Cervello e coscienza, che cosa sappiamo realmente?

Cervello e coscienza, che cosa sappiamo realmente?Le neuroscienze stanno attraversando una fase esageratamente ottimistica. C’è addirittura chi afferma che siamo prossimi a trovare le “fondamenta neurali della coscienza”. Facciamo un passo indietro, proviamo a ragionare su uno dei punti fermi della ricerca sul cervello…

Consideriamo la cosiddetta “area di Broca”. Sappiamo che si tratta della sede del “linguaggio in uscita” e su questo la comunità scientifica più non discute. Probabilmente non è quella la regione del cervello in cui decidiamo cosa dire, ma è certo che una lesione dell’area di Broca implica afasia espressiva.

Allo stesso modo, una lesione di buona parte del cervello implica la stato vegetativo. Quello che noi seguitiamo a non sapere è come l’area di Broca produca il linguaggio e, similmente, come il cervello “produca” la coscienza. Ammettendo che l’area di Broca sia il semplice “esecutore finale” della funzione del linguaggio, nessuno sa comunque cosa dire riguardo al suo “meccanismo interno”.

Facciamo un esperimento mentale: immaginiamo di guidare una automobile semplificata (con solo acceleratore, freno, volante) nell’antica Roma. Immaginiamo che i sapienti vengano raccolti intorno alla macchina con il compito di scoprire “come fa” a muoversi da sola. Possiamo stare certi che, trascorso un pò di tempo, i sapienti noterebbero che l’oggetto si muove solo quando una sua parte emette un certo suono, in linea di massima proporzionale alla velocità con cui si sposta.

Noterebbero anche che esiste un rapporto fra quella parte e il calore: il calore però non sembra la causa del moto, perchè compare trascorso un certo tempo dal movimento e addirittura può comparire anche quando il mezzo è fermo. Insomma, dopo un po’ i sapienti direbbero: no motore no moto; e non potrebbero andare oltre.

Alla radice di questa impossibilità a capire il “come”, sta un piccolo gap tecnologico di circa 2000 anni. Un nonnulla rispetto alla “voragine” che separa le nostre menti e la natura (o la macchina del tempo che abbiamo usato in modo immaginario per trasportare nel passato la macchina se-movente).

Se è vero che non conosciamo il meccanismo interno di aree specifiche (linguaggio, vista, ecc.), come possiamo pretendere di comprendere quello di tutto il cervello nel suo insieme? Possiamo pretenderlo, certo, ma è indispensabile misurare la portata reale della sfida.

A mio avviso la parola “coscienza” rappresenta una sorta di tappeto sotto il quale stanno andando a finire, nascosti epistemologicamente, tutti gli insoluti: dalla soggettività al libero arbitrio, passando per la sintesi, la personalità e così via…

La scelta di un approccio “di sponda” deriva proprio dalla consapevolezza del fatto che, al momento, non sappiamo nulla della coscienza, tranne che probabilmente origina da ampie, transitorie e dinamiche formazioni di aggregati estemporanei di attività neurale il cui presupposto (l’acqua in cui nuotano) deve essere necessariamente la capacità di formare reti estemporanee.

Queste formazioni, vere e proprie congregazioni funzionali migranti, si rifanno al concetto di sistemi emergenti; insiemi composti da parti che prima erano indipendenti fra loro e poi hanno preso “corpo funzionale”.  Eppure, per quanto le teorie fondate sui sistemi emergenti o la fisica dei quanti siano affascinanti, ancora non aggiungono al nostro sapere un meccanismo fisiologico sul quale possiamo effettivamente agire.

Ecco la ragione per cui, per i disordini della coscienza quali gli stati vegetativi, lo stato di minima coscienza ecc., è forse meglio cercare un “indicatore indiretto di isolamento funzionale”.

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Marco Sarà è medico responsabile dell’Unità Operativa Post Coma e Riabilitazione del San Raffaele di Cassino. Nel suo ultimo studio, uscito su Neurorehabilitation & Neural Repair, ha presentato un nuovo metodo per la prognosi dei pazienti in stato vegetativo basato sull’analisi non lineare del tracciato elettroencefalografico (vedi articolo di BrainFactor del 28/10/2010).

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