FIRENZE – I disturbi cognitivi interessano dal 43 al 70% dei pazienti con sclerosi multipla (SM). Colpiscono memoria, ragionamento astratto, abilità visivo-spaziali, attenzione, concentrazione. La Prof. Maria Pia Amato dell’Università di Firenze ha spiegato a BrainFactor l’importanza di diagnosi precoce, prevenzione e trattamento mirato dei disturbi cognitivi nel paziente con SM, in occasione del convegno di Serono Symposia International Foundation “Cognitive Disorders in MS”.
Maria Pia Amato è professore presso il Dipartimento di Scienze neurologiche e psichiatriche dell’Università di Firenze ed è responsabile del Settore organizzativo – gestionale Sclerosi Multipla presso la Clinica Neurologica di Firenze.
Professoressa, i disturbi motori e cognitivi che interessano un paziente affetto da sclerosi multipla sono indipendenti tra loro?
Negli studi a lungo termine, che hanno seguito delle coorti di pazienti affetti da SM per molti anni, si osserva una certa convergenza tra la gravità della malattia espressa in termini di disabilità motoria e la gravità in termini di disabilità cognitiva. Questo, però, non è necessariamente la regola e ci sono situazioni in cui i due aspetti possono essere dissociati tra loro. Per esempio, nelle forme di SM pediatriche sembra che le problematiche cognitive in qualche modo prevalgano sulla disabilità motoria, che può rimanere anche a livelli estremamente bassi forse grazie a meccanismi di compenso molto efficienti nei bambini, mentre c’è sicuramente un gap nella curva di apprendimento e di maturazione intellettiva. Per questo è necessario condurre degli studi a lungo termine per capire se, e quando, questo ritardo di maturazione intellettiva sarà poi compensato nel tempo. Un’altra situazione in cui si realizza una dissociazione tra le due classi di disturbi è nei pazienti che apparentemente soffrono di una SM di forma benigna, cioè sono soggetti autonomi dal punto di vista motorio, anche dopo molti anni dall’esordio della malattia, ma hanno una disabilità cognitiva tale da impattare negativamente , per esempio, sul lavoro. Per questo motivo si trovano costretti a ridurre o, addirittura, abbandonare l’attività lavorativa pur risultando integri sotto l’aspetto delle funzioni motorie.
La dissociazione di questi due aspetti porta anche a diversi approcci di trattamento?
La terapia è un campo che inizia ad essere esplorato sono in questi ultimi anni. Una strategia generale è quella di trattare il più precocemente possibile ogni paziente, con il farmaco più efficace di cui si disponga, per effettuare un’azione di prevenzione sia dell’eventuale accumulo di una disabilità motoria che della disabilità cognitiva, che è comunque il prodotto del danno della malattia all’interno del cervello, cioè dell’infiammazione, delle lesioni e della neurodegenerazione. L’altra strategia è quella che tenta di compensare dei deficit che si sono già instaurati, quindi non siamo più sotto il profilo della prevenzione bensì del trattamento. In questo senso ci sono stati i primi tentativi con alcuni farmaci, con azione anti-fatica o psico-stimolanti, ma con risultati ancora controversi, e di fatto non c’è ancora sul mercato un farmaco per il miglioramento dei disturbi cognitivi nella SM. Mentre, sicuramente, sono utili metodiche di tipo comportamentale, il così detto sostegno psicologico del paziente.
Cosa comprende il sostegno psicologico e neuropsicologico del paziente?
Comprende diversi approcci rivolti ad ogni aspetto della vita del paziente, come l’educazione e il consiglio di certe strategie di adattamento a livello lavorativo, a casa, per i bambini a scuola. Ci sono anche strategie di compenso di questi disturbi più indirizzate alla riabilitazione cognitiva, un vero e proprio training cognitivo di funzioni specifiche, come l’attenzione e la memoria, spesso attraverso l’uso di programmi computerizzati che vanno molto bene anche per i bambini grazie alla loro dimestichezza nell’uso del computer.
La riabilitazione cognitiva, quindi, potrebbe rivelarsi una terapia efficace per questi disturbi nel paziente con sclerosi multipla…
C’è una sfera del trattamento cognitivo che ha una sua dimensione abbastanza specifica e molto importante, che naturalmente va sviluppata. Ci sono studi di risonanza funzionale, che osservano quali aree del cervello si attivano mentre il soggetto svolge un certo compito, in questo caso cognitivo, e che mostrano come il cervello abbia una grande plasticità e, quindi, sia in grado di migliorare la propria performance. Ci sono dati preliminari che ci fanno vedere, ad esempio, che dopo un addestramento delle capacità di attenzione i soggetti, in effetti, vadano incontro ad una maggiore attività cerebrale che non è aspecifica, ma riguarda le aree coinvolte proprio nel meccanismo dell’attenzione. Questi studi, quindi, ci fanno ben sperare che le metodiche di training abbiano realmente un impatto positivo sul nostro cervello.
E’ opportuno che il sostegno psicologico – in particolare – venga “allargato” alle famiglie, specialmente in caso di pazienti adolescenti?
Nel bambino non c’è dubbio che oltre ai familiari vadano coinvolti gli insegnanti a scuola e le altre persone significative, perché alcuni problemi possono e devono essere affrontati anche inserendo degli adattamenti. Nell’ambiente scolastico, per esempio, ci sono strategie molto semplici: per i problemi di attenzione il cambiamento del banco piuttosto che dei programmi semplificati, strategie per migliorare la consolidazione della memoria. Anche il dare maggior tempo per i compiti in classe e a casa è una strategia di adattamento, perché spesso nel bambino con SM c’è un problema di rallentamento del flusso ideativo e dell’elaborazione delle informazioni, più che di processi cognitivi in quanto tali, per cui in un esercizio il fattore tempo a disposizione è molto importante.
Ritiene che il paziente con sclerosi multipla riceva sufficienti informazioni sulla sua malattia e su cosa aspettarsi dalla terapie che intraprende? Come valuta il rapporto medico-paziente in questo caso?
Sull’educazione in generale del paziente e del “che vivere” è stato fatto già molto negli ultimi anni, in relazione alle possibilità terapeutiche, mentre nel settore delle problematiche cognitive c’è ancora molto da fare. Noi veniamo da un’epoca in cui il neurologo tendeva a negare che esistessero delle problematiche cognitive, un po’ per semplificazione e un po’ perché questa malattia era vista come una malattia che causava disturbi motori. Questo credo abbia generato molta confusione e molta frustrazione, poi, nel paziente che queste problematiche le percepiva nella vita di tutti i giorni. C’è un compito di educazione prima di tutto nei confronti del neurologo, che deve essere convinto di dover valutare questi aspetti nella routine quotidiana, e poi anche, ovviamente, del paziente ed eventualmente dei suoi familiari. È una prospettiva questa che oggi è in divenire.
Aggiungendo la valutazione dell’aspetto cognitivo nel paziente con sclerosi multipla, non si rischia un sovraccarico di lavoro da parte delle strutture sanitarie?
Direi che non dobbiamo più commettere l’errore del passato di vedere il paziente soltanto in termini di autonomia motoria di gambe e braccia, bensì capire quanto sia altrettanto importante che una persona di 20-40 anni sia in grado di ricordare le cose, di ragionare, di risolvere i problemi e di fare attenzione. Bisogna vedere il paziente nella sua integrità e non sottostimare questi aspetti, perché impattano la qualità di vita, ma sono anche legati a costi sociali. La sclerosi multipla è una delle malattie più costose dal punto di vista sociale e una delle voci maggiori di costo è la riduzione o perdita della capacità lavorativa di questi soggetti. Ci sono studi che dimostrano come il fattore più importante nel determinare la perdita o la riduzione dell’attività lavorativa è il disturbo cognitivo, più che la disabilità fisica. È quindi evidente che il problema debba essere affrontato.
Intervista realizzata a Firenze il 30/09/2011 da Alessandra Gilardini, Biologo, Ph.D. in Neuroscienze per BrainFactor http://brainfactor.it (C) Tutti i diritti riservati.
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