Nietzsche e il modello intuizionista in morale

Nietzsche e il modello intuizionista in morale.All’inizio del nuovo secolo lo psicologo Jonathan Haidt propone un modello del giudizio morale ch’entra in opposizione ad una duratura tradizione di pensiero, quella per cui il giudizio morale è causato dalla ragione. In psicologia, a sostenere il modello razionalista, sono stati, per lo più, Piaget e Kohlberg. Sul versante filosofico, possiamo affermare che buona parte degli addetti ai lavori si sono schierati a favore della concezione razionalistica.

Razionalisti in morale erano Socrate, che introdusse l’intellettualismo etico, il cristianesimo, Cartesio, Kant… Haidt, invece, elaborando il suo modello descrittivo su dati sperimentali di natura empirica, arriva alla conclusione che il giudizio morale, nella maggior parte dei casi, non è causato dal ragionamento cosciente. Piuttosto, il ragionamento entrerebbe in gioco una volta formulato il giudizio morale, come forza di razionalizzazione a posteriori. Haidt chiama questo modello “intuizionista”.

Il senso è chiaro. Il giudizio morale sarebbe il prodotto di risposte rapide, automatiche ed emotive, in questo senso intuitive. A formare queste intuizioni sarebbe in larga parte il contesto sociale, la risposta emotiva, e solo in misura minore il ragionamento astratto. Se buona parte della filosofia morale ha visto, da un punto descrittivo ma ancora di più da un punto di vista normativo, nella ragione la forza prima responsabile della valutazione morale, pure ci sono state delle notevoli obiezioni.

Di fatto, Nietzsche muove una spietata obiezione al modello razionalista in morale. Oggi, la sua visione, molto più di altre, è consistente con diversi risultati scientifici, in sostanza, gli stessi che supportano il modello di Haidt. Nel capitolo intitolato “I quattro grandi errori” de il Crepuscolo degli idoli, è possibile leggere un’esposizione chiara e concisa del pensiero di Nietzsche a proposito della formazione del giudizio morale.

Il filosofo discute innanzitutto «l’errore dello scambio di causa ed effetto». Se la morale e la religione dicono all’uomo come comportarsi, promettendo felicità (individuale o collettiva), Nietzsche pensa la relazione tra felicità e virtù in altro modo: «un uomo ben riuscito, un felice, non può che fare certe azioni e si guarda istintivamente da altre azioni, e l’ordine che fisiologicamente rappresenta egli lo trasferisce all’interno dei suoi rapporti con gli uomini e con le cose. In una formula: la sua virtù è la conseguenza della sua felicità …» Con ciò è invertita la classica relazione tra vizio o virtù e degenerazione o accrescimento. Con ciò è anche contraddetta la morale intellettualistica. La fisiologia precede la ragione.

Per Nietzsche la nostra conoscenza di cosa è una “causa” deriva dalle cosiddette “realtà interiori”. Egli afferma, polemicamente: «Credevamo essere noi stessi la causalità, nell’atto del nostro volere […] non dubitavamo che tutti gli antecedenti di un’azione, le sue cause, dovevano ricercarsi nella coscienza e che qui si sarebbero ritrovati, se li si cerca, come “motivi” […] chi avrebbe potuto contestare che un pensiero ha la sua causa? che l’io causa il pensiero?» Che il mondo, dunque, è un mondo di liberi spiriti? Niente di più falso e irreale.

Friedrich Nietzsche

Friedrich Nietzsche

«Il “mondo interiore” è colmo di immagini ingannevoli e di fuochi fatui […] La volontà non muove più nulla, di conseguenza neppure spiega più nulla – essa accompagna semplicemente dei processi, può anche mancare. Il cosiddetto “motivo”: un altro errore. Semplicemente un fenomeno superficiale della coscienza, un concomitante dell’azione, che inoltre nasconde, piuttosto che rappresentarli, gli antecedentia di un’azione. Per non parlare dell’io! Esso è divenuto una favola, una finzione, un gioco di parole […] Che cosa ne consegue? Non esistono affatto cause spirituali! Tutta la loro presunta empiria se ne è andata al diavolo!»

Abbiamo capito bene. L’uomo non è mosso a giudizio e azione da una forza spirituale cosciente, da una ragione che si declini in motivi. Piuttosto, la ragione astratta, coi suoi motivi, segue il giudizio e l’azione. Nietzsche è cristallino su questo punto: «Quel che è posteriore, la motivazione, viene vissuto per primo, spesso con cento dettagli che svaniscono come in un baleno […] Le rappresentazioni, generate da un certo stato intimo, sono state erroneamente intese come causa del medesimo.» La motivazione è una razionalizzazione a posteriori, mentre lo “stato intimo” (nell’attuale linguaggio di Haidt “i processi di risposta rapida, automatica ed emotiva”), è la reale causa del giudizio morale. «La morale e la religione appartengono completamente alla psicologia dell’errore: in ogni singolo caso si scambia la causa con l’effetto; oppure si scambia la verità con l’effetto di ciò che è creduto vero; oppure si scambia uno stato della coscienza con la causalità di questo stato.»

Se noi, financo nel giudizio morale, non siamo determinati dalla nostra coscienza, ma piuttosto da stati fisiologici e sentimenti, che solo illusoriamente interpretiamo come effetti del nostro libero volere, noi, non abbiamo alcun libero arbitrio. Poco male, pensa Nietzsche. Infatti: «Libero arbitrio: lo sappiamo anche troppo bene che cosa sia – il più malfamato trucco dei teologi che sia mai esistito, mirante a rendere l’umanità “responsabile” nel senso loro, ossia renderla a essi soggetta […] Dovunque vengono cercate responsabilità, chi le cerca è di solito l’istinto del voler punire e giudicare. Si è spogliato il divenire della sua innocenza se si riconduce un qualsiasi essere fatto così e così alla volontà, alle intenzioni, ai protocolli della responsabilità: la dottrina del volere è inventata essenzialmente allo scopo della pena, cioè del voler trovare la consapevolezza. […] Gli uomini vennero ritenuti “liberi” per poter essere giudicati e puniti – per poter essere colpevoli: si dovette perciò pensare ogni azione come voluta, e l’origine di ogni azione come situata nella coscienza».

Col che Nietzsche fornisce una sorta di genealogia dell’attribuzione del libero arbitrio all’uomo, tale da giustificare le illusioni della coscienza dotata di volontà, del giudizio (morale) effetto di un ragionare cosciente e deliberato. Noi pensiamo che la proposta di Haidt, sviluppata nelle sue implicazioni, non possa, prima o poi, non prendere la direzione dell’analisi critica di Nietzsche. Sicché, agli odierni psicologi della morale, spetta il compito di porsi con coraggio di fronte all’impatto iconoclasta del loro teorizzare e scoprire. Spetta a loro, crediamo, di non nascondere dietro la seria e stimata immagine di uomini dell’oggettività la potenza critica e scomoda delle loro scoperte.

Vogliamo concludere con le parole del filosofo, che allarga il discorso fino a chiarire il posto dell’uomo nel Cosmo. «A che cosa può ridursi la nostra tesi? […] Nessuno è responsabile della sua esistenza, del suo essere costituito in questo o in quel modo, di trovarsi in quella situazione e in quell’ambiente. La fatalità della sua natura non può essere districata dalla fatalità di tutto ciò che fu e che sarà. […] è assurdo far rotolare la sua natura verso un qualsivoglia scopo [anche morale]. Siamo stati noi a inventare il concetto di “scopo”: nella realtà lo scopo è assente … Si è necessari, si è un frammento di fato […] non c’è nulla che possa giudicare, misurare, verificare, condannare il nostro essere, giacché questo equivarrebbe a giudicare, misurare, verificare, condannare il tutto … Ma fuori del tutto non c’è nulla! – Che nessuno più sia reso responsabile, che la natura dell’essere non possa venire ricondotta a una causa prima, che il mondo non sia, né come sensorium, né come “spirito”, una unità, tutto ciò soltanto è la grande liberazione – con ciò soltanto è nuovamente ristabilita l’innocenza del divenire …»

Francesco Margoni

Reference:

  1. Haidt, J. (2001) The Emotional Dog and Its Rational Tail: A Social Intuitionist Approach to Moral Judgment. Psychological Review. 108; 4: pp. 814-834.
  2. Nietzsche, F. Crepuscolo degli idoli. Adelphi; dalle Opere di Friedrich Nietzsche, vol. VI tomo III, edizione italiana. Cfr. in particolare il capitolo I quattro grandi errori.

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