La coscienza e i suoi disturbi: BrainFactor intervista Marco Sarà

La coscienza e i suoi disturbi: BrainFactor intervista Marco Sarà.Nella ricerca sui Disturbi della Coscienza (DOC) – Stato Vegetativo e Minimally Conscious State (MCS) – iniziano a venire a galla posizioni scientifiche radicalmente diverse. Dalle pagine di Lancet parte una discussione stimolata dagli italiani Marco Sarà (nella foto) e Francesca Pistoia della UNAI S. Raffaele di Cassino, in aperta divergenza rispetto al gruppo di ricerca di Adrian Owen dell’Università di Cambridge e di Steven Laureys del Coma Science Group di Liegi.

Medico neurologo, Marco Sarà è l’iniziatore di un nuovo approccio terapeutico e prognostico ai pazienti con disturbi della coscienza. Lo abbiamo intervistato, in esclusiva BrainFactor.

Dottor Sarà, su Lancet ha invitato i colleghi belgi a “comportarsi da neurologi e non da strumentisti”…

Confermo e non smentisco. Mi riferisco in particolare all’essere dei clinici indipendentemente dallo strumento di indagine di cui si dispone. Le faccio un esempio che ho dedotto da una chiacchierata di qualche anno fa con un investigatore della Polizia di Stato. Quando gli ho chiesto di raccontarmi dei benefici che le indagini scientifiche portano al complesso dell’indagine criminale mi ha risposto: se un criminale è in gamba riempie la scena del delitto delle tracce biologiche di uno sconosciuto (oppure del soggetto che vuole incastrare al posto suo) e poi conta sul fatto che la scientifica non può indagare sulla catena degli eventi che ha portato a quella particolare scena del crimine. Ma se questo reperto è imponente, e non può essere trascurato, ad esempio del sangue e dei mozziconi di sigaretta, non è difficile immaginare come sarà complicato per i veri detective capire l’omicidio data la presenza di un elemento che, pur non centrando nulla, ingombra notevolmente la scena, quasi accecandola. Con il gruppo di Owen & Laureys va avanti una simpatica diatriba da un po’ di tempo su una falsariga molto simile: loro, ogni tanto, scoprono in qualche soggetto, che dichiarano essere non responsivo all’esame clinico, di aver individuato dei corrispettivi dell’attivazione di aree cerebrali “congrue” con lo stimolo somministrato. Noi rispondiamo che manca tutto il resto… Cioè, ad esempio: perché avete scelto quei 16 pazienti nel “mucchio” che vi si presenta ogni anno? Quali lesioni avevano (insomma la risonanza magnetica standard) e maggiori dettagli su come è stata la dinamica dell’instaurarsi del danno. Quali altri esami avete fatto? Com’era l’EEG, i potenziali evocati (anche motori) e, sopratutto: come è andata a finire? Il paziente è migliorato, peggiorato o si è stabilizzato? L’insieme di queste cose è la clinica. Fare una foto di un fenomeno in mezzo a mille è un comportamento da strumentisti.

Marco Sarà (2012).

Lei invita a dedicarsi più allo studio del trattamento e della prognosi dei pazienti, che non alla diagnosi. Ma in che modo è possibile impostare un trattamento senza avere chiara in partenza la diagnosi del paziente, specialmente in casi tanto complicati?

Beh, una delle prime cose da fare se si ritiene di aver scoperto qualcosa è verificarla. I pazienti che “rispondono con l’attività cerebrale” non vengono poi seguiti nel tempo per verificare un eventuale recupero. Così manca la componente trasversale (ampio numero di soggetti sovrapponibili) e longitudinale (seguirne l’evoluzione nel tempo). In questa discussione ci stiamo riferendo a soggetti che hanno subito un grave danno cerebrale: per questa ed altre ragioni sono in coma e, dopo un certo tempo, riaprono gli occhi, senza però dare segni di contatto e interazione con l’ambiente. Appaiono “svegli ma non coscienti”, quindi possiamo dichiararli non responsivi. Questa è la prima diagnosi. Nella seconda parte dell’indagine clinica deve essere contenuta la risposta alla domanda: perché non sono responsivi o lo sono entro limiti ristrettissimi ed ambigui (smorfie, movimenti senza finalismo apparente, ecc)? A questo punto la prima cosa da fare è la più ovvia: stabilire quale grado di compromissione del sistema motorio impedisce, ad una ipotetica coscienza residua, di tenere e manovrare i fili che dirigono i muscoli volontari e, quindi, i comportamenti. E così via: “perché non mi risponde?”. Cerco delle lesioni nelle aree del linguaggio, sempre con metodi standard. In altre parole, secondo questa logica fare la diagnosi significa ricostruire una mappa, faticosa e complessa, delle sottosindromi che il paziente avrebbe considerando le varie lesioni isolatamente. Con la Dottoressa Pistoia ci siamo convinti che questa sindrome è, in realtà, una “matrioska” di sottosindromi e soltanto di rado una patologia della coscienza in quanto tale. Questo modo di procedere corrisponde a quello della neurologia classicamente intesa: si osservano deficit e segni di liberazione (aumento dei riflessi, tachicardia, tremore ecc) e si cerca di spiegarli in funzione delle lesioni riportate dal Sistema Nervoso Centrale visibili con la Risonanza Magnetica standard. La diagnosi è il frutto di una procedura logica, non è un coniglio che esce dal cappello. Spesso, nel corso di questo modo di procedere, emerge una serie di elementi che devono essere spiegati a parte, che a volte sembrano dominare il quadro clinico. Ad esempio il paziente sembra non dormire affatto oppure il contrario. Ognuno di questi deve essere studiato separatamente prima di cercare di farlo rientrare nel quadro complessivo. In questo senso è necessario affrontare il paziente anche senza aver raggiunto una diagnosi definitiva.

Lei parla di una sovrapposizione fra stato vegetativo e locked-in: vuole intendere che lo stato di minima coscienza è una sorta di “artificio” diagnostico?

Questa è una bella domanda. Per cominciare una diagnosi di MCS oramai non si nega nessuno: una vera e propria “pacca sulla spalla” diagnostica / prognostica. In realtà la svolta verso il MCS potrebbe segnalare uno stadio evolutivo verso ulteriori gradi di recupero. Ma, dal momento che l’overlap da noi proposto (vedi Sarà et al., “The Cartesian renaissance”) fra le due sindromi è sempre abbastanza probabile, inoltre è evidente che possono verificarsi innumerevoli combinazioni fra diverse gradazioni di queste (SV e LIS), in questo contesto non trovo affatto sorprendente che qualche paziente sia stato trovato capace di attivare a comando certe aree del cervello. In secondo luogo c’è da evidenziare che parlare di “parti della coscienza” è epistemologicamente scivoloso. Se io mi riferisco ad un componente che “appartiene” a qualcosa che non ho esaustivamente definito cado nel “paradosso delle parti di un tutto sconosciuto” (Vedi Sarà e Pistoia “Nonlinear Dynamics”, Psychol Life Sci. 2010 Jan; vol. 14(1) pp. 1-13).

Lei è responsabile del centro risvegli del S Raffaele di Cassino. Come affronta nella pratica quotidiana questi casi? Qual è il trattamento che risulta più utile a queste persone? Quali obiettivi riabilitativi sono ragionevolmente possibili?

Il primo passo è la ricostruzione della dinamica del danno encefalico. Ad esempio, da poco abbiamo visto un signore investito vicino alla fermata dell’autobus: in realtà aveva avuto una aritmia cardiaca grave ed era caduto sul cofano di una macchina che procedeva molto lentamente. La causa quindi non era traumatica ma ipossica. Poi ci limitiamo ad osservare per 24 ore il paziente: funzioni vitali in monitoraggio continuo, motilità spontanea ecc. Quindi si attribuisce il paziente ad una delle due categorie fondamentali: quelli che necessitano di stimoli e quelli che vivono una condizione di overflooding (approssimando: il loro cervello non riesce a fare un buon gating delle informazioni in entrata e si comporta come un PC di 20 anni fa collegato al web di oggi… “stalla”). A volte questi pazienti migliorano “addormentando” il midollo spinale con il baclofene per via intratecale: che rappresenta una sorta di modem rallentante (vedi Sarà et al., “Intrathecal administration in persistent vegetative state: two hypotheses”, Arch Psys Med Rehab). Eseguiamo una TAC o una Risonanza Magnetica e verifichiamo quanto l’esame neurologico e le altre osservazioni avevano “previsto il danno”. Con i Potenziali Evocati Motori studiamo il grado di Locked-In nascosto: se sono completamente assenti e la corteccia motoria non è distrutta consideriamo il paziente un potenziale Locked In (in questo senso aiuta anche la trattografia). Non c’è alcun bisogno di sottoporlo a ore di scanner fMRI decidendo arbitrariariamente che capisce tutto quello che gli si dice: lo si tratta come se fosse cosciente quando c’è il sospetto (in verità anche quando non c’è) … Un EEG delle 24 ore ci aiuta a capire meglio il ciclo sonno veglia (molti di questi pazienti non dormono quasi) e scegliere la terapia adatta. E’ fatto divieto di arrivare ad una conclusione diagnostica e innamorarsene. A cadenze regolari facciamo finta che il paziente sia appena arrivato e ripetiamo tutto. I pazienti scarsamente o per nulla responsivi sono davvero scivolosi per il clinico, talmente scivolosi che non è possibile, secondo me, fare ricerca senza essere clinici. 

Marco Sarà (2012).

A suo giudizio, qual è la situazione dell’Italia rispetto agli altri Paesi, per ricerca e pratica clinica?

Per quanto riguarda la pratica clinica la situazione è a macchia di leopardo, a voler essere eufemistici. La ricerca… Voglio cogliere l’occasione che mi fornisce questa domanda per dire che il nostro paese è pieno di ricercatori, ma i trovatori sono molto pochi (e spesso in fuga). Sarebbe sufficiente mandare a casa i non-trovatori e tenerci gli altri con i fondi che avanzano. La ricerca scientifica non sopravvive ai provincialismi, eppure, incredibilmente, in Italia sopravvivono tenaci molti ottimi studiosi. Personalmente ho trovato che la via più sicura fosse di scappare dall’università ma, senza fughe all’estero, entrare nel privato. Presso il S. Raffaele abbiamo avuto modo di lavorare piuttosto indisturbati.

Ci sono linee guida europee e/o italiane a cui puo’ fare riferimento un medico che tratta questi pazienti?

Nulla di definitivo. Sarebbe presto ma, anche qui, le commissioni di esperti (normalmente riconoscibili dal fatto di non avere quasi mai pubblicato in materia) sentenziano un po’ ovunque.

Perché questo tipo di sindromi desta sempre tanta attenzione mediatica rispetto ad altre malattie altrettanto infauste che possono mettere a repentaglio la vita di più ampie fette di popolazione?

Credo che l’uomo di questo periodo storico si senta tradito da ciò in cui aveva riposto  le sue aspettative fondanti. L’uomo che smarrisce la sua stessa coscienza, in seguito ad un fatto traumatico, fisico e non morale, è un essere umano diverso, che dovrebbe saper accettare di poter sopravvivere “fisicamente” ma non “mentalmente” o, a seconda dei punti di vista, “spiritualmente”. Il fatto che si esca dalla rianimazione in quello che viene percepito come un limbo è vissuto come un tradimento della scienza e della natura. Il caso Englaro, ad esempio, si è “giocato” ad un livello esclusivamente politico e mediatico; ho assistito a qualche talk show: mi sembrava che parlassero d’altro. C’era chi sosteneva che mettere un sondino naso-gastrico fosse una cosa difficile ed invasiva: è una delle poche pratiche mediche che mi sia riuscita al primo colpo. C’erano tutti i punti di vista possibili ma la discussione non si esauriva mai: non è possibile prendere decisioni per “esasperazione dialettico – concettuale”. Mi sono sentito offeso per come si è svolta la discussione: nessun elemento concreto! Siamo penetrati nelle case di Welby… Si trasmette dal braccio della morte e i media sono sempre più vicini a scavalcare lo steccato del pudore: nessuna informazione ma solo sensazione. Vera e propria “pornografia della morte”. D’altra parte perché esiste la pornografia? Per “aiutare” tutti quelli che non ci arrivano da soli…

A propostito, come si sente, da addetto ai lavori, di fronte all’epidemia neurodivulgativa che riempie sempre più i nostri televisori di cervelli colorati, neuroni lampeggianti e rivoluzioni improbabili?

Non è affatto detto che la scienza debba essere accessibile a tutti, in un vasto carrozzone divulgativo cui certe scuole si aggregano volentieri… Per anni la relatività era capita da pochi esseri umani al mondo, ma oggi questioni come il libero arbitrio, il determinismo e il funzionamento del cervello dovrebbero essere come puntate di un serial. Accessibili fra un gratta e vinci e una puntata di pomeriggio per tutti. Se leggiamo un lavoro di Giulio Tononi, dove il metodo quantitativo cerca di aggredire queste problematiche, e non abbiamo il coraggio di ammettere che si tratta di un approccio difficile, faticoso, ma semplicemente lo ignoriamo preferendo le discese alle salite… ecco il risultato: una tsunamica ignoranza di ritorno. Nessuno che sappia più dire “non lo so”. Oggi i non lo so sono sostituiti da mantra imparati a memoria. Questo il nocciolo della disfida fra scienziati e scienziati – divulgatori che l’avvento dei media sta aggravando e rendendo pericolosa. In questo disorientamento globale: economisti che iniziano a parlare di crescita impossibile perchè siamo già ipercresciuti, fisici che parlano di neutrini e ministri della pubblica istruzione e ricerca scientifica che hanno scavato tunnel apposta per loro. Difficoltà a scegliere i parametri giusti, le parole giuste, l’uomo sta per reimboccare la via del pensiero magico.

Intervista di Marco Mozzoni (C) BRAINFACTOR – Tutti i diritti riservati

References

  1. Marco Sarà, Francesca Pistoia, Bedside detection of awareness in the vegetative state — Authors’ reply, The Lancet, Volume 379, Issue 9827, Pages 1702 – 1703, 5 May 2012 doi:10.1016/S0140-6736(12)60716-8.
  2. Cruse D, Chennu S, Chatelle C, et al. Bedside detection of awareness in the vegetative state: a cohort study. Lancet 2011; 378: 2088-2094.
  3. Sarà M, Pistoia F. Defining consciousness: lessons from patients and modern techniques. J Neurotrauma 2010; 27: 771-773.
  4. Pistoia F, Sarà M. Is there a cartesian renaissance of the mind or is it time for a new taxonomy for low responsive states?. J Neurotrauma 201110.1089/neu.2009.1257. published online May 25.
  5. Formisano R, Pistoia F, Sarà M. Disorders of consciousness: a taxonomy to be changed?. Brain Inj 2011; 25: 638-639.

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Marco Mozzoni
Direttore Responsabile

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