’analisi effettuata non supporta nemmeno l’ipotesi che Brooke abbia subito un “congelamento nel tempo”. I ricercatori avrebbero invece scoperto che le diverse parti anatomiche della bambina maturano con ritmi differenti, “come se non si assistesse alla crescita di un organismo unificato, ma di parti fra loro frammentate”, secondo quanto ha dichiarato al New Scientist Richard Walker, coordinatore del team americano.

“In particolare – prosegue Walker – Brooke ha un cervello di poco più maturo di quello di un infante: nonostante sappia riconoscere la madre e usare gesti e rumori per far capire le proprie intenzioni, non è in grado di parlare; al contrario, le sue ossa, anche se abnormemente corte, corrispondono a quelle di una giovane di 10 anni, come si evince dalla maturità delle cellule e delle strutture del tessuto osseo”.

Walker, che ha recentemente pubblicato uno studio su Mechanisms of Ageing and Development (Walker RF et al., A case study of “disorganized development” and its possible relevance to genetic determinants of aging, Mech Ag Dev, 2009), lo definisce il primo caso di “sviluppo disorganizzato”.

La sua ipotesi è che “tale disturbo possa dipendere da una anomalia a livello di uno o più geni, non ancora identificati, responsabili dell’invecchiamento attraverso una vera e propria ‘orchestrazione’ della maturazione dell’organismo, verso l’età adulta, la riproduzione, la vecchiaia e infine la morte”. Walker crede insomma che Brooke sia priva di questo “regolatore dello sviluppo”, proposto per la prima volta nel lontano 1932 dal biologo britannico George Parker Bidder. Dal canto loro, altri ricercatori già in passato avevano identificato nell’IGF-1 il gene legato al prolungamento della vita nei nematodi, nei topi e negli umani.

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