Promuovere l’integrazione dei saperi nell’ambito delle scienze della mente; sviluppare e diffondere una cultura della cooperazione e della collaborazione tra gli studiosi ed i professionisti; offrire l’affiliazione a un network che garantisca supporto anche nella pratica professionale. Questi sono gli scopi fondanti di Integrational Mind Labs (IML), associazione scientifica che ho l’onore di presiedere.
Devo riconoscere che Paolo G. Bianchi è riuscito egregiamente in questi due anni di collaborazione con BrainFactor a tracciare una interessante panoramica sui diversi temi che riguardano e ancora oggi interessano l’umano, mettendo in luce aspetti noti e meno noti delle grandi questioni sulle quali tanti studiosi della mente si stanno impegnando tuttora, richiamando tanto gli avanzamenti della ricerca neuroscientifica contemporanea quanto le concettualizzazioni di pensatori importanti della tradizione occidentale, non disdegnando allo stesso tempo riflessioni prodonde che vanno a solleticare le corde più intime dell’animo di ciascuno, non riducibile certo a qualche variazione metabolica o schema comportamentale. A parer mio il suo contributo più profondo è quello di ricordarci sempre che l’innovazione tecnologica può, e personalmente mi verrebbe da aggiungere deve, integrarsi con la conoscenza di noi stessi difficilmente esprimibile a parole, conoscenza di cui la ricerca spirituale è asse portante.
In questo contesto, l’antropologo e counselor Bianchi, sembra essere riuscito a cogliere appieno lo “spirito” che ha portato alla nascita di Integrational Mind Labs, uno spirito che accomuna quanti, mossi da un desiderio disinteressato di conoscenza, si pongono di fronte alle grandi questioni senza pregiudizi di sorta e senza limiti dettati dai “canoni” della propria disciplina, rispettosamente cercando possibili punti di contatto con le altre, fiduciosi che un dialogo sereno e sincero fra professionisti, ricercatori e studiosi di diverso indirizzo possa portare a un avanzamento nella comprensione della complessità dell’essere nel mondo. E se in Italia tanti sembrano ancora segnare il passo in questa direzione, esempi luminosi vengono da altri Paesi non lontani. Nel Regno Unito, ad esempio, in ambito clinico il counseling viene da tempo ricompreso fra le “terapie della parola” sostenute e promosse dal National Health System, che prevede che gli stessi psichiatri e psicologi, gli “healthcare professional” in genere, possano avere una specifica formazione nel counseling.
Allora, se è vero che di fronte al progresso tecnologico gli impianti teoretici delle psicoterapie si stanno dimostrando obsoleti, mentre le pratiche psicoterapeutiche si stanno sempre più diversificando, integrando al loro interno tecniche sempre più variegate, la formulazione pratica e teorica di un approccio “integrazionale”, inteso come un approccio che consenta di integrare ciò che è integrabile delle varie forme e dei vari linguaggi delle psicoterapie, di integrare le parti dissociate del Sé di ciascuno di noi nell’ambito della costruzione di una consapevolezza personale e sociale, di integrare i diversi saperi delle scienze della mente (psicologia, psichiatria, filosofia, linguistica, sociologia, informatica, biologia, fisica, economia) nel contesto di una realtà gruppale che si basi sulla cooperazione consapevole e critica, di integrare le diverse esperienze umane e professionali all’interno di una coscienza collettiva consapevolmente basata sulla ricerca dell’empatia appare la scelta evolutivamente più adatta alla mutevole realtà contemporanea.
In prospettiva integrazionale possiamo immaginare allora un tavolo al quale dialogano (e non si combattono) tutti i soggetti che rappresentano i diversi professionisti che in un modo o nell’altro hanno scelto di offrire il loro aiuto alle persone che ne hanno bisogno, perché solo da una collaborazione fra professionisti di diversa formazione può avviarsi un processo virtuoso a livello di sistema, che sappia valorizzare le differenze, promuovendo al contempo la loro armonizzazione, a vantaggio della persona che chiede aiuto ed è in cerca di chiarezza. Tutto questo, auspicabilmente, attraverso al definizione di adeguati standard formativi che garantiscano la naturale esclusione dal sistema (e non attraverso carte bollate e scaramucce d’ogni bassezza, come purtroppo ancora accade in Italia) di quanti non rispettani i parametri stabiliti in sintonia con le tendenze più attuali dei Paesi Europei più avanzati.
BrainFactor è una rivista interessante proprio perché ha avuto la lungimiranza di capire per prima, nel nostro Paese, il valore aggiunto del dialogo fra discipline differenti. Lo spazio assicurato sulle pagine di BrainFactor tanto ad accademini riconosciuti quanto a “voci fuori dal coro” nel contesto delle neuroscienze cognitive e delle scienze della mente, tanto a psichiatri e neuropsicologi quanto a counselor nella fattispecie in questione, è risultato un valido approccio “critico” in un momento in cui molti si sono lasciati incantare dalle sirene magnetiche e funzionali, dimenticandosi le riflessioni dei grandi pensatori che ci hanno precedeuto, sulle spalle dei quali ancora noi stiamo, come nani.
Ambrogio Pennati, MD
Psichiatra Psicoterapeuta Psicopatologo Forense
Presidente di Integrational Mind Labs (IML)
Dalla prefazione all’e-book di Paolo G. Bianchi, “Due anni con BrainFactor fra antropologia, counseling e neuroscienze”, 2013 (download)
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