NYT: peer review addio, è tempo di web

NYT: peer review addio, è tempo di web.Il peer review ha i giorni contati? “Se il New York Times ne parla in prima pagina vuol dire che la ricerca di una alternativa alla valutazione tradizionale degli studi destinati alla pubblicazione sulle riviste scientifiche è già una tendenza che presto rivoluzionerà l’intero sistema accademico”. Parola di Peter Leyden, direttore di INET Online.

Finora le carriere universitarie hanno fatto leva principalmente sulla quantità di studi pubblicati sulle riviste scientifiche di prestigio, caratterizzate da una processo di vaglio dei manoscritti realizzato da “colleghi esperti” (peer reviewer) nominati dall’editore , almeno nei paesi anglosassoni.

Ma “nell’era dei media digitali ci sono sicuramente metodi migliori per valutare la qualità dei lavori scientifici”, dichiara al NYT Katherine Rowe, docente di storia dei media al Bryn Mawr College.

Uno di questi prevede di “aprire” il processo di valutazione al “giudizio collettivo di una audience più ampia rispetto ai consessi elitari delle riviste che attualmente detengono il monopolio del sapere”.

Il 17 settembre la rivista Shakespeare Quarterly pubblicherà il suo primo numero realizzato con un mix di peer e di “open review”, frutto della revisione dei manoscritti effettuata su base spontanea da oltre 40 persone, che su MediaCommons hanno postato più di 350 commenti con domande puntuali agli autori degli studi proposti per la pubblicazione.

Il concetto di “open review” in realtà non è nuovo.

Già Nature (rivista in posizione dominante che riceve più di 10.000 manoscritti all’anno, rifiutandone il 60% prima ancora di mandarli al vaglio degli esperti) l’aveva sperimentata nel 2006 su un migliaio di paper, concludendo che “nonostante l’entusiasmo per questo concetto, l’open peer review non si è dimostrato così popolare, sia fra gli autori sia fra gli scienziati invitati a formulare commenti sui manoscritti”.

E non tutti sono d’accordo sull’allargamento dei criteri valutativi. “Il sapere non è democratico: la valutazione dell’originalità e della valenza intellettuale di un lavoro può essere eseguita solo da chi è realmente esperto in materia”, dice al NYT Michèle Lamont, sociologa di Harvard, pur ammettendo che “il web sta già producendo un effetto incalcolabile sul sistema accademico, coinvolgendo specialmente i giovani professori”.

Chi è a favore dei meccanismi di collaborazione a rete invece sottolinea che vi sono valori altrettanto importanti del mero “controllo qualità”, come ad esempio la capacità dei nuovi media di generare discussioni, di migliorare i lavori in progress, di condividere rapidamente le informazioni su larga scala.

Che poi il peer review tradizionale riesca davvero a garantire la qualità e a sancire la “scientificità” degli studi pubblicati, in molti hanno già espresso dubbi in proposito (vedere articolo di BrainFactor del 19/3/2009).

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