ADHD e abuso di psicofarmaci su minori: il testo del Consensus internazionale

ADHD e abuso di psicofarmaci su minori: il testo del Consensus internazionale.Che cosa conosciamo realmente dell’ADHD? Quali sono i fattori di rischio e le terapie più efficaci confermate dalla ricerca sperimentale? In esclusiva su BrainFactor il testo di sintesi del “Consensus internazionale su ADHD e abuso di psicofarmaci su minori”, sottoscritto a oggi da più di 400 firmatari fra medici, psicologi, operatori socio-sanitari, enti e università di tutto il mondo (*).

Premessa

La sindrome denominata “Disturbo di Attenzione e/o Iperattivà” (ADHD) è stata oggetto di una quantità impressionante di indagini sperimentali e di studi scientifici. La soluzione di elezione per il trattamento di questo disordine è tutt’ora quella farmacologica (stimolanti a base anfetaminica, ma non solo), ed in misura molto meno significativa la pedagogia clinica, la psicoterapia e gli interventi sociali autonomi. Le risorse finanziarie sono state concentrate prevalentemente sulla ricerca – in larga parte non indipendente, in quanto finanziata con fondi dei produttori stessi – mirata ad individuare le presunte cause biologiche del disagio nonché mirata a monitorare gli effetti degli interventi farmacologici, penalizzando la ricerca sulle cause psicologiche, ambientali e sociali, nonché  gli interventi pedagogici, psicoterapeutici e sociali autonomi. I metodi sperimentali utilizzati ed i risultati ottenuti sono stati oggetto di accalorati dibattiti ed accese controversie da parte degli addetti ai lavori, e negli ultimi anni anche dei media e del grande pubblico, ed  hanno generato problemi tutt’ora irrisolti.

L’attenzione – e l’assenza di problemi di carattere emozionale – sono i  pre-requisiti generali per ogni  tipo di apprendimento, e l’individuazione di una patologia dell’attenzione e del movimento che inibisce l’apprendimento rappresenta per contro una codifica che genera conseguenze  drammatiche sul piano personale, familiare, scolastico e sociale. I firmatari del presente documento, esperti di fama in ambito clinico e sperimentale, desiderano, con onestà intellettuale e competenza professionale, fare il punto della situazione alla luce anche delle  più recenti e/o meno conosciute risultanze sperimentali scientificamente accreditate, nonché dei dibattiti accademici trascorsi ed in atto, allo scopo di fare chiarezza su un tema di primo piano nel panorama del diritto alla salute dei minori, che riguarda la comunità scientifica e la società civile tutta, stimolando con l’occasione una metodologia di approccio eticamente più corretta nei confronti di un problema che da mezzo secolo è vittima di metodologie di approccio spesse volte infruttuose.

L’ADHD come “malattia”

È consuetudine consolidata definire l’ADHD – in termini di causalità primaria – come una “malattia geneticamente determinata”, relegando le cause psicosociali a “concause minori” se non a semplici “cartine di tornasole” in grado di far emergere quanto già determinato a livello genetico, influenzandone ne più ne meno i tempi e modi della comparsa della sintomatologia. In proposito va ribadito che non è stata ancora dimostrata sperimentalmente la causalità diretta di alcun gene o pool di geni, e che nessun marcatore biologico (fenotipo) è stato individuato con certezza.
Il corpo di ricerche sui gemelli omozigoti e dizigoti e sui fratelli è fortemente viziato dalla non dimostrata presunzione che l’ambiente in cui i bambini sono cresciuti sia sempre uguale. E’ virtualmente impossibile che questo accada. In aggiunta i risultati di tali ricerche sono viziati dal fatto che  i geni dirigono la sintesi delle proteine, che a loro volta sono influenzate da fattori ambientali quali lo stress, i traumi, la carenza di  sensibilità parentale. La presenza negli alberi genealogici di questo genere di disturbo non rappresenta una prova  di per se scientificamente accettabile della valenza genetica dell’ADHD, in quanto non sono state   tenute sotto debito controllo le variabili “apprendimento per imitazione” e “apprendimento per condizionamento”, i cui potenti effetti nel plasmare i comportamenti, da quasi un secolo, sono stati sperimentalmente dimostrati dalla dottrina del Comportamentismo, oltre ogni legittimo dubbio.

In merito alla più recente ed accreditata ricerca della scuola della psichiatria organicista «F. Xavier Castellanos e altri, Developmental Trajectories of Brain Volume Abnormalities in Children and Adolescents With Attention – Deficit / Hyperactivity Disorder, Journal of the American Medical Association (Jama 2002;288:1740-1748)», rimarchiamo che Castellanos, in una intervista rilasciata a Frontline il 10 ottobre 2002, dopo la pubblicazione di questa ricerca, alla domanda dell’intervistatore: «Quanto siamo prossimi ad individuare un marcatore biologico per l’ADHD?”» risponde: «Non lo so, non penso che lo sapremo fintanto che non lo troveremo…ci piacerebbe trovare un marcatore biologico, ci piacerebbe trovare qualche riscontro oggettivo, qualcosa che ci dia la conferma di quanto abbiamo capito su come funziona l’ADHD. Il problema è che cerchiamo nel buio, e non sappiamo dove ci condurrà la ricerca. La mia personale opinione è che brancoleremo per i prossimi 3 o 5 anni…»

La tesi della malattia resta pertanto una mera ipotesi, e l’utilizzo di termini quali «malattia» e «malattia mentale» sono quindi a tutt’oggi illegittimi sul piano scientifico. L’ADHD è, nella migliore delle ipotesi, un semplice elenco di comportamenti disfunzionali, troppo poco per identificare una malattia. L’insufficiente definizione di questi comportamenti-sintomo dal punto di vista operazionale, rende persino impossibile configurare nettamente l’ADHD come una psicopatologia. Sulla base delle risultanze scientifiche attualmente disponibili, la diagnosi di ADHD rischia di essere sostenuta da motivazioni di carattere principalmente economico e non indirizzata al reale beneficio del bambino / paziente.

La diagnostica dell’ADHD

Coerentemente con quanto esposto in merito al concetto di malattia, la diagnostica utilizzata è vistosamente carente. Il manuale diagnostico dell’APA rimarca nel DSM-IV che: «…non vi sono test di laboratorio confermati come diagnostici» per «il Disturbo del Deficit d’Attenzione / Iperattività». Nel documento «2000 American Academy of Pediatrics Annual Meeting Attention Deficit Hyperactivity Disorder: Current Diagnosis and Treatment, Mark L. Wolraich, MD», viene ribadito: «Comunque la diagnosi dell’ADHD resta legata a criteri diagnostici limitati. La diagnosi dipende dall’osservazione del comportamento dei bambini da parte di diverse fonti, in particolare genitori ed insegnanti, spesso discordanti tra loro, senza un metodo chiaro per risolvere queste discrepanze. Una delle fonti di discrepanza è il fatto che i comportamenti sono influenzati dall’ambiente. La classe scolastica quindi potrebbe dare adito a comportamenti diversi da quanto osservato a casa, inoltre i rapporti delle osservazioni sono spesso soggettivi a causa dell’assenza di specifiche competenze per l’osservazione dei comportamenti stessi, gli osservatori dovrebbero usare il loro proprio metodo personale di giudizio. Inoltre i criteri sono gli stessi indipendentemente da età e stato di sviluppo, mentre in realtà il comportamento dei bambini varia anche in base al loro stato di crescita».

Se si analizzano con attenzione i commenti ai test sperimentali che gli specialisti utilizzano per determinare le soglie di attenzione ed iperattività, emergono dati che ci inducono a riconsiderare  le nostre convinzioni. Emerge che i bambini sono in grado di prestare attenzione ai compiti loro graditi, mentre non lo sono per quelli rilevanti per l’apprendimento, se nella loro percezione sono “meno graditi”. Si parla pertanto di “carenza di attenzione in un contesto di scarsa motivazione” o di «ansia da apprendimento», nonché di «comportamenti iperattivi»  in un contesto famigliare in cui emergono gravi psicopatologie. Pare almeno discutibile che tutto questo possa tout-court essere trasformato in una malattia di carattere biologico, mentre appare evidente come siano implicate dinamiche personali e sociali di varia natura che sono state a tutt’oggi in larga parte trascurate dall’indagine scientifica. A fronte di disturbi dell’attenzione e di iperattività, sarebbe necessario effettuare un serio screening medico standardizzato ed un’approfondita analisi delle relazioni sociali dei piccoli pazienti, del loro reale grado di apprendimento scolastico e dei molti altri fattori che possono essere alla causa dei comportamenti anormali del bambino. Si deve pertanto concludere che la diagnostica non ha ancora una legittimazione scientifica tale da permettere una diagnosi certa al di là di ogni ragionevole dubbio.

La terapia farmacologica e i suoi effetti

La cura è un procedimento terapeutico che, rimuovendo le cause che hanno generato la patologia, porta alla guarigione. Il sollievo e la remissione dei sintomi, per quanto siano eventi importanti, non qualificano un intervento terapeutico come cura. Sia la cura che il trattamento sintomatico devono comunque garantire il rispetto della dignità umana e l’integrità psicofisica, condizione che la maggior parte degli psicofarmaci attualmente in commercio non sono in grado di rispettare. Non ci sono dubbi che tali prodotti farmaceutici hanno effetti collaterali anche gravi, inclusa la morte del paziente. I loro effetti si manifestano con la soppressione dei sintomi in presenza di assunzione regolare del farmaco, in quanto l’interruzione del trattamento farmacologico fa riemergere la situazione antecedente al periodo di regolare assunzione. Questo è il motivo per cui si rende necessaria la somministrazione a lungo termine, anche quando essa è sconsigliata dagli stessi specialisti ed a volte dalle stesse industrie produttrici.

In un documento datato Dicembre 1999 «Long-Term Effects of Stimulant Medications on the Brain» il NIMH (National Institute of Mental Health) dichiara: «Gli stimolanti sopprimono i sintomi dell’ADHD ma non curano i disordini, e come risultato i bambini etichettati ADHD sono spesso trattati con stimolanti per molti anni…». La terapia con questi prodotti farmaceutici di per sé non migliora il rendimento scolastico dei bambini, in quanto i procedimenti legati all’apprendimento sono qualcosa di molto più complesso del semplice “prestare attenzione”.

Afferma il Professore Cesare Cornoldi, ordinario di psicologia all’Università di Padova, in merito alla prescrizione di metilfenidato: «E’ bene allora ricordare che si possono registrare effetti positivi nel controllo dell’impulsività, dell’iperattività e dell’attenzione, per la durata della somministrazione del farmaco; i disturbi invece dell’apprendimento, della condotta e la difficoltà di interazione sociale richiedono interventi di natura diversa. Generalmente comunque la terapia farmacologica è cronica, perché se viene sospesa la somministrazione del farmaco – in assenza di interventi di tipo psicologico e pedagogico-didattico – il bambino in breve tempo tende a ripresentare la stessa sintomatologia» (Cesare Cornoldi, Iperattività e autoregolazione cognitiva, Erickson, 2001, pag. 188).

Nel 1993 il Dipartimento dell’Educazione degli USA incaricò James M. Swanson, direttore del centro studi sull’ADHD all’Università della California, Irvine (UCI), noto sostenitore della tesi biologica dell’ADHD e favorevole all’uso degli psicofarmaci sui minori, di condurre una ricerca che facesse il punto della situazione in merito all’efficacia del metilfenidato. Furono consultate 300 riviste (9000 articoli), spaziando su 55 anni di letteratura.

Questi i risultati, oltremodo deludenti:

  1. i benefici a lungo termine non sono stati verificati sperimentalmente;
  2. i benefici sul breve termine degli stimolanti non devono essere considerati una soluzione permanente sui sintomi cronici dell’ADHD;
  3. gli stimolanti possono migliorare l’apprendimento in alcuni casi ma danneggiarlo in altri;
  4. nella prassi le dosi prescritte possono essere troppo alte per l’effetto ottimale; sull’apprendimento, e la durata dell’effetto troppo breve per agire sul risultato scolastico;
  5. non ci sono grandi effetti sulle abilità e processi mentali superiori, genitori e insegnanti non devono aspettarsi significativi miglioramenti nello studio o in abilità atletiche, abilità sociali, apprendimento di nuovi concetti;
  6. nessun miglioramento negli aggiustamenti a lungo termine, insegnanti e genitori non devono aspettarsi miglioramenti sotto questo profilo.

Si può pertanto concludere che gli psicofarmaci non migliorano l’apprendimento scolastico, che non curano la presunta patologia ADHD, piuttosto agiscono sui sintomi permettendo una migliore accettazione sociale dei bambini da parte degli adulti. Poca attenzione è stata dedicata a studiare le ripercussioni psicopatologiche che i trattamenti farmacologici hanno sui bambini, ed anche nuove molecole commercializzate come “novità”, apparentemente prive degli effetti collaterali lamentati per gli stimolanti, sono in realtà banali “rivisitazioni” di psicofarmaci tristemente conosciuti in passato per i potenziali effetti collaterali dannosi nel medio-lungo periodo. I casi meritevoli di attenzione sotto il profilo clinico – sono una esigua minoranza -, dovrebbero essere prioritariamente trattati con strumenti di carattere pedagogico (pedagogia tradizionale e clinica), strumenti per i quali è in corso anche in Italia una vera e propria codificazione sotto forma di protocolli standard di intervento specificatamente mirati.

Reinterpretare i dati

Negli ultimi anni sono comparse sempre più numerose ricerche che individuano correlazioni di varia natura con l’ADHD. Si tratta di patologie fisiche, reazioni a terapie mediche, condizioni ambientali di vario tipo e di gravidanza sfavorevoli, psicopatologie, in grado di mimare la sintomatologia dell’ADHD raggiungendo i medesimi criteri diagnostici.

La nosografia ADHD ha di fatto l’effetto di depistare i medici che omettono di indagare queste cause, con un danno potenzialmente rilevante per la salute  del minore. Non possiamo dimenticare che studiare e stare fermi ed attenti a scuola sono condizioni che richiedono a tutti i bambini un sacrificio che viene diversamente assolto in armonia con la curva di Gauss, e che le variabili che possono spiegare tali variazioni sono talmente numerose che per ora non siamo in grado di valutarle ed esprimere giudizi clinici. Tutte queste correlazioni che sono emerse possono essere reinterpretate come cause? Possiamo ipotizzare che la sintomatologia ADHD sia in realtà una costellazione aspecifica di sintomi, indicatori di un disagio della persone, che rimandano alle più svariate cause? Possiamo abolire la nosografia ADHD con il suo fardello ideologico così come anni fa si fece con l’omosessualità (originariamente, come a tutti noto, classificata come malattia mentale al pari dell’ ADHD)?

Questa è la vera sfida che abbiamo di fronte, una ipotesi che merita tutta l’attenzione scientifica di cui siamo capaci, un diverso modo di fare sperimentazione, ed un approccio eticamente diverso all’utilizzo degli psicofarmaci su bambini ed adolescenti, che dovrebbe essere ispirato alla massima cautela e come ultima risorsa in casi estremi, al fine di prevenire e contenere i possibili rischi di abuso su larga scala, in più occasioni documentati sia in letteratura scientifica che da autorevoli fonti di informazione.

Prof. Claudio Ajmone (coordinatore del Consensus)

Dott. Giorgio Antonucci, MD
Prof. Silvia Barbieri
Prof. Fred Baughman Jr, MD
Dott. Marco Bertali, MD
Dott. Federico Bianchi di Castelbianco
Prof. William B. Carey, MD
Prof. Marco Catalano, MD
Prof. David Cohen, MD
Prof. Emilia Costa, MD
Prof. Piero Crispiani
Prof. Rosa Angela Fabio
Prof. Beatriz Janin
Prof. Bob Johnson, MD
Prof. Mariano Loiacono, MD
Prof. Paolo Migone, MD
Dott. Enrico Nonnis, MD
Dott. Paolo Roberti di Sarsina, MD
Prof. Marta Tessari
Prof. Graziella Fava Vizziello, MD
Prof. Alain Goussot

L’elenco integrale dei sottoscrittori del Consensus è disponibile sul sito web di “Giù le mani dai bambini” all’indirizzo internet http://www.giulemanidaibambini.org/consensus

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(*) Avvertenza – La pubblicazione del presente Consensus non costituisce adesione di BrainFactor ai contenuti e alle posizioni in esso espresse dai suoi firmatari, che restano gli unici responsabili di quanto affermato e sottoscritto; allo stesso modo non costituisce adesione della testata alla campagna Giù le mani dai bambini. La finalità della pubblicazione è quella dell’informazione di servizio, che caratterizza la testata. Nel pieno rispetto del Codice di Condotta HONcode che certifica BrainFactor “per l’affidabilità dell’informazione medica”, i nomi commerciali dei farmaci citati nel documento originale sono stati omessi.

 

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