Theoria motus: criticamente, fra storia e scienza

Theoria motus: criticamente, fra storia e scienza.MILANO – La ricerca di una prospettiva interdisciplinare, in certo senso “di confine”, per tentare di comprendere sempre meglio fenomeni complessi che ancora pongono domande importanti sembra non essere caratteristica delle sole neuroscienze… E’ stato presentato questa sera alla Casa della Cultura di Milano, alla presenza di un nutrito pubblico composto in gran parte da giovani studenti, il nuovo libro del filosofo Marco de Paoli “Theoria motus: dalla storia della scienza alla scienza” (Franco Angeli, 2010).

Dopo una rivisitazione “critica” delle più note e accreditate teorie scientifiche sul moto dei pianeti e dei gravi, nel suo denso ma piacevole saggio de Paoli mette senza mezzi termini in discussione il principio classico di relatività. E, poiché questo “rimane il presupposto e la base imprescindibile della successiva teoria della relatività ristretta einsteiniana, ne consegue che la critica al principio di relatività nella meccanica classica implica una critica radicale anche al principio einsteiniano”.

Non è però un lavoro di storia della scienza il suo, tiene a precisare de Paoli, e nemmeno di filosofia della scienza, perché “oggi si scrive molto su epistemologia, metodologia, storia della scienza e filosofia della scienza, ma si tratta sempre di meta-discorsi su che cosa sia o debba essere l’espistemologia, su come si debba o non si debba fare la storia della scienza, su cosa sia la filosofia della scienza e su quali siano i confini fra storia e filosofia della scienza”.

Richiamando Hegel, “per il quale la teoria della conoscenza va verificata nel concreto, senza tante premesse e preamboli”, a de Paoli piace “sporcarsi le mani” confrontandosi direttamente con le teorie, vecchie e nuove, perché secondo lui “il miglior modo di approntare gli strumenti per il conoscere consiste proprio anzitutto nell’utilizzarli”. La storia della scienza – giocoforza – la ha dovuta utilizzare, ma “per esaminare la genesi di certe teorie, le alternative seppellite e certi nodi teoretici irrisolti”: infatti sottolinea di “non fare lo storico” nemmeno quando, ad esempio, rivaluta in parte la teoria galileiana delle maree, ma di “porsi un problema teorico concreto, vivo e attuale, sulla liceità dell’estensione generalizzata operata da Einstein del principio di relatività galileiano, estensione che lo stesso Galileo giudicava impossibile e scorretta”. Lo stesso dicasi per la rivalutazione delle teorie astronomiche di Eddington, che “intende mostrarne l’attualità di certi spunti critici nei confronti delle cosmologie dinamiste”.

Dunque, se “la storia della scienza non è certamente la scienza, tuttavia può stimolare e innervare una riflessione scientifica, ciò che parimenti deve dirsi anche e per la filosofia della scienza e per l’epistemologia” dice il filosofo milanese. La sua rilettura di tante teorie sul moto (argomento cardine del libro), lo porta a riscoprire fra gli altri Aristotele (autore che anche nella discussione neuroscientifica attuale sembra voler riprendere il suo “posto” al tavolo di chi ha ancora qualcosa da dire, nonostante i suoi duemilacinquecento anni di età – vedasi in proposito l’articolo di BrainFactor del 24/5/2010 “Neuroscienze, perché rileggere Aristotele“). “Si trovano infatti nell’opera aristotelica alcuni passi di straordinario interesse che, per quanto oggi solitamente dimenticati, dovevano essere ben presenti a Galileo” scrive de Paoli, ricordando che anche per Koyré la fisica di Aristotele rappresenta “una teoria profondamente, benché non matematicamente, elaborata: non un prolungamento rozzo del senso comune, né una fantasia puerile, bensì una teoria, una dottrina che, partendo dai dati del senso comune, li sottomette a una elaborazione sistematica estremamente coerente e rigorosa”.

E’ con la nascita della scienza moderna che si ha una crisi dell’aristotelismo, “ma non per ciò è lecito considerare meramente regressiva la tradizione aristotelica”, dice de Paoli, evidenziando quanto “la scuola aristotelica di Padova, ove a lungo insegnò anche Galileo, ben lungi dall’essere un covo nostalgico fu invece una grande fucina di pensiero […]: l’aristotelismo padovano non fu quello metafisico dell’aquinate (comunque più attento di quanto non si voglia a certi problemi che oggi qualificheremmo come scientifici), bensì fu un aristotelismo razionalistico, visto con sospetto dalla Chiesa, non privo di ascendenze averroistiche e incline alla tesi della aeternitas mundi e della mortalità dell’anima nonché volto alla ricerca e alla riflessione scientifica e naturalistica”.

E’ solo un assaggio del lavoro di de Paoli, capace di riaprire un dialogo di attuale interesse anche con Newton (“che in privato si interessava all’alchimia e alla cronologia biblica e in segreto aveva scritto vari testi su temi religiosi fra cui un’interpretazione dell’Apocalisse, in un inestricabile intreccio fra scienza e teologia”), Laplace, Lagrange, Poincaré, Feynman…

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