Stato vegetativo: uscire è possibile, in certi casi. Intervista a Marco Sarà

È italiano il primo metodo per accoppiare l’attività cerebrale “nascosta” con quella motoria nei pazienti con diagnosi di Stato Vegetativo. Notevoli i risultati di uno studio pilota in via di pubblicazione su Archives Of Physical Medicine and Rehabilitation, realizzato dal gruppo di ricerca coordinato dal medico neurologo Marco Sarà del San Raffaele di Cassino. Alcuni pazienti hanno mostrato risposte motorie e successivi ulteriori miglioramenti…

“In qualunque modo funzioni la coscienza, resta che, ad un certo punto, debba necessariamente mettere d’accordo una manciata di neuroni verso uno scopo comune, e affiorante, con un movimento oppure un’idea” (M. Sarà)

Annamaria è una settantenne felice. Dopo una vita dinamica di lavoro, anche in pensione conduce una vita attivissima. Ama stare in mezzo alla gente, discutere e confrontarsi con gli altri, familiari e amici, incontrare nuove persone. Una mattina, passeggiando per il centro di Roma, improvvisamente perde i sensi, cade a terra ed entra in coma.

Emorragia cerebrale. Al San Filippo Neri i medici dicono che la situazione è gravissima e temono per il peggio. Ma Annamaria è una donna forte, che sa che non è ancora il momento di mollare. Calogero non si dà per vinto, anche se Annamaria non apre gli occhi, non parla, non riconosce nessuno, nemmeno lui che è il suo “compagno” da sempre.

Dopo quattro mesi di “non c’è più niente da fare, si metta il cuore in pace”, Calogero viene a sapere che a Cassino c’è un medico che sta tentando il tutto per tutto per ridare speranza alle persone in stato vegetativo e ai loro familiari. E dà subito il consenso a questo neurologo dall’aria un po’ strana, con lo sguardo di chi ha una mente in perenne movimento, per far includere Annamaria in uno studio pilota, che utilizza tecniche speciali, mai usate finora.

Nulla è garantito in partenza, perché sarà proprio questo studio a determinare la bontà del metodo, o la sua inefficacia. Calogero non ha dubbi, sa che anche la sua Annamaria la “pensa” allo stesso modo. Dopo pochi mesi, questo medico dall’accento genovese “le consente di resuscitare”… E’ un’emozione indescrivibile per Calogero e per il fratello Sandro vedere Annamaria riuscire per la prima volta a sollevare un braccio dietro semplice richiesta dell’infermiera, dopo mesi e mesi di inerzia totale.

Ora, Annamaria è tornata a casa. Certo si porta ancora appresso i segni di quel trauma: le resta una moderata paralisi del lato destro del corpo, non parla con la stessa fluidità di eloquio di un tempo. Ma – ci dice Calogero al telefono, stentando a trattenere la commozione – “è ritornata con noi, è cosciente, risponde alle domande, ascolta e parla, segue con attenzione i notiziari… Vive bene, è tornata felice”.

Annamaria, Calogero, Sandro… Questa volta non sono nomi di fantasia. Annamaria è una paziente di “Marco” (il dottor Sarà): ha partecipato allo studio pilota con la TMS nel 2011. Sandro è il fratello. Calogero è il compagno, che ha voluto raccontare a BrainFactor la vicenda traumatica e il recupero “miracoloso” di Annamaria, autorizzando la nostra testata a riportare le sue dichiarazioni per intero, utilizzando i nomi reali.

Dr. Marco Sarà

Marco Sarà (nella foto) e collaboratori, convinti di avere per la prima volta “fotografato / stimolato il sistema motorio proprio quando questo era pronto a passare all’atto”, sono “tanto entusiasti, quanto attenti, per evitare che questo successo terapeutico venga interpretato come una soluzione al problema ampio e variegato dello Stato Vegetativo, da considerarsi più l’effetto di una sommatoria di lesioni diverse e diffusamente distribuite piuttosto che una malattia della coscienza in sé”.

Figura 1. In ascissa il tempo (in settimane) e in ordinata i valori della scala “Coma Recovery Scale – Revised” (una scala che si basa sull’osservazione e le risposte comportamentali) nei 6 soggetti inclusi nello studio (sui 15 iniziali).

Figura 1. In ascissa il tempo (in settimane) e in ordinata i valori della scala “Coma Recovery Scale – Revised” (una scala che si basa sull’osservazione e le risposte comportamentali) nei 6 soggetti inclusi nello studio (sui 15 iniziali).

Dottor Sarà, nello studio suggerite che “la facilitazione corticomotoria (TMS) e visiva (imitazione) possa avere un ruolo nell’individuazione di segni di preservata coscienza e di capacità latenti utili al trattamento di pazienti privi di risposte comportamentali”. In che modo queste capacità latenti possono essere utilizzate?

La facilitazione corticomotoria (CMF) è un fenomeno noto in neurofisiologia da tempo. In generale, se si stimola la corteccia motoria (ad esempio della mano) si verifica una risposta muscolare (spesso anche visibile in forma di “scatto” della mano). L’intensità e la velocità di questa risposta sono variabili in funzione di diversi fattori. Ad esempio, se viene fatta vedere una mano che si muove ad un soggetto sano la risposta è potenziata, “facilitata”. L’idea di partenza era basata su di una serie di considerazioni: 1) se proviamo a fare lo stesso in un soggetto non responsivo (cioè in Stato Vegettivo) e si modificasse l’intensità della risposta potrebbe voler dire che: A) mi ha “capito”, B) che lo ho semplicemente allertato, C) che un sistema di default, che prescinde dalla coscienza, ha “visto” il movimento e si è predisposto ad eseguirlo (effettuando implicitamente un test di un’ampia circuiteria neuronale); 2) ammettendo che una parte dei soggetti con diagnosi di SV siano più presenti di quello che appaiono, e dovendo mettere a punto un rilevatore della coscienza (un “coscientometro”) facciamo che questo sia pure uno “stimolatore” di una via / funzione eventualmente preservata. Vedere senza toccare in medicina non porta molto lontano… Quello che mi ha sempre lasciato perplesso è che la coscienza “osservata” tramite l’attivazione “volontaria” di aree cerebrali comunque non portasse a conseguenze fruibili dal punto di vista terapeutico. Affermo di averla in mano, di vederla, ma non sono in grado di utilizzare questo vantaggio tranne che per svelare errori diagnostici (il paziente non era in Stato Vegetativo ma Locked-In). Dati che poco dopo sono stati “surclassati” dal miglioramento dei pazienti sul piano motorio e comportamentale.

Figura 2. alcuni esempi di incremento in voltaggio dei potenziali registrati prima e durante la stimolazione.

Figura 2. alcuni esempi di incremento in voltaggio dei potenziali registrati prima e durante la stimolazione.

Che ricadute cliniche prevedete a breve?

I pazienti con le vie motorie “libere”, almeno da un lato, saranno esaminati anche secondo questa prospettiva. Il nostro è uno studio pilota che vuole segnalare agli altri colleghi: “a noi è successo questo e a voi?”

I vostri risultati possono di fatto rimettere in discussione gli attuali criteri diagnostici nei disordini di coscienza? Se i pazienti hanno diagnosi di SV in teoria non dovrebbero manifestare in alcun modo segni di preservata coscienza…

Assolutamente, la diagnosi di SV è ancora basata sull’osservazione comportamentale e tale deve restare. Come abbiamo scritto non abbiamo raggiunto una soglia statistica tale da influenzare lo stato dell’arte ma pensiamo valga la pena proseguire su questa strada. Pensi che gli SV che forniscono risposte visibili con la fMRI sono ancora di meno e ne parla tutto il mondo. Se noi interpretiamo questi dati come una proto-cura dello SV siamo completamente fuori strada. Se invece immaginiamo che una parte dei soggetti che, all’osservazione, non danno alcun segno di interazione, le cui vie motorie sono “libere” e appartengono ad una sottocategoria di pazienti destinati a migliorare, se trattati opportunamente, siamo più vicini alla verosimiglianza. Per essere più espliciti: se tutti i pazienti con SV avessero un tipo di danno sovrapponibile a quello di quelli che sono migliorati, avremmo trovato una cura. Ma visto che questa metodologia necessita di un sistema motorio piramidale relativamente conservato almeno da un lato abbiamo, meno trionfalisticamente, individuato una sottocategoria di pazienti potenzialmente in grado di rispondere.

Che cosa rappresentano questi “segni di coscienza” riscontrati nei pazienti?

In due casi un consistente e mantenuto recupero della coscienza e del linguaggio, pur nel contesto di una disabilità comunque severa. I pazienti hanno potuto fare rientro a casa…

Nello studio indicate un possibile ruolo dei neuroni specchio. Quale?

Noi pensiamo che la popolazione che ha “risuonato” per prima appartenga a quella denominata “neuroni specchio”, questo perché abbiamo osservato il meglio su imitazione, ed eccitata da questi risultati è in fase di elaborazione e limita i neuroni specchio al ruolo di sensori del movimento altrui. Immaginiamo un movimento “volontario” qualunque e consideriamo ciò che lo precede e la sua esecuzione con una forzosa distinzione. Prima di “agire” accade nel cervello una quantità di cose diverse e assolutamente poco chiare che prendono il nome di processo decisionale, coscienza, e così via. Una terra che chiamiamo “della fisiologia del tutto e del contrario di tutto”. Si tratta di fenomeni che si verificano in una corteccia sempre più evoluta e complessa nel corso della filogenesi. Il passaggio all’azione, al contrario, c’è sempre stato: dalla salamandra a noi. Così: questo studio si fonda su un principio molto pragmatico: qualunque cosa succeda prima (dalla teoria dei sistemi emergenti sino alla superconnettività) ad un certo punto dobbiamo pure sincronizzare i motoneuroni rendendoli pronti a ricevere l’ineffabile che precede il movimento. Nell’ambito dell’attività di ricerca il nostro gruppo si è occupato di entrambe le fasi appena definite.

Come si articolano queste fasi?

Possiamo distinguere una fase “prima dell’azione” e una fase di “passaggio all’azione”. Per quanto riguarda la prima fase, abbiamo studiato il riflesso dei fenomeni che precedono l’azione in termini di un reciproco della interconnessione neuronale (“functional isolation within”). Abbiamo ottenuto un indicatore prognostico, come era da aspettarsi. Il punto è che l’attività cerebrale che predispone all’azione (pensiero, decisione, libero arbitrio, coscienza ecc) è ancora un mare magnum teorico – speculativo che non porta alcun vantaggio ai pazienti in termini terapeutici (Pistoia F, Sarà M. Is there a cartesian renaissance of the mind or is it time for a new taxonomy for low responsive states? J Neurotrauma. 2012 Sep;29(13):2328-31). Per quanto riguarda la fase di passaggio all’azione, premesso che agire, cioè reclutare i motoneuroni della corteccia motoria, è qualcosa che prescinde dalla coscienza (solo l’uomo pensa in modo astratto ma tutti gli animali “si muovono”) ne discende che il sistema motorio piramidale, nel corso dell’evoluzione, abbia “imparato” ad eseguire le direttive di complessi neuronali sempre più vasti e complessi. Ritengo che si possa teorizzare che la “trasformazione” dal pensiero all’azione debba necessariamente passare attraverso un varco: l’azione è il frutto di una attività sincrona dei motoneuroni; il pensiero sembrerebbe invece il frutto di un’attività caotica complessa.

Come avviene questa transizione? Ma sopratutto, esiste un modo per “aspettarla al varco”?

Questa è la domanda, l’impulso singolo TMS sincronizza fra loro i neuroni che “colpisce”. Questo mi porta a riconsiderare proprio quello che lei ha definito “varco”. E’ chiaramente un varco funzionale, uno stato, ma sono assiomaticamente convinto che debba esistere un “imbuto” che nel passaggio all’azione richieda sincronizzazione. Mi viene in mente un altro modo di dirlo: in qualunque modo funzioni la coscienza, resta che, ad un certo punto, debba necessariamente mettere d’accordo una certa manciata di neuroni verso uno scopo comune, e “affiorante”, sul piano motorio oppure di un’idea. Riguardo alla sincronizzazione neuronale indotta (vedi Paus T, Sipila PK, Strafella AP. Synchronization of neuronal activity in thehuman primary motor cortex by transcranial magnetic stimulation: an EEG study. J Neurophysiol. 2001 Oct;86(4):1983-90) e un esempio (nella figura 3).

Figura 3. Evoluzione temporale dell'attività EEG filtrata per onde beta (15-30 Hz) utilizzando tracce singole registrate durante TMS a impulso singolo in 7 soggetti.

Figura 3. Evoluzione temporale dell’attività EEG filtrata per onde beta (15-30 Hz) utilizzando tracce singole registrate durante TMS a impulso singolo in 7 soggetti.

Avete condotto lo studio su 6 soggetti, ben 4 dei quali hanno dato “segni” di preservata coscienza. Un successo come studio pilota. Avete in agenda un nuovo studio su larga scala?

Certamente. E non da soli, mentre noi continuiamo per nostro conto, allo scopo di evitare la autoreferenzialità, condivideremo il setting sperimentale con altri gruppi.

Considerato l’utilizzo della TMS, i cui effetti in certi casi sono reversibili, che durata ha l’effetto riscontrato? Avete già a disposizione dei dati?

In due soggetti si sono mantenuti stabilmente sino al ritorno al domicilio, in un terzo il miglioramento è stato molto sensibile ma non paragonabile al recupero degli altri due pazienti.

Marco Mozzoni

Lo studio:

Francesca Pistoia, MD, Simona Sacco, MD, Antonio Carolei, MD, FAHA, Marco Sarà, MD, “Corticomotor facilitation in vegetative state: results of a pilot study”, Archives of Physical Medicine and Rehabilitation, 2013, in press

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Marco Mozzoni
Direttore Responsabile

2 Comments on "Stato vegetativo: uscire è possibile, in certi casi. Intervista a Marco Sarà"

  1. Non mi è chiaro il significato di questa frase:
    “Noi pensiamo che la popolazione che ha “risuonato” per prima appartenga a quella denominata “neuroni specchio”, questo perché abbiamo osservato il meglio su imitazione, ed eccitata da questi risultati è in fase di elaborazione e limita i neuroni specchio al ruolo di sensori del movimento altrui”

  2. Marco Sarà | 07/03/2013 at 22:09 | Rispondi

    Effettivamente, Giancarlo, non mi sono spiegato bene: i valori di pot evocato motorio più elevati si sono verificati in risposta alla condizione “richiesta verbale mentre il movimento veniva mostrato” al soggetto. Cosi ne abbiamo desunto che l’occhio che ha percepito lo stimolo siano stati i nn specchio piuttosto che l’effetto della richiesta verbale.. I dettagli dei diversi setting sono nel lavoro pubblicato. Nel tentativo di rendermi più chiaro ho ottenuto l’effetto opposto… D’altronde sono convinto che le cose della scienza non debbano essere necessariamente intuitive per tutti. E il divulgar m’è amaro in questo frangente :-=

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