LONDRA – Con l’articolo dell’amico Nello Brunelli, “inviato speciale” nel cuore pulsante della capitale del Regno Unito, la “City”, inauguriamo la sezione “Labor” di BrainFactor, laboratorio esperienziale sul lavoro che cambia, spazio di emergenza di nuove dinamiche, già in atto in alcuni contesti di intraprendenza che pongono l’uomo, le sue capacità, i suoi bisogni autentici a “ragione sociale” del fare, dell’operare insieme…
“Abbiamo bisogno di un cronometro.”
“Di un cronometro?” chiedo io.
“Si, di un cronometro per tablet. I ragazzi potranno misurare i loro tempi di produzione. Non ci interessa che le persone lavorino più in fretta. Per favore, Pierre, hai il documento che abbiamo scritto a riguardo?”
Mi viene dato un foglio con la sintesi delle riunioni fatte al riguardo, con le finalità e lo schema della soluzione tecnica. Un cronometro in HTML5 e Javascript da installare su tablet.
“In che senso non vi interessa lavorare più veloce?” chiedo.
“Perché la produttività non dipende dalla velocità, ma dal metodo e dall’organizzazione. Vorremmo riuscire a pianificare meglio le consegne ai clienti. Per farlo dobbiamo conoscere meglio i tempi della nostra produzione e le sue varianti. Il tempo legato all’attività del singolo dipende dalla sua concentrazione, che a sua volta dipende dalla conoscenza del proprio lavoro e dall’ambiente circostante. Il ruolo del singolo può essere protetto dall’ambiente lavorativo. In altre parole il gruppo ‘protegge’ la concentrazione del singolo aiutandolo attraverso l’organizzazione dei ruoli. La produttività non dipende dalla fretta, non dipende dal muoversi più velocemente, ma dipende dalla organizzazione del lavoro”.
Io li guardo. Loro mi guardano, aspettano che dica qualcosa.
“Eh … ma … se non dipende dalla fretta perché cronometrare il tempo?” chiedo io, temendo un licenziamento al primo giorno di lavoro. Invece no, ottengo un sorriso. Contento della domanda, mi risponde Olivier, il titolare: “Perché per conoscere qualcosa bisogna misurarla. Per migliorare le cose dobbiamo conoscerle”.
* * *
Un mese prima camminavo per Londra con un caro amico. Il fine settimana quella zona si riempie di mercatini. Le case sono basse con i mattoni a nudo e le strade sono strette. Il piccolo spazio è invaso dalla folla e dalle bancarelle. Nasce un caotico mondo del possibile. Ad ogni metro si incrociano lingue diverse e culture diverse in un imbuto sempre più stretto e sempre più difficile da superare. I cupi mattoni inglesi, sentinelle dello spirito britannico, impongono al fenomeno una certa austerità con risultati sorprendenti; così è possibile sentirsi imbottigliati ma leggeri, prigionieri ma sereni. Stranezze di quest’isola.
Superato a fatica il mercatino dei fiori di Columbia road, potevamo camminare più liberi fino ad una strada che si chiama Brick Lane. Ad un angolo vidi il riflesso del sole sulle ampie vetrine di un negozio diverso dal solito. Dietro al riflesso altre luci e forme. In alto, in direzione della strada era appesa una sagoma di legno a forma di sedia, sotto la sedia una scritta che in quel momento non riuscivo a tradurre: “Unto This Last”.
Avvicinandomi sentivo provenire dall’interno un rumore continuo ed indecifrabile. Non riuscire e vedere e a sentire fu una trappola perfetta. Entrammo. Improvvisamente ci avvolse il profumo del legno appena tagliato. Subito vidi esposta una sedia composta da due lingue di legno laterali collegate da una fitta serie di asticelle, sembrava un passerella raggomitolata.
Sul fondo, dietro ad una parete di legno e vetro, un uomo in grembiule stava costruendo un tavolo. Ancora più in fondo un robot completamente automatizzato tagliava sagome diverse da una tavola di legno.
Lungo le pareti e nel centro della stanza erano esposti mobili e suppellettili pronti per la consegna o in esposizione. C’era un gusto e un pensiero preciso nella forma di tutto quello che stavo vedendo. Dalle scure travi di legno del soffitto pendevano modelli di lampade.
Sulla sinistra era appesa la grande immagine di un vecchio con la sua lunga barba bianca: John Ruskin e la scritta “Unto this Last” – “Fino all’ultimo” (poi riuscimmo a tradurre) il titolo di uno dei suoi libri.
Nel negozio non c’erano che artigiani al lavoro, impegnati ma disponibili a rispondere alle domande, con poche parole e affatto preoccupati di vendere. Notai anche alcuni turisti presenti iniziare a parlare sotto voce. La soggezione della bellezza sacrale di certi monasteri…
Dove eravamo entrati? Eravamo in un mobilificio? Oppure in una bottega di falegnami? Eravamo in un studio che produceva mobili dal design ricercato o in una comunità? E perché John Ruskin?
Vicino alla porta c’era appeso un cartello: “Cercasi programmatore Python”.
“Dai Nello, chiedi … ” il mio amico insisteva.
“Ma non conosco il Python”
“Ma lo impari … “
“Ma non mi sembra il caso …”
“Dai, Nello … fallo per me …”
Mi avvicinai alla cassa e chiesi ad un uomo dallo sguardo severo:
“Non conosco il Python ma sono un programmatore, posso lasciarvi il mio CV?”
* * *
E’ cominciata così la mia avventura londinese. Entrato per caso, affascinato dalla creatività e dalla bellezza degli oggetti, accolto positivamente e subito messo alla prova, in un raro clima di efficienza e correttezza professionale, ho accettato di restare, o meglio di ritornare entro breve, il tempo di rientrare in Italia, passare le Feste di Natale in famiglia, liquidare i miei impegni, delegare quante più cose possibili, prendere il valigione con il necessario per l’inverno e ripartire.
Iniziai a lavorare per “Unto this Last” con una serie di riflessioni sul tempo e sulla concentrazione. Avevo iniziato un lavoro che sapevo mi avrebbe insegnato molto di più di un nuovo linguaggio di programmazione.
“Se non devi pensare a cosa devi fare, perché lo hai già pensato prima, potrai concentrarti su quello che stai facendo e usare meglio il tuo tempo. Scrivi un testo su come intendi sviluppare il software del cronometro, dopo lo leggeremo insieme per vedere se tutto va bene e potrai procedere”, mi disse Pierre porgendomi il foglio con le specifiche tecniche.
* * *
“La forza unificata dell’intelletto e della passione influiscono sul lavoro; nella parola “passione” includo tutta la gamma e l’influenza dei sentimenti morali: dalla semplice sopportazione e gentilezza d’animo fino alle doti di carattere che rendono possibile la scienza, che farà sì che si fatichi senza fatica, e con buon frutto e per il tempo doppio di un altro.” (John Ruskin – “Fino all’ultimo”)
Nello Brunelli, da Londra
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