Un’ontologia degli stati di coscienza

La ricerca contemporanea, filosofica e scientifica, ha prodotto una serie di interessanti contributi teoretici di carattere esplicativo sulla coscienza. Possono essere annoverati, tra i tanti, The global workspace theory, The intermediate level theory e le HO-Theories of consciousness. Queste teorie nascono da un sostrato di ricerca sempre più ampio e articolato.

Una prima suddivisione può essere tracciata per le ricerche che si occupano di determinare qual è il dominio della coscienza e dunque i suoi limiti. Tali studi si concentrato sul genere di coscienza riscontrabile negli infanti, negli animali (qualora ritenuta presente), sulla coscienza da un punto di vista evoluzionistico e sulla possibilità che il fenomeno cosciente possa essere implementato anche da un substrato non biologico (studi sull’Intelligenza Artificiale).

All’interno di questo confine molti sono gli studi sulle variazioni degli stati di coscienza. Dalle alterazioni patologiche, agli effetti dell’uso di droghe, dalla discussione sugli stati di coscienza dei pazienti split-brain ai casi di blindsight. Accanto a queste ricerche si può inserire il dibattito sull’ontologia degli stati di coscienza. Le posizioni in gioco hanno gradazioni discrete che vanno dall’antimaterialismo al riduzionismo forte. Viene studiata la natura intenzionale degli stati coscienti e quella particolare di fenomeni come la coscienza percettiva, fino ad arrivare all’autocoscienza. Ultima suddivisione sostanziosa appartiene alle ricerche psicologiche e neuroscientifiche.

In psicologia cognitiva gli apparati sperimentali hanno la tendenza a sondare per una data abilità cognitiva ciò che è alla portata della coscienza e cosa no per comprendere che cosa ci è coscientemente noto e perché. Si vedano, ad esempio, gli esperimenti sulla memoria implicita ed esplicita, sull’attenzione e sull’inattentional blindness. Infine, sia da un punto di vista sperimentale che teoretico, le neuroscienze offrono sempre nuovi spunti, a partire dalle ricerche di Francis Crick e Cristhpher Koch, per aprire una via alla scoperta dei correlati neurali della coscienza.

La vita cosciente è un fenomeno estremamente ricco che coinvolge l’individuo nella sua globalità e in buona parte dei suoi singoli atti. La distinzione tra atti coscienti e coscienza di un individuo ha condotto molti autori a chiedersi se è possibile che ci siano atti coscienti senza un individuo globalmente cosciente. Ma si può pensare che ogni volta che vi sia uno stato di coscienza tale stato abbia un grado che prescinde dall’ essere l’individuo in uno stato di coscienza globale, cioè dalla presenza di un Io. Detto altrimenti, la coscienza globale dell’individuo non è da ritenersi condizione necessaria perché quell’individuo abbia stati particolari di coscienza. Contrastando l’intuizione di chi, come Frank Dretske, pensa che è necessario che un soggetto S sia cosciente perché abbia uno stato di coscienza P. Intuizione che considera la coscienza come un tutto, una specie di campo unitario nel quale sotto certe condizioni le esperienze entrano a far parte diventando esperienze coscienti.

Questo modo di vedere le cose può essere pensato come non originario. Ci si rivolgerà alla coscienza globale come a qualcosa che nasce e si struttura a partire da esperienze coscienti parziali e puntuali e alle quali solo secondariamente nella sua genesi la coscienza globale dell’individuo si riferisce. Questa posizione può essere ritenuta una variante della first-order theory of consciousness che afferma che la coscienza è primariamente coscienza di particolari percettivi, propriocettivi ecc. e non propriamente e primariamente di fatti mentali.

Ciò premesso, si può introdurre una prima nozione di coscienza. La Coscienza statica particolare è l’esperienza della presenza di un qualsiasi percetto dotato di alcune proprietà relative, dipendenti cioè dal punto di vista del soggetto. Ad esempio, la percezione di una casa più l’esperienza della sua presenza in qualche punto del campo visivo, posizione relativa dell’oggetto rispetto al soggetto, vale come esperienza cosciente della casa. Può sembrare una definizione strana, ma se percepisco un particolare oggetto ed esperisco “che è presente alla distanza di un metro a destra”, ciò è sufficiente a dare una percezione soggettiva di ciò che è esternamente percepito e valere, anche se l’individuo non avesse nessun altro tipo di stato cosciente, come l’esperienza cosciente di un oggetto. Ciò non vuol dire che in questo modo l’individuo globalmente sia cosciente dell’oggetto percepito, ma che la presenza di una qualsiasi esperienza con una componente soggettiva, in una veste o nell’altra, sia un barlume di coscienza. La coscienza individuale arriverebbe solo poi dall’integrazione di tali stati parziali.

In questa analisi può essere mantenuta in modo agevole la distinzione tracciata da Ned Block tra coscienza d’accesso e coscienza fenomenica. Il sistema egocentrico prima delineato metterebbe in condivisione le informazioni su ciò che è percepito mantenendo il suo ruolo funzionale per ogni dato stato di coscienza fenomenica. Queste considerazioni possono essere estese a tutti i sistemi di percezione con componente egocentrica e l’intenzionalità degli atti di coscienza, inoltre, sarebbe spiegata insieme alla sua apparente non analizzabilità. In questo paragrafo, la parola “soggettivo” non ha la connotazione usuale di “relativo ad un ego”, altrimenti quanto detto sarebbe contraddittorio, ma indica qualcosa di ulteriore a quanto percettivamente rappresentato e determinato per mezzo dei sensi. Con un esempio, l’esperienza equivalente a “la presenza di qualcosa con determinate qualità” è uno stato di coscienza ulteriore rispetto al contenuto della percezione e indipendente dal mio essere cosciente di tale esperienza.

Accanto a questo primo stato di coscienza si può introdurre una nuova definizione per la coscienza di processi. La Coscienza dinamica particolare, “l’esperienza che si estende nel tempo dello sviluppo e del buono o cattivo raggiungimento dello scopo di un processo”. L’esperienza della correttezza o scorrettezza di un’azione o più in generale di un processo nel suo svolgimento o nella sua conclusione è anche questa volta un attributo soggettivo che rispecchia l’esecuzione dell’atto rispetto alla sua progettazione. “L’esperienza di correttezza”, questo secondo barlume di coscienza, sembra essere di difficile identificazione rispetto al primo. Ciò accade probabilmente poiché nella maggior parte delle azioni comuni il controllo di correttezza non è necessario vista l’adeguatezza pratica degli atti in questione. Se invece focalizziamo che cosa accade quando cerchiamo di imparare nuovi movimenti o si presenta qualche inconveniente per la loro realizzazione, allora si può capire quanto possa essere importante avere un feedback che discrimini ciò che è ben fatto da ciò che è errato.

Sono stati abbozzati per gli eventi e per i processi due sistemi di coscienza. D’altra parte però è necessario mostrare come da questi stati di coscienza particolari si possa giungere alla coscienza globale di un individuo, alla consapevolezza intellettuale e alla coscienza come appartenente ad un Io di per sé cosciente. La dual-content theory introdotta da Carruthers si propone di risolvere questo problema dando licenza all’esistenza della coscienza di percetti di primo ordine:

“Some of our first-order perceptual states acquire, at the same time, a higher-order analog/non conceptual content by virtue of their availability to a HOT faculty, combined with the truth of some or other version of consumer semantics – either teleosemantics, or functional/conceptual role semantics.[…] There is no faculty of inner-sense on this account; and it is one and the same set of states that have both first-order and higher-order analog/non conceptual contents. Rather, a set of first-order perceptual states is made available to a variety of down-stream “consumer systems”, some concerned with first-order conceptualization and planning in relation to the perceived environment, but another of which is concerned to generate higher-order thoughts, including thoughts about those first-order perceptual states themselves. And it is by virtue of their availability to the latter consumer system that the perceptual states in question acquire a dual content. Besides being first-order analog/non-conceptual representation of redness, smoothness, and so on, they are now also second-order analog/non-conceptual representations of seeming redness, experienced smoothness, and so forth; hence acquiring a dimension of subjectivity. And it is this dimension that constitutes those states as phenomenally conscious, on this account.”

Di questo passo è condivisibile la ricerca di un’esperienza che abbia un versante soggettivo e che prenda come oggetto stati di coscienza di primo ordine. Ciò che è invece criticabile è l’attribuzione di questa capacità al pensiero solo a causa della sua arbitrarietà. Caratteristica di tutte le teorie che intellettualizzano il fenomeno coscienza. Per uno stato di primo ordine, essere oggetto di un pensiero o essere oggetto di altri “consumer systems” può valere ugualmente la nascita di un fenomeno di coscienza, di un’esperienza che abbia un versante soggettivo. Non c’è apparente motivo dunque di preferire la consapevolezza intellettuale ad altri generi di coscienza. Se un sistema cognitivo è capace di prendere sotto di sé stati di coscienza di ordine inferiore mettendone in luce la presenza, l’esistenza, ed il valore soggettivo, abbiamo ancora uno stato che può essere definito cosciente. Ad esempio, la presenza di una persona più l’emozione relativa al suo riconoscimento.

Ponendo come cifra degli stati di coscienza la possibilità di prendere ad oggetto altri stati di coscienza da una parte si rischia un palese regresso ad infinito, senza poter arrivare ad un individuo globalmente cosciente di qualcosa. I livelli di meta coscienza devono in altre parole avere un termine. Dall’altra è difficile comprendere, data la ricchezza dei processi della nostra mente, come la coscienza possa essere funzionalmente realizzata. Si ponga l’esistenza di uno stato di coscienza di primo ordine del tipo di quelli identificati nella prima parte dell’articolo di questo progetto, presenza di una persona più emozione relativa. La coscienza di questo stato di primo ordine è uno stato di coscienza di secondo ordine che esprime in qualche veste la presenza, l’esistenza soggettiva di quelli di ordine inferiore.

La coscienza di terzo ordine ha come oggetto almeno stati di secondo ordine. Poniamo ora che la struttura che permette questo stato di terzo ordine sia l’ultima struttura a disposizione. Ciò significa che ogni stato cosciente diventa al più un suo stato. Questo stato può essere chiamato stato globale di coscienza nel quale c’è un individuo cosciente che esperisce, senza che sia riscontrabile ancora la presenza di un Io. E’ plausibile che questi stati di coscienza vengano memorizzati almeno in parte. Facciamo attenzione a cosa accade quando uno stato di coscienza globale del terzo ordine memorizzato viene rievocato. La coscienza globale di uno stato determinato rievocato equivale per la coscienza all’esperienza di un suo stato di coscienza globale particolare. La coscienza diventa così cosciente di uno stato globale particolare di coscienza. La coscienza globale dell’attivazione cosciente particolare rende un barlume di coscienza di sé. Si prenda ad esempio uno stato relativo ad un atto cosciente particolare, il ricordo di aver avuto paura di qualcosa, avremo uno stato di coscienza globale di terzo ordine.

Se la coscienza globale prende questo precedente stato come oggetto si avrà la coscienza globale della coscienza di uno stato particolare ed in ultima analisi di uno stato d’attivazione da parte della struttura cosciente stessa. Si noti a proposito che il limite dato dalla struttura globale che implementa la coscienza può essere considerato un limite fisico, questo limite fisico ci impedisce congiunturalmente di cadere in un regresso ad infinito. Una struttura globale di coscienza preordinata è, a questo punto della discussione, un’ipotesi per lo più dovuta a motivi empirici, al grado di organizzazione funzionale che la vita cosciente assume.

Ora c’è da chiedersi cosa comporta questo modo di guardare alla coscienza a livello funzionale. Nel tentativo di giustificare questa proposta teorica Robert Van Gulick teorizza a sua volta che la coscienza sia uno stato globale cerebrale di alto livello. Non è necessario postulare nessun Io o una coscienza che “guarda” i fenomeni mentali come struttura preordinata. Piuttosto avanzare l’ipotesi che le basi della coscienza nascano dall’alta integrazione dell’attività propriocettiva (nel senso prima specificato di soggettiva, egocentrica) per poi svilupparsi per meta ricorsione, come precedentemente mostrato.

La funzione della coscienza sarebbe a questo punto quella di monitorare lo stato di benessere, di buon funzionamento globale dell’individuo e guidare il mantenimento dello stato dell’ambiente interno o implementare il cambiamento di alcuni stati mentali e spesso anche fisici al fine di ristabilire questo stato di buon funzionamento. I due generi di coscienza prima descritti, la coscienza statica particolare e coscienza dinamica particolare, potrebbero rappresentare un esempio “semplice” delle due modalità di attivazione mutualmente interagenti a livello di coscienza globale.

La coscienza non è uno stato uguale a se stesso, privo di sfumature. E’ peculiare che ad esempio uno stato di coscienza intellettuale come un pensiero difficilmente diventi immediatamente coscienza intellettiva del pensiero ma bensì coscienza del suo contenuto, quando riguarda noi stessi o la nostra condotta. Sembra infatti che in ogni stato di coscienza, dato lo stato oggetto, tutte le altre facoltà elaborino le informazioni dello stato oggetto, il quale non può partecipare essendo on-line, essendo l’input, ciò di cui si diventa coscienti.

Da questo stato globale puntuale avviare la meta ricorsione potrebbe richiedere come già ipotizzato l’ausilio della memoria. Dalla nascita del self nucleare per arrivare ad un Io compiuto la narrazione potrebbe diventare piuttosto complessa. La coscienza deve riconoscersi come coscienza di un individuo dopo essersi riconosciuta in quanto coscienza e poter dire Io comprendendo il suo valore regolatore, in quanto sistema dinamico di propriocezione, dove nessuno stato mentale ha diritto di presenza se non tramite il suo benestare.

Andrea Bucci

Bibliografia

  1. Carruthers, P. 2000. Phenomenal Consciousness. Cambridge: Cambridge University Press.
  2. Chalmers, D. 2003. “The content and epistemology of phenomenal belief.” In A. Jokic and Q. Smith eds. Consciousness: New Philosophical Perspectives. Oxford: Oxford University Press.
  3. Crick, F. and Koch, C. 1990. “Toward a neurobiological theory of consciousness”. Seminars in Neuroscience, 2: 263–75.
  4. Tye, M. 2005. Consciousness and Persons. Cambridge, MA: MIT Press.
  5. Van Gulick, R. 2004. “Higher-order global states HOGS: an alternative higher-order model of consciousness.” In Gennaro, R. ed. Higher-Order Theories of Consciousness. Amsterdam and Philadelphia: John Benjamins.

Image credits: Shutterstock

 

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