L’essenza dei numeri ed il talento innato del cervello per la Matematica

Abstract – Cosa vuol dire contare? La nostra capacità matematica è una caratteristica innata o si acquisisce crescendo, con lo studio e l’esperienza? Queste sono domande alle quali non è facile dare una risposta unica ed esauriente. Ci sono stati molti tentativi, come quello di Keith Devlin, di capire da dove “arrivi” il talento umano per la matematica, che lo vede legato strettamente alla nostra capacità linguistica. Qui presenteremo l’ipotesi che la capacità matematica che ha il cervello sia legata anche alla natura stessa di quello che chiamiamo numero. Esporremo la profonda natura relazionale dell’entità “numero” e ipotizzeremo che questa natura possa essere una via preferenziale accettata dalla struttura anch’essa relazionale del cervello. Perché nonostante molti pensino di essere “negati” in matematica, in realtà non è così. Il nostro cervello è molto più “bravo a far di conto” di quello che pensiamo.

Il matematico giapponese Shinichi Mochizuki il 31 agosto 2012 pubblicò 500 pagine suddivise in 4 articoli che contenevano, tra le altre cose, la dimostrazione di una delle congetture più importanti della teoria dei numeri, la cosiddetta congettura abc {1}.

Un anno dopo, a Oxford, alcuni tra i più importanti e brillanti matematici di tutto il mondo si riunirono per esaminare il lavoro di Mochizuki. Al quarto giorno di estenuante lavoro nel tentativo di capire ed esaminare questa teoria i grandi matematici si arresero.

Mochizuki si era rifiutato di partecipare ai lavori e di rilasciare dichiarazioni; l’unica cosa che aveva sempre affermato era che per capire il suo lavoro “si doveva disattivare gli schemi di pensiero che persistono nei nostri cervelli e che si è dati per scontati per così tanti anni”.

In seguito, gli studiosi che hanno partecipato alla conferenza di Oxford, o almeno i pochi che sono riusciti a seguire una minima parte del ragionamento di Mochizuki, hanno dichiarato che si tratta di una serie di relazioni, invisibili a occhio nudo, sottese ai numeri e che sembra di leggere un articolo tornato indietro nel tempo da un lontano futuro. In seguito, gli articoli originali furono ritirati da Mochizuki e ripubblicati con alcuni ampliamenti nel maggio del 2020 {2}.

Oggi sembra che buona parte di questo lavoro sia stato decifrato e, se non del tutto accettato, almeno compreso dalla maggioranza della comunità matematica internazionale. La Teoria Inter-Universale di Teichmüller, questo il nome del lavoro di Mochizuki, nella sua essenza, ha creato una nuova geometria che obbliga a pensare ai numeri in maniera completamente diversa.

Ma cos’è che la rende così ostica ed impenetrabile allo studio e all’analisi? Oltre alla notevole difficoltà tecnica e concettuale, qui Mochizuki usa un linguaggio, un formalismo completamente nuovo costruito da zero appositamente per questa teoria.

Questa è stata la causa principale del perché questo lavoro sia stato all’inizio così controverso (e continua tuttora a lasciare dei dubbi). Mochizuki non solo ha creato una nuova lingua (intesa come formalismo matematico), ma l’ha calata in un contesto completamente rivoluzionario.

La Inter-Universal Teichmüller Theory (IUT) è un lavoro che abbraccia aree molto vaste della Matematica. Prenderemo in esame qui solo lo stretto necessario, funzionale alla nostra discussione, e cioè la parte che mostra l’essenza relazionale del numero.

Faremo questo in maniera “gentile”, senza troppi formalismi, esponendo i concetti in modo che siano il più possibile fruibili anche da chi non è un residente dell’universo matematico creato da Mochizuki, per quando sia richiesta una minima conoscenza di Matematica e di Algebra lineare.

Lui ha generalizzato ed esteso il concetto di numero partendo dall’insieme dei numeri interi Z. Abbiamo quindi un’entità più generale rispetto al numero che va sotto al nome di Frobenoide. Gli usuali concetti algebrici di Gruppo, Anello e Campo, applicato ai Frobenoidi mettono in evidenza l’intimo aspetto relazionale del numero attraverso le operazioni in queste strutture algebriche.

Generalizzando ulteriormente è possibile studiare qualsiasi oggetto matematico attraverso i morfismi; quindi, un numero, nella IUT, può essere visto come un oggetto in una Categoria e le funzioni che legano questi oggetti ad altri oggetti della stessa natura possono essere visti come morfismi (funtori) che mettono in luce le relazioni tra queste entità.

È qui evidente quindi che un numero è caratterizzato, in quest’ottica, esclusivamente dalle relazioni che lo definiscono.

La IUT di Shinichi Mochizuki, come più volte ribadito, è una teoria molto articolata e complessa e anche se non è ancora del tutto chiaro se ha raggiunto il suo obiettivo di dimostrare alcune delle congetture irrisolte della teoria dei numeri, gli strumenti che usa per arrivarci sono stati di grande interesse per i matematici e in piccolo sono funzionali alla nostra discussione.

Infatti, quello che ci interessa è che nella IUT il numero non è più visto come un’entità assoluta e monolitica come di solito è rappresentato in aritmetica, ma come un “qualcosa” che è definito esclusivamente attraverso le relazioni che intercorrono tra questo “qualcosa” e oggetti simili.

Infatti, come abbiamo evidenziato qui sopra, nella Inter-Universal Teichmüller Theory un numero può essere visto come una Categoria e come tale è in grado di ereditare tutte quelle astrazioni caratteristiche che derivano dalla Teoria delle Categorie.

In particolare, in quanto Categoria, il numero acquisisce quella caratteristica che dice che può essere completamente determinato e definito conoscendo gli omomorfismi che lo relazionano agli altri numeri, appunto {3}.

I suoi funtori sono rappresentabili quindi abbiamo le consuete regole di composizione tra morfismi (in maniera un po’ semplicistica possiamo vedere l’aritmetica che ci insegnano a scuola come un caso particolare di queste regole generale di composizione).

Ma tutto questo cosa c’entra con il cervello?

Keith Devlin ha esposto la tesi [1] che i nostri talenti matematici siano strettamente legati all’evoluzione del linguaggio. Per lui la nostra capacità matematica è innata ed è legata a fattori evolutivi che sono gli stessi che hanno portato allo sviluppo del linguaggio. Nel suo bel libro (citato in [1]) – questa tesi è ben esposta e supportata da evidenze che mostrano come effettivamente questa capacità che tutti abbiamo sia innata anche se riteniamo di essere degli “asini” in matematica.

Ma oltre a quelle di Devlin possono esserci anche altre motivazioni per questa capacità del cervello di elaborare concetti aritmetici con estrema facilità. Ragioni che possono risiedere proprio nella morfologia stessa di quest’organo.

Se quindi, come abbiamo visto poco fa, il numero è proprio l’essenza di quello che noi chiamiamo “relazione”, i risultati ottenuti da Devlin possono essere visti anche in un’ottica diversa.

La naturale attitudine del cervello verso l’aritmetica fin dalla più tenera età descritta da Devlin può essere attribuita alla naturale conformazione Topologico-Geometrica delle componenti che costituiscono il nostro cervello. Infatti, questo non è altro che un sistema di sistemi relazionali.

È composto da due emisferi in comunicazione e in relazione fra di loro, ogni emisfero è, a sua volta, suddiviso in “aree logico-funzionali” interconnesse relazionalmente tra di loro e, infine, i neuroni, le cellule nervose che formano la stragrande maggioranza delle cellule cerebrali, sono connessi tra di loro in una fitta e complicatissima rete che li mette tutti in relazione gli uni con gli altri.

Tutto è relazione, quindi.

La natura relazionale del numero trova naturale corrispondenza e terreno fertile nella conformazione strutturale e logica del cervello ed è quindi plausibile che sia anche per questa ragione che fin da subito i neonati della nostra specie (e non solo) sanno distinguere le quantità e, ad esempio, che 3 è maggiore di 2 (confronta sempre [1]).

Contare vuol dire mettere in relazione. Relazionare un insieme di oggetti con l’insieme dei numeri in uno specifico ordine. Anche qui tutto è definito da una serie di relazioni. Anche il contare è un’attività puramente ed essenzialmente relazionale.

Le teorie di Devlin sono molto interessanti e promettenti soprattutto se integrate anche con questo punto di vista relazionale e geometrico che tiene conto della natura, sia del numero (e quindi dei fondamenti dell’aritmetica stessa), sia del cervello.

Comunque questo è un campo che merita attenzione e ancora molta ricerca.

Una ricerca che sempre di più deve essere multidisciplinare; in questo caso Fisica-Matematica e Microbiologia cellulare devono dialogare in maniera sempre più aperta e continua.

Dialogo che in passato è stato utile già nel caso della teoria OrchOR di Hameroff-Penrose [2] che lega i processi cognitivi alla relazione tra la struttura topologico-geometrica di alcune strutture interne ai neuroni cerebrali e la struttura geometrica (gravitazionale)-quantistica dell’universo.

Benché la teoria di Hameroff-Penrose sia ancora in parte dibattuta ha aperto filoni di indagine, sia in Fisica, sia in Neurofisiologia, rivelando campi di studio comuni alle due discipline.

Una strada molto importante è stata aperta e la mole di enigmi ancora da dipanare su come funzioni il cervello, su cosa siano quelle cose che chiamiamo “attimi di coscienza” e su tutti i processi cognitivi in generale, non ci deve scoraggiare dal rimboccarci le maniche e lavorare sodo.

Non ci rimane quindi che far continuare il dialogo fra le varie discipline sperando un giorno di capire qualcosa di più sulla nostra natura e sull’universo ancora sconosciuto là fuori.

Luca Ciciriello
Fisico Teorico
R&D Technology Specialist
Digital Engineering & Innovation Division
aizoOn Torino

Note

{1} https://www.treccani.it/enciclopedia/congettura-di-oesterle-masser_(Enciclopedia-della-Matematica)/#
{2} Questi articoli possono essere trovati qui, nella pagina delle pubblicazioni di Mochizuki: https://www.kurims.kyoto-u.ac.jp/~motizuki/papers-english.html
{3} Vedi Lemma di Yoneda

Bibliografia

[1] Keith Devlin – The Math Gene. 1999 Basic Book (Perseus Books Grou)
[2] Stuart Hameroff, Roger Penrose – Consciousness In The Universe, An Updated Review Of The “Orch Or” Theory. 2016 World Scientific, Singapore.

Immagine di freepik

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