LOSANNA – Nel 2008 sono stati battuti ben 108 record mondiali di nuoto. In quell’anno, addirittura undici atleti sono riusciti a coprire la distanza di 100 metri in meno di 48 secondi: durante i sette anni precedenti, un solo nuotatore era riuscito nell’impresa. Il Museo Olimpico di Losanna ospita un’esposizione interattiva dedicata al rapporto tra sport, atleti e scienza: un viaggio affascinante per ricordare che la tecnologia può aiutare il gesto atletico, senza però sostituirlo…
Mondiali di calcio 2010 in Sudafrica, ottavo di finale Germania-Inghilterra. Al 38esimo minuto – sul risultato di 2-1 a favore dei tedeschi – il tiro del britannico Lampard supera il portiere avversario, tocca la traversa, rimbalza di almeno mezzo metro oltre la linea poi esce. L’arbitro, su segnalazione del guardalinee, non accorda la rete e fa proseguire il gioco. La nazionale tedesca vincerà la partita per 4-1.
Questo recente episodio, visto chiaramente da tutti gli spettatori del globo grazie alle immagini rallentate delle riprese televisive, ha suscitato aspre polemiche e interminabili dibattiti sulla necessità di dotare anche gli arbitri di risorse tecnologiche più moderne.
L’esposizione Atleti e Scienze, aperta fino al 30 marzo 2011 al Museo Olimpico di Losanna, mostra al pubblico proprio in che modo la tecnologia è entrata a far parte del quotidiano di atleti, allenatori, giudici di gara e spettatori.
«La scienza è sempre più presente nel mondo dello sport, basti pensare alla tecnologia dei materiali e all’utilizzo dell’informatica [ad esempio per migliorare lo scafo di Alinghi]. Alcune applicazioni sono recenti, altre – come la ricerca di alimenti capaci di migliorare le prestazioni – risalgono alla notte dei tempi», spiega Frédérique Jamolli, curatrice dell’esposizione.
Il Museo olimpico ha deciso di realizzare un’esposizione che ha quale filo conduttore i diversi settori d’applicazione della scienza in ambito sportivo. Per trasmettere il messaggio, spiega Jamolli, «è stato scelto un approccio interattivo: il visitatore può confrontare – attraverso vari test – le proprie prestazioni e caratteristiche con quelle di alcuni grandi atleti. Ciò consente di illustrare concetti scientifici in modo ludico».
A titolo di esempio, su una speciale pedana è possibile misurare i propri tempi di reazione con quelli di Usain Bolt (scattato a Pechino in 165 millisecondi, contro i 235 di una persona media!), oppure affrontare virtualmente un pilota di Formula Uno in un test di riflessi. O ancora: paragonare la propria massa grassa a quella di un maratoneta (2-3%) e a quella di un professionista del sollevamento pesi (oltre il 40%).
L’esposizione mostra pure come determinate tecniche, inizialmente destinate al grande pubblico, sono diventate uno strumento utilizzato dagli atleti e dai loro allenatori. Emblematico è il caso della SimulCam. Nel 1998, in occasione della discesa libera di Wengen, per la prima volta la corsa di due sciatori viene visualizzata in una medesima sequenza, come se i due sportivi affrontassero la prova contemporaneamente.
Questa innovazione, particolarmente apprezzata dai canali televisivi per attirare più pubblico, suscita ben presto l’interesse di atleti e allenatori, che ne fanno ampio uso per correggere gli errori e cercare di migliorarsi.
Stesso destino per la tecnologia Stromotion, che permette di frammentare graficamente il movimento di un atleta, ad esempio nel pattinaggio artistico. Oggigiorno, tale supporto è usato dai giudici di gara per valutare gli artisti, dagli allenatori e dagli sportivi stessi. Non per caso, alle Olimpiadi invernali di Torino il 60% di atletici e tecnici ha fatto ricorso a questo tipo di strumenti.
La riflessione sulla simbiosi tra sport e scienza tocca inevitabilmente il discorso dei limiti ammessi. Frédérique Jamolli sottolinea l’importanza di salvaguardare tre elementi in particolare: «La salute dell’atleta, l’interesse dello sport e la garanzia di pari opportunità per tutti i concorrenti».
In quest’ottica, l’esposizione tratta anche il tema del cosiddetto doping tecnologico (quello farmacologico è parte integrante di una mostra permanente). Un esempio interessante è costituito dalla vicenda dei costumi in poliuretano per i nuotatori.
Grazie all’utilizzo di questi speciali supporti, nel 2008 sono stati battuti ben 108 record mondiali di nuoto. In quell’anno, addirittura undici atleti sono riusciti a coprire la distanza di 100 metri in meno di 48 secondi: durante i sette anni precedenti, un solo nuotatore era riuscito nell’impresa. Di conseguenza, dal 2010 la Federazione internazionale di nuoto ha vietato l’uso di questi costumi.
Diverso invece il discorso per la camera ipobarica, che consente di simulare le condizioni d’allenamento in quota: inizialmente proibita, la macchina è stata in seguito omologata. «Ciò dimostra che tali questioni sono sempre aperte», evidenzia Frédérique Jamolli.
Così tanta tecnologia non rischia di uccidere lo sport? Arriveremo davvero a una situazione – come ipotizzato provocatoriamente da un pannello dell’esposizione – in cui la maratona sarà corsa in 48 minuti da una sorta di atleta umanoide?
Frédérique Jamolli rassicura: «I grandi cambiamenti a livello sportivo sono il risultato della creatività e della genialità degli atleti, non il prodotto di esperimenti eseguiti in laboratorio. Pensiamo a Dick Fosbury, che nel 1968 ha introdotto una tecnica rivoluzionaria nel salto in alto, ora impiegata ormai universalmente».
Articolo di Andrea Clementi, swissinfo.ch, Losanna – Titolo originale: “Atleti moderni, non robot” – Riprodotto con gentile autorizzazione di swissinfo.ch
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