PAVIA. E’ in corso oggi a Pavia, nella bella cornice dello storico Salone Teresiano dell’Università, il primo congresso della International Functional Neurology Society (IFNS) “Neurophilosophy and Brain Imaging: focus on consciousness“. Su invito dei neurologi funzionali dell’IRCCS Mondino di Pavia, promotore dell’evento, filosofi, neurologi e neuroscienziati provenienti da tutto il mondo si stanno confrontando francamente sul tema della coscienza umana, mettendo in luce validità e specificità dei diversi metodi di indagine.
Ha aperto questa mattina i lavori Elio Franzini, ordinario di estetica e preside della Facoltà di Lettere e Filosofia della Statale di Milano. Sottolineando l’utilità di un dialogo fra le diverse discipline, ma ciascuno secondo le proprie competenze, ha messo in guardia dai facili sconfinamenti, dai “neuro” neologismi che sono la moda dei giorni nostri (vedi neuroeconomia, neuropolitica, neuromarketing ecc.) e dai “riduzionismi” privi di fondati statuti epistemologici. La “neuroestetica” ad esempio – ha detto Franzini – può sì spiegare la nostra mente, ma non l’oggetto dell’arte. Allo stesso modo, a proposito dei neuroni specchio – studiati originariamente da Rizzolatti e utilizzati oggi abbondantemente nei contesti più svariati – ha detto in una battuta, con riferimento alla cd. “neuroetica”, che “ridurre l’empatia ai neuroni è come ridurre l’amore a uno spermatozoo”, ricordando la frase di Gallese: “i neuroni non conoscono l’altro, né l’arte, semmai conoscono qualche molecola chimica”: insomma, siamo “noi” a percepire l’altro e l’arte, non i nostri neuroni… Ma che cos’è questo “noi”, cioè l’io soggetto dell’esperire? Da dove viene appunto la coscienza? Franzini ha spiegato che l’atteggiamento naturalistico non può comprendere fino in fondo i sensi storici, sociali e personalistici: come insegnava Husserl, dobbiamo toglierci i paraocchi abituali (con l’epoché, la “sospensione del giudizio”) e rivolgerci alla coscienza, alla fenomenologia, al tempo interiore, all’immanenza, al flusso dei vissuti, al “senso interno quale condizione necessaria di ogni conoscenza possibile”. In altri termini, intenzionalità e rapporto coscienza – mondo, ma “non come donazione di senso al mondo, perché il senso è nelle cose stesse quando le cose ‘mi appaiono’ nei miei atti: il processo di costruzione è oggettivo”. E il processo io – mondo è un processo ascendente, stratificato, intenzionale, non si riduce a un solo sguardo, perché l’oggetto non si dà mai da un solo punto di vista, non si dà come essenza, ma come processo appunto, attraverso operazioni di coscienza, come genesi attraverso i nostri atti. In sostanza, è l’oggetto a porci domande, non noi a porre domande a esso, è l’oggetto a indirizzare il nostro metodo di ricerca, non il contrario. Dunque, quando l’oggetto di indagine è la coscienza, il metodo per eccellenza non può che essere quello fenomenologico, “riduzione” nel senso husserliano di “messa in parentesi” e non riduzionismo…
Nel corso dei lavori della mattinata, moderati dal filosofo Salvatore Veca dell’Università di Pavia e da Giovanni Lucignani, ordinario di Diagnostica per Immagini e Radioterapia alla Statale di Milano, sono intervenuti fra gli altri: il neurologo Gabriella Bottini, docente di Neuropsicologia all’Università di Pavia, con una relazione su “Coscienza e cognizione” in cui ha illustrato, alla luce delle ultime scoperte delle neuroscienze, il funzionamento della coscienza umana quale esperienza percettiva, focalizzando l’attenzione dei numerosi uditori sulla rappresentazione dello spazio personale e peripersonale, in particolare sulla sindrome del “neglect” – compromissione della percezione dell’emispazio sinistro dovuta generalmente a un danno nell’emisfero destro – e sui correlati anatomopatologici di questo disturbo; il neuropsicologo Eraldo Paulesu, docente all’Università di Milano Bicocca, che in una relazione sui disturbi della consapevolezza, ha fatto una panoramica sulle diverse spiegazioni della “anosognosia” (negazione di malattia in alcuni casi di danni motori, sensoriali, mnesici o in alcune condizioni psichiatriche), ripercorrendo puntualmente la storia di questa patologia della coscienza descritta per la prima volta da Babinsky nel 1914 e studiata successivamente da Geschwind (1965), Gold (1991), Helman (1998), Ramachandran (1998), Frith (2000); Michele Di Francesco, filosofo dell’Università Vita Salute del San Raffaele di Milano, con una relazione su “consapevolezza e sé”.
Nel pomeriggio si parlerà di unità della coscienza, di neuroimmagine nello studio della coscienza, di specificità delle risposte cerebrali agli stimoli sensoriali, di neuroimmagine funzionale degli stati vegetativi e comatosi con Timothy Bayne e Giandomenico Iannettidell’Università di Oxford, Richard Frackowiak dell’University College di Londra (UCL), Adrian Owen neuroscienziato del Medical Research Council Cognition and Brain Sciences dell’Università di Cambridge.
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