Neuroscienze controverse: il caso dei neuroni specchio; BrainFactor intervista Pierre Jacob

Neuroscienze controverse: il caso dei neuroni specchio; BrainFactor intervista Pierre Jacob.Pierre Jacob, filosofo della mente e scienziato cognitivo, è attualmente presidente della Società europea di filosofia e psicologia e direttore dell’Istituto Jean Nicod di Parigi, importante centro di ricerca sulla mente e il cervello. Ha scritto, tra l’altro, “What minds can do” (Cambridge University Press), nel quale indaga il problema di una spiegazione naturalistica dei contenuti delle rappresentazioni mentali e quello dell’efficacia dei contenuti mentali nella spiegazione causale del comportamento individuale. Ha pubblicato recentemente un articolo su Conscioussnes and Cognition in cui critica il modello esplicativo dei neuroni specchio: The tuning-fork model of human social cognition: A critique.

Andrea Lavazza lo ha intervistato sui temi del dibattito attuale sui neuroni specchio, aperto da Alfonso Caramazza con uno studio pubblicato su Pnas.

Professor Jacob, come valuta lo studio di Caramazza sui neuroni specchio?

Sembra interessante, compreso l’uso che in esso si fa della tecnica della fMRI adaptation. Fa parte di un crescente numero di studi che mettono in discussione il significato della scoperta dei neuroni specchio per la cognizione sociale umana. Ci sono due tipi di queste ricerche: quelle che accettano l’esistenza dei neuroni specchio sia nei primati non umani sia negli uomini, ma come detto contestano l’importanza dei mirror neurons; e quelle che, basate sulle tecniche di neuroimmagine, accettano l’esistenza dei neuroni specchio nelle scimmie, non però nell’uomo.

A suo avviso, quello dei neuroni specchio è un meccanismo ben confermato nell’uomo?

E’ difficile oggi rispondere a questa domanda. I neuroscienziati cognitivi (principalmente quelli dell’università di Parma guidati da Rizzolatti), che hanno scoperto l’esistenza dei neuroni specchio nella corteccia ventrale premotoria dei macachi, hanno riferito di prove dell’esistenza di un “sistema mirror” nell’uomo grazie al neuroimaging (non dei neuroni specchio, perché nell’uomo non si può condurre la registrazione delle singole cellule). Ma quello che chiamiamo “sistema mirror” comprende un’area importante (il solco temporale superiore) che sappiamo non contenere neuroni specchio. In secondo luogo, lo studio di Caramazza rientra in un certo numero di ricerche che negano l’esistenza nel cervello umano di aree con proprietà “specchio”. Caramazza, in particolare, ipotizza che l’esecuzione non sia necessaria per la comprensione di un atto motorio compiuto da un’altra persona. E questo non è coerente con il cosiddetto “modello dell’accoppiamento diretto” della comprensione dell’azione, ciò che secondo Rizzolatti fanno i neuroni specchio.

I neuroni specchio sono in grado di spiegare tutte le funzioni cognitive legate alla comprensione delle intenzioni e all’empatia?

Al di là dello studio di Caramazza, la mia risposta è: assolutamente no. Se i neuroni specchio scaricano in una scimmia o in un uomo che guarda un suo conspecifico afferrare un oggetto, ciò che l’attività dei neuroni specchio genera nell’osservatore è una ripetizione mentale del’atto chi agisce. Ma c’è un gap tra la ripetizione mentale dell’atto di afferrare una tazza vedendo qualcuno che l’afferra e la capacità di sapere se, afferrando la tazza, l’agente intenda bere dalla tazza, dare la tazza a qualcuno, porla sulla tavola o buttarla dalla finestra. Ripetere o simulare mentalmente l’atto motorio di un agente chiaramente non è sufficiente per comprendere l’intenzione: ad esempio, porgere la tazza al proprio amato. Non è certo che sia nemmeno necessario. In secondo luogo, si parla di atti transitivi (afferrare, schiacciare…); nessuno direbbe che vedendo compiere l’atto di afferrare noi proviamo empatia nei confronti dell’agente. L’empatia è rilevante solo per comprendere e rispondere a stati affettivi interni degli altri (dolore, emozione), non ad atti motori. Ovviamente, gli stati interni affettivi possono essere manifestati con il comportamento, ma non sono atti.

Che cosa non riescono a spiegare i neuroni specchio?

La capacità umana di rappresentarsi gli stati psicologici (credenze, intenzioni, desideri, emozioni) e ascriverli ad altri (il cosiddetto mindreading) va al di là del meccanismo dei neuroni specchio. Di conseguenza, l’idea che l’autismo nasca da un deficit dei neuroni specchio è sbagliata. E’ possibile che gli autistici abbiano un deficit dei mirror neurons (se esistono nell’uomo), ma anche così è certamente possibile che il deficit dei neuroni specchio degli autistici derivi da un deficit nella capacità di mindreading, e non viceversa. Forse bisogna rappresentare e comprendere l’intenzione di un agente perché i neuroni specchio diventino attivi. In tal caso, non è l’attività dei mirror neurons a generare la comprensione dell’intenzione di un agente. La catena causale va nella direzione opposta: prima si comprende l’intenzione dell’agente, poi i neuroni specchio mimano interiormente (o riproducono mentalmente) l’atto osservato.

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