Neuroetica, lo stato dell’arte

Neuroetica, lo stato dell'arte.“La neurobiologia si occupa ormai stabilmente anche di stati emotivi, processi decisionali, scelte economiche, percezione estetica, dilemmi morali, concezioni del diritto penale”… Ma è una strada obbligata o solo uno “sconfinamento” disciplinare? E’ con questa precisa domanda che si apre il nuovo libro curato da Andrea Lavazza, studioso di filosofia della mente e di scienze cognitive, e Giuseppe Sartori, professore ordinario di Neuroscienze cognitive all’Università di Padova, “Neuroetica” (Il Mulino, 2011).

In particolare, secondo Lavazza e Sartori, sono stati i progressi tecnici (che hanno consentito lo sviluppo di nuovi strumenti per lo studio dell’attività cerebrale umana) e l’avvento delle neuroscienze cognitive (che ha permesso di mettere in relazione l’attività neuronale con il pensiero e il comportamento, “producendo così nuovi modelli di comprensione del cervello e della mente”) le “due rivoluzioni che hanno permesso questo sconfinamento”.

Quale il punto di arrivo di tali mutamenti di prospettiva sull’umano? La “convinzione empiricamente supportata che gli stati mentali soggettivi – dal sentimento amoroso all’apprezzamento della bellezza, dalla volontà di ingannare gli altri allo sforzo di comprenderne l’atteggiamento – abbiano particolari correlati neuronali, che possono essere individuati con estrema precisione e, in futuro, potranno anche essere oggetto di intervento esterno”, spiegano i curatori.

Ecco perché a questo punto è necessario arrivare a “un’ampia precisazione terminologica e concettuale”, cosa che “apre un vasto spazio di discussione e controversia scientifico – filosofica”. Infatti, nonostante la gran parte dei ricercatori sembra esprimere un certo consenso rispetto all’affermazione secondo cui “i processi cognitivi e i diversi stati di coscienza / consapevolezza, comprese le nostre emozioni, siano prodotti dal funzionamento cerebrale”, la discussione è ancora in mare aperto…

E poi – oggi che possiamo facilmente rilevarla con strumentazioni “oggettive” – in che modo può essere intesa tutta quella attività cerebrale (ed è la gran parte) che non arriva a superare la “soglia della coscienza”, ma che ci predispone ad agire? “Ben oltre l’inconscio freudiano, l’Io sembra sbriciolarsi in subelementi funzionali, spesso in competizione, che solo apparentemente trovano unità, sia per il soggetto sia per l’osservatore esterno”, dicono Lavazza e Sartori. E’ questo “un percorso di esplorazione appena avviato […] che certamente si pone in contrasto con il senso comune e la cosiddetta psicologia ingenua”…

Le scienze del cervello hanno dunque aperto “nuovi orizzonti conoscitivi e nuove possibilità pratiche, forieri di ricadute e implicazioni etiche, sociali e legali rilevanti”. E’ qui che ha le sue radici la neuroetica, che si propone di “mettere a fuoco, sul modello delle bioetica, i problemi emergenti dalle applicazioni delle neuroscienze”. Lettura della mente, privacy cerebrale, potenziamento cognitivo con farmaci e training specializzati, tutela dei diritti individuali, prevedibili disuguaglianze di accesso ai nuovi ritrovati, possibilità di modificare le dotazioni naturali dell’essere umano e di cancellare i ricordi traumatici, sono solo alcuni dei temi principali caratterizzanti la nuova disciplina.

Ma più che ciò che potremo fare sulla base dei progressi neuroscientifici, “diventa dirimente ciò che veniamo a sapere circa il nostro stesso funzionamento”, sottolineano gli Autori. Diversi studiosi ad esempio già sostengono che “la nostra libertà di agire in modo consapevole è solo illusoria, in quanto le azioni sono avviate dal cervello prima che entrino nella coscienza”. E la conseguenza di tale convincimento di “vivere in un universo deterministico, in cui la responsabilità dei nostri atti è per questo attenuata, può provocare un diminuito rispetto delle norme di convivenza sociale (allo stesso modo in cui conoscere il profilo cromosomico e la predisposizione genetica a qualche malattia sembra accrescere il fatalismo e indurre i soggetti interessati a ridurre l’impegno verso condotte salutistiche)”…

In tale contesto di sempre crescente complessità, il libro curato da Lavazza e Sartori si propone un obiettivo sistematico: “fornire le coordinate generali e una rassegna delle acquisizioni più recenti in materia, sottolineando le conseguenze che ne discendono e prospettando i termini della riflessione e del dibattito che intorno a essi si sviluppano, con un’impostazione che vuole rimanere nello spirito del confronto e dell’approfondimento su quel sottile filo che divide le posizioni riduzionistiche e quelle antiriduzionistiche”.

Gli Autori del volume, tutti docenti universitari, sono tra i massimi e più autorevoli esperti italiani nel campo della neuroetica e riescono a esprimere, in poco più di 200 pagine complessive, “una pluralità di posizioni che non permette di chiudere la discussione in un senso o nell’altro”, motivando piacevolmente il lettore ad approfondimenti personali e nuove riflessioni.

Andrea Lavazza apre il volume con una “introduzione storica, concettuale e terminologica, tesa a definire il campo di indagine della neuroetica”, mettendo in luce l’ispirazione generale del lavoro collettivo: “si sostiene che oggetto della neuroetica – dice lo studioso – non sono tanto le applicazioni (soprattutto in campo medico) delle neruoscienze, quanto quale idea di uomo discenda dalle nuove conoscenze rese disponibili”.

Michele di Francesco, ordinario di Logica e filosofia della scienza e preside della Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, esplora l’aspetto fenomenico dell’esperienza, “uno dei grandi misteri della scienza, ancora ampiamente insoluto, malgrado le moltissime teorie proposte”; Mario De Caro, ordinario di Filosofia morale all’Università Roma Tre e presidente della Società Italiana di Filosofia Analitica, affronta “l’annoso e venerabile dibattito sul libero arbitrio, nel quale sembrano crescere le evidenze sperimentali a favore dle determinismo o, per lo meno, dell’ipotesi che la coscienza non avrebbe un ruolo attivo nella presa di decisione”; Laura Boella, ordinario di Filosofia morale alla Statale di Milano, indaga poi l’impatto delle neuroscienze sull’etica, osservando che “il meccanismo dei neuroni specchio sembra gettare un ponte fra neuroscienze, etica e fenomenologia”, ma che rimane ancora spazio per “una normatività che si rifaccia a ragioni discorsive”; Antonio Da Re, ordinario di Filosofia morale all’Università di Padova, insieme a Luca Grion, direttore del Centro Studi Jaques Maritain e docente di Filosofia all’Università di Udine, spiegano come “le neuroscienze possono contribuire a ridisegnare l’idea di persona e tentano perfino, con alcuni autori, di eliminarla in quanto concetto fallace, emergente da meccanismi cerebrali evolutivamente adattivi”; Massimo Marraffa, docente a Roma Tre, si occupa invece del tema delle “credenze”, analizzando come, in base ai “fondamenti neurocognitivi della cultura”, alcuni tipi di credenze riescano a diffondersi più rapidamente di altri; infine Rino Rumiati, ordinario di Psicologia generale a Padova, insieme a Lorella Lotto, docente di Psicologia cognitiva nello stesso ateneo, discutendo dei processi decisionali umani, sostengono che le “inadeguatezze del nostro comportamento discendono dal fatto che ci si affida a schemi di risposta che incorporano distorsioni di cui non siamo consapevoli”.

Per concludere, Sartori e Lavazza, insieme a Luca Sammicheli, docente al master di Psicopatologia e neuropsicologia forense diretto da Sartori a Padova, si concentrano sulle “importanti ricadute che la nuova comprensione del funzionamento cerebrale può produrre, e già produce, sul diritto e l’amministrazione della giustizia”, riflettendo in particolare sulle nuove tecniche di “memory detection”, sullo “spostamento dei confini dell’incapacità come concetto giuridico, ad esempio per i malati in stato vegetativo persistente”, sulla “gradazione della quantità di libero arbitrio di cui ciascuno sarebbe dotato”, sul concetto di alcuni neuroscienziati che vede gli individui solo come “macchine neuronali che non ha più senso considerare colpevoli dei propri misfatti e punibili per essi”.

Dunque, pur vivendo nell’era delle neuroscienze, in cui non è difficile lasciarsi contagiare da una “neuromania” dilagante, allo stato attuale è forse meno facile riuscire a convincersi al di là di ogni ragionevole dubbio che “siamo solo il nostro cervello”… La neuroetica, “campo disciplinare fluido, dai confini elastici”, sarebbe ancora un “cantiere aperto”, come hanno sostenuto gli stessi curatori del nuovo volume sul Giornale Italiano di Psicologia (a. XXXVII, n. 4), in cui si è sviluppato un dibattito acceso fra i diversi interlocutori (vedere articolo di BrainFactor del 10/2/2011).

Al termine della lettura di questo libro denso di spunti di riflessione, chi fosse interessato ad approfondire direttamente con gli autori e con altri studiosi di rilievo le tematiche di specifico interesse, può partecipare al congresso di Neuroetica che proprio Sartori e Lavazza organizzano annualmente a Padova, dove il prossimo maggio (dal 4 al 6 nella sede prestigiosa di Palazzo del Bo) si discuterà proprio dell’incontro possibile delle neuroscienze con le altre discipline che si sono storicamente occupate dell’umano, quali la religione, la filosofia, il diritto, l’arte e l’estetica.

Andrea Lavazza è studioso di filosofia della mente e di scienze cognitive. Fra le sue recenti pubblicazioni: “L’uomo a due dimensioni” (Bruno Mondadori 2008), e “Siamo davvero liberi?” (curato con M. De Caro e G. Sartori, Codice Edizioni 2010).

Giuseppe Sartori è professore ordinario di Neuroscienze cognitive presso l’Università di Padova, dove dirige anche il master in Psicopatologia e neuropsicologia forense e la Scuola di specializzazione in Neuropsicologia.

Marco Mozzoni

 

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