Le esperienze extracorporee tra ricerca scientifica e suggestione
“La scienza è solo
immaginazione
con la camicia di forza”
(Richard Feynman)
Ci sono luoghi di confine della coscienza, come dirupi su paesaggi ignoti. Condizioni situate al crepuscolo di ciò che è conosciuto e che fanno parte delle nostre funzioni e potenziale, ma sovente non abbastanza studiate o talmente complesse da non poter essere spiegate con pienezza. Nascondono forse affascinanti segreti – così piace pensare a molti – o, più semplicemente, provengono da meccanismi fisiologici da approfondire.
Che l’essere coscienti sia uno stato di continuum, con varie sfaccettature, è ormai questione nota, e già ciò fa riflettere sui vari livelli di presenza tra cui ondeggiamo con costanza, più o meno con cognizione. Dal sonno alla veglia è il continuum più ovvio, per esempio, con tanto di porte di passaggio in penombra. Il più ovvio, appunto.
All’interno di questo vasto spettro di possibilità emerge quella che viene considerata, in termini di norma, la nostra “lucidità”, ma prendono forma anche alterazioni percettive insolite, eppure non così rare. Nell’ ampio gruppo di ciò che può accadere di sperimentare, ancora più ai confini di questi dirupi, fonte di curiosità e talvolta scetticismo, possiamo collocare le esperienze extracorporee, o OBE (“Out of Body Experiences”).
Ma di cosa si tratta esattamente? Cosa ci possono consegnare, a seconda delle lenti attraverso cui le si guarda? Quali orizzonti spalancano di fronte a noi, scientifici e filosofici? Che cosa sappiamo realmente di questi territori liminali? È indubbio che siano state fonte di spunti artistici, come per esempio nel cinema, lasciando che la fantasia corresse forse eccessivamente; e non è raro trovare chi li considera persino risibili. Eppure la loro esistenza, anche se non romanzata, è indubbia, pur essendo abitata da foschie.
“Esperienze extracorporee”: quel che succede è che ci si avverte al di fuori della propria corporeità, il mondo viene recepito, nel suo dipanarsi, al di fuori dei confini fisici, da altra posizione e addirittura, in alcuni casi, ci si può “vedere” dall’esterno (autoscopia). Prima di tutto, è da sottolineare che le OBE possono essere frutto di cause eterogenee, per cui non seguono un’unica genesi.
Tra queste: stati di deprivazione sensoriale, disturbi del sonno (e dell’attività onirica), traumi cerebrali e alcune patologie neurologiche, alcune condizioni psichiatriche, l’uso di sostanze psicotrope e determinate tipologie di droghe, stati di così detto trance e meditazione, stress assai intensi e traumi che minano l’integrità dell’individuo, sino alle così dette NDE (Near Death Experiences), le “esperienze di pre-morte”, argomento che richiede giusta prudenza, considerando tra l’altro che esse non avvengono sempre in situazioni di rischio di decesso.
In effetti, non di rado le OBE si possano verificare in presenza di emergenze come l’arresto cardiaco, o durante incidenti in cui si sta per soffocare o affogare (viene naturale quindi focalizzarsi sulla componente organica di tale esperienza in peculiari stati fisici, ove vi è una carenza di ossigeno).
Ai soggetti che la vivono, viene talora difficile da spiegare, come sia un’OBE; può essere un percepirsi come fluttuanti al di fuori di sé, piuttosto che la sensazione di osservare o osservarsi dall’alto, con un senso di realtà tale da non renderlo diverso da quello che si vive in piena coscienza.
E c’è una sorta di impaccio nello scindere i punti di vista, sezionare in frammenti ciò che è unico, ma non c’è altro modo di spiegarsi; al solito, diviene per me una forzatura, però, come sempre, necessaria, soprattutto lungo strade che possono essere scivolose.
Neuro-psico-logica-mente disquisendo
Il primo sentiero da percorrere per considerare l’argomento è quello del punto di vista neurologico, psichiatrico e neuroscientifico: come si collocano, in questa sede, le OBE?
Si prenda l’esempio dell’epilessia, non di rado legata a vissuti anomali. In uno studio in merito (Greyson B. et al., 2014) si è approfondito il fenomeno della percezione extracorporea considerando molteplici variabili; i risultati confermano che il 7% dei pazienti epilettici aveva sperimentato, durante le crisi, OBE, caratterizzate dalla sensazione di lasciare il proprio corpo. Questa componente però veniva ammessa solo se ai soggetti veniva chiesto esplicitamente, dato che sembrava essere un “particolare” da loro quasi dimenticato, come non fosse consistente.
In più, si è rilevato che non vi è differenza tra la tipologia di epilessia e la sperimentazione di OBE. Se si considera – dato extra ordinario – che le OBE vengono vissute, almeno una volta nell’arco dell’esistenza, da almeno il 5% della popolazione, il risultato su chi soffre di epilessia non risulta poi statisticamente significativo. La conclusione di questa ricerca, dunque, è che la correlazione lineare tra le Out of Body Experiences e l’epilessia non è poi così significativa.
Di particolare interesse sono, a mio avviso, le osservazioni del dottor Josef Parvizi, professore di neurologia alla Stanford University, che racconta di come un suo paziente epilettico si sentisse, durante le crisi, “un osservatore delle conversazioni nella mia testa (…) Mi sento come se stessi galleggiando nello spazio”.
A partire da questo singolo caso, Parvizi ha iniziato un’indagine sul “senso del sé fisico” che l’ha portato a concentrarsi su di un’area cerebrale precisa, il precuneo anteriore (regione mediale della corteccia parietale), area ancora poco studiata, connessa a processi complessi, relativi anche alla coscienza; nella trattazione di Parvizi, la stimolazione di questa porzione del precuneo portava ad OBE, con un senso di distacco dal proprio pensiero e dal proprio corpo.
Facendo un passo oltre, un ricercatore francese, Christophe Lopez, del National Centre for Scientific Research, sottolinea nei suoi lavori come l’orecchio interno abbia un ruolo nella percezione corporea, e Parvizi e i suoi colleghi, a loro volta, spiegano come le informazioni dell’orecchio interno siano elaborate proprio dal precuneo anteriore. Si potrebbero per cui creare alterazioni dovute alla ricerca di un compromesso tra messaggi discordanti (ad esempio, viene avvertito un movimento che però non è confermato da altri sensi).
Mi rendo conto che in questo modo si sta andando troppo nel “piccolo”: nessun fenomeno umano così complesso può essere riconducibile ad una sola area. Ma, visto che qui si disquisisce neurologica-mente, non si può non evidenziare come in molteplici analisi la piccola parte anatomica del precuneo venga connessa al senso di sé.
In un ulteriore approfondimento (Lyu D. et al., 2023) viene confermato come lo stimolare il precuneo anteriore porti a dissociazione e a un senso di distorsione dalla propria fisicità. Anche per quel che concerne l’emicrania, si è notato, ormai da decenni come le OBE possano manifestarsi, anche se non con frequenza, nell’aura emicranica (Podoll K. et al., 1999).
Non si vogliono qui ripercorrere tutte le condizioni per cui si è creata una connessione con le OBE, ma anche in ricerche non recenti (Blanke O. et al., 2003) si sono evidenziati aspetti comuni tra le OBE e un fenomeno a cui le esperienze extracorporee stesse sono non solo associate, ma sovente sono classificate come una sua sottocategoria – ossia l’autoscopia.
L’autoscopia, già velocemente citata, è definibile come il vedere il proprio corpo al di fuori dagli effettivi confini della nostra fisicità – essere in presenza del proprio doppio, delle volte come se si fosse di fronte a uno specchio; essa è nota soprattutto in contesti clinici psichiatrici, ma è compresa anche tra le manifestazioni epilettiche, come conseguenza di disturbi del sonno o dell’uso di sostanze psicotrope, durante condizioni di ipossia cerebrale o persino come effetto di un inusuale rilassamento.
Le due alterazioni, così interlacciate tra loro, paiono condividere una delle variabili che, secondo le teorie, ha impatto maggiore: la posizione corporea, il muoversi nello spazio e “il senso di interezza del proprio corpo”. Si giunge, seguendo Blanke, all’ipotesi che queste situazioni allucinatorie potrebbero rappresentare disturbi della percezione e della cognizione corporea – si son riscontrati a tal proposito disfunzioni alla giunzione temporo-parietale. Ma per arrivare a sperimentare questi stati, si è concluso, è necessario avere una non integrazione tra le “informazioni propriocettive, tattili e visive”, ma anche un’anomalia degli input vestibolari.
Spostandosi ulteriormente lungo i vari campi che costeggiano il dirupo, è altresì noto che condizioni psicopatologiche, ma anche eventi altamente traumatici, possono portare alle OBE.Si pensi a come le esperienze extracorporee possano avvenire in vittime di stupro o in chi si trova a subire situazioni violente e aggressive, di impatto radicale, sino a esperienze così deleterie da condurre quasi alla morte – o al decesso vero e proprio, per poco tempo, aprendo i battenti alle NDE.
Vale la pena considerare, tra gli ipotetici scenari, l’importanza difensiva che ha il prendere le distanze da qualcosa di drammatico (nel caso, per esempio, di un’aggressione da cui non ci si può difendere o fuggire), attraverso meccanismi psicologici ma, in primis, fisiologici.
Eppure, per avere riscontri, possiamo restare semplicemente nella quotidianità, senza includere eventi tragici, per considerare come l’ansia e la depressione siano a loro volta associati a ben più blande ma comunque assimilabili percezioni, come quelle di “derealizzazione” o di “depersonalizzazione”, che possono essere sperimentate da chiunque anche in condizioni di intensa stanchezza e stress – quel vago sentore di “non essere qui”, e (o) di separazione dal contesto.
E una peculiarità interessante delle OBE è il loro essere trasversale, nell’esperienza umana, nelle modalità in cui si presenta, al di là degli aspetti socioculturali. Anche a livello antropologico e sociale, le OBE non sono solo situazioni che “capitano”, ma sono state attivamente ricercate e volute, attraverso vari mezzi, in virtù della convinzione che esse possano connettere a percezioni “divine”.
E anche in un campo neuroscientifico non si possono trascurare certe componenti, poiché fanno parte dell’essere umano, nei suoi bisogni profondi.
Il bisogno dell’altrove – la ricerca della trascendenza
C’è una sorta di pudore neanche tanto velato, a discutere di certi temi, in particolar modo in determinati contesti. Però si ha l’impressione che, non facendolo, vengano a mancare considerazioni su aspetti importanti dell’umano.
Nel trattare lo spinoso e in gran parte ignoto fenomeno delle esperienze extracorporee, diviene imperativo considerare anche la componente sociologica e persino spirituale insita in noi: so che pare blasfemia, in un contesto di scienza, ma a mio avviso è necessario attenzionare la nostra totalità, anche quando si tratta di quel che non può essere dimostrato in laboratorio, ma non per questo deve essere escluso dallo studio di noi stessi – Jung docet.
Le esperienze extracorporee non solo sono state descritte, spesso abbellite e romanzate, ma abbondano nelle credenze, nell’identità e nel folklore di ogni popolo. Le OBE non solo appaiono in racconti religiosi e di vissuti così detti “paranormali”, ma sono state investite appunto dal sacro, divenendo nel credo popolare manifestazione di qualcosa di invisibile ed elevato, e non di rado si cerca di farle emergere proprio durante riti sacri.
Erano, tra l’altro, un’esperienza che era un mezzo che aiutava i così detti “uomini medicina” a entrare in contatto con un’alterità necessaria all’atto della guarigione, per cui l’induzione delle OBE veniva e, in alcuni contesti, viene ancora, coadiuvata dall’utilizzo di suoni e musiche (come i tamburi o alcuni toni binaurali prolungati) e, soprattutto, dall’uso di sostanze psicotrope.
Di notevole impatto nella storia dell’uomo, chi ha sperimentato le OBE è davvero convinto di aver effettuato un “viaggio astrale”, o essere entrato in contatto con entità “superiori”, se non addirittura Dio, magari in un momento di grave calamità fisica (o persino di essere stati rapiti da creature aliene).
Per quanto ad alcuni certe ipotesi paiano ridicole, facendo parte del bagaglio dei vissuti della nostra specie, le OBE sono prese assai seriamente da molti come rivelazione di verità assolute e supreme, ed è interessante notare gli effetti che possono avere sul singolo, e non solo.
L’imperioso bisogno di trascendenza dell’umanità trova consolazione e rassicurazione nell’esistenza delle OBE, la cui interpretazione viene sovente rimaneggiata dal proprio background personale e dai propri bisogni interiori, oltre che dalla ricerca di una spiegazione razionale di sensazioni estranee, irrazionali e difficili da inquadrare nel pensiero comune.
Non concludendo
Un tema così non può condurre a conclusioni certe, sicuramente non in un setting scientifico, ma nemmeno in una realtà divulgativa. Ci sono però numerose osservazioni che, qualunque sia la prospettiva da cui si osserva questa inusuale esperienza, chiedono di essere considerate:
- le OBE non sono così rare, e le stime suggeriscono che avvengono almeno una volta nel corso della vita, diffusamente nel mondo, a circa il 5% della popolazione;
- alcune patologie neurologiche e psichiatriche facilitano la sperimentazione di questa esperienza, che però può avvenire anche durante un fortissimo trauma, acquisendo essenzialmente la forma di un senso di distacco dal sé;
- inoltre, le OBE vengono riportate anche come evento spontaneo in persone sane, in momenti di particolare rilassatezza o meditazione, in chi è in uno stato di importante carenza di sonno, in chi fa uso di determinate sostanze e, in una forma “attenuata” (“derealizzazione” e “depersonalizzazione”), avvengono in presenza di stress, depressione e ansia;
- alcuni studi incentrate sulle OBE e sull’autoscopia sembrano indicare che un ruolo anatomico lo può avere (oltre a network in parte ancora sconosciuti) una piccola area del cervello, il precuneo anteriore; incisive paiono essere la presenza simultanea di discrepanza della percezione del sé corporeo e componenti di disfunzione vestibolare;
- capita che le OBE vengano indotte, con l’ausilio di droghe, farmaci e persino musiche;
- stabilito che vi è una base neurale che potrebbe spiegare le OBE, ancora oggi molteplici variabili rimangono irrisolte, e sono fonte di speculazioni nei più svariati campi; il fatto, per esempio, che le NDE si presentino con le medesime peculiarità sembra raccontare una comune genesi anatomica, vista la carenza di dati certi, ed è importante restare vigili, a mio avviso, con rigore ma anche con apertura mentale, nella prospettiva di future ricerche che, narrandoci questi aspetti poco trattati, potrebbero rivelarci un potenziale insito in noi;
- in più, non si può trascurare l’aspetto più introspettivo, sacro (qualcuno direbbe “superstizioso”) e, in generale, antropologico che le OBE stimolano, lasciando un’impronta importante nell’evoluzione delle credenze.
Non nascondo che per me quest’ultima componente ha un particolare fascino. Al di là dell’indubbia genesi neurologica delle esperienze extracorporee (pur rimanendo neutri di fronte all’imponderabile), sono comunque sorpresa da come, attraverso l’attribuzione di significati, queste vicissitudini si rivelino estremamente trasformative per chi le sperimenta.
Per esempio, nelle esperienze di pre-morte, le persone, nella loro convinzione di essere state al cospetto di un’inconcepibile forza superiore, acquisiscono di solito un’attitudine diversa verso la vita, una maggiore apertura verso gli altri, una personalità più pacificata, un’emotività più intensa, restando avvinti nella convinzione di un aldilà benevolo che irradia prospettive sicure nei loro giorni.
Non è un dato da trascurare – proviamo a pensare a come componenti mistiche ed artistiche possono per esempio avere un’influenza in alcuni pazienti con epilessia del lobo temporale. Certamente le OBE sono biologiche, sono reazioni che rispondono a molteplici stimoli, e avvengono grazie ad aree e circuiti cerebrali.
Ciò nonostante, serve mantenere l’umiltà della consapevolezza dell’ignoranza che ancora abbiamo su numerosissimi aspetti che sono al di fuori dell’ordinario, nelle nostre esistenze – che non significa incentivare chi pensa di essere stato rapiti dagli UFO, ma vuol dire avere la predisposizione ad accettare che il poco sapere e certe ipotesi potrebbero rivelarci molto, in futuro, di meccanismi che possediamo (per quel che concerne poi il “resto”, dipende dai propri punti di vista e da questioni interiori).
Non sono del resto pochi, gli argomenti che rimangono ad oggi ardui da dimostrare: si consideri il superbo concetto di “mente estesa” (Chalmers D., Clark D., 1989), diffuso dal biologo Rupert Sheldrake – una mente al di fuori del cervello. Ammettiamolo: sono innumerevoli, forse inconcepibili, le distese dei campi del sapere che contengono verità sconosciute sulla nostra natura – può sembrare un discorso poco razionale, e sì, lo è (la razionalità è tassativa, ma delle volte pone dei paletti implacabili). Sono da percorrere, sondare, capire, nei limiti in cui si può. Ma non vanno ignorate.
Perché, appunto, come detto per le OBE hanno un effetto, su di noi. E delle volte, non potendo dare una risposta netta sotto la luce di un pieno mezzogiorno della scienza, viene alla memoria un’osservazione di William James, quando pubblicò le sue conferenze sull’esperienza religiosa (“The Varieties of Religious Experiences”, 1902), in cui ha dichiarato che le credenze religiose non vanno conosciute ricercando le loro radici, bensì vanno prese in considerazione dai loro frutti – il metodo pragmatico.
E anche se qui non si parla di religione, e solo in apparenza si sta deviando dal discorso originale, la citazione di James richiama come le OBE stesse, nella loro acquisire un senso, possono essere vissuti che, se non travalicano il funzionamento della persona e non si fanno ossessione o patologia, possono in non pochi casi migliorare le qualità umane di chi le ha esperite, specialmente, come sottolineato, nelle NDE.
Potrebbe essere che una convinzione, per quanto distorta, non solo non abbia sequele negative sull’individuo, ma, appunto, lo predisponga a coltivare il meglio di sé (i “frutti” di William James)? Se non possiamo valutare le radici, può essere degno di nota ciò che la pianta produce? Si riesce a tollerare di non poter arrivare alle radici? O vanno sviliti i frutti perché non si può scavare?
Chissà che, percependosi un poco dall’esterno, pur per qualche dissonanza o problematica, si riesca a scorgere un poco più in là di noi stessi, proiettandosi con maggiore estensione, verrebbe da dire – magari, migliorati. Solo una speculazione, dove il soggettivo, il dubbio e l’immaginario prendono il sopravvento sul rigore – ma una speculazione è spesso la base da cui partiamo per ogni viaggio importante.
Alessia Ghisi Migliari
Psicologa, Master in Neuropsicologia Clinica
Master in Psiconeuroendocrinoimmunologia
Formata in Psicodiagnostica
agmpsiche.weebly.com
Bibliografia e sitografia
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- Sheldrake R., “La mente estesa. Il senso di sentirsi osservati e altri poteri inspiegati della mente umana”, 2018, Feltrinelli, Milano.
Fotografie di Alessia Ghisi Migliari (C) Copyright Tutti i diritti riservati
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