Le fonti alle quali possiamo attingere suggerimenti e indicazioni per migliorare noi stessi e il nostro stato di benessere sono infinite e spesso antiche. Alcune volte non immagineremmo mai di trovare spunti di riflessione e soprattutto modalità inedite di rapportarsi con il mondo moderno in scritti risalenti ad epoche remote, ma ancora oggi utilizzati in realtà particolari. E’ il caso della Regola benedettina…
La Regola benedettina è una mia grande passione nella quale ritrovo una saggezza antica ancora attuale per noi che dobbiamo affrontare sfide sempre nuove. Nata 1500 anni fa circa per volontà di San Benedetto, aveva lo scopo di governare i monasteri in termini di relazione, da una parte, e di azione dall’altra. Per questa ragione fu attribuito ai monaci che la praticavano il famoso motto “Ora et Labora”.
L’interessante di questo piccolo condensato di “problem solving” è che riporta, in uno spirito profondamente pratico, tutto quello che concerne lo scorrere della vita partendo dal presupposto di voler rendere gli uomini liberi e felici. I termini fondamentali ispiratori di questa analisi possono essere riassunti in quattro punti: ascolto, osservazione, comunicazione e relazione.
Iniziamo ad affrontare l’ascolto. L’ascolto è un valore che spesso prendiamo a riferimento non solo per essere compresi, “Mi ascolti quando ti parlo?”, ma anche per farci comprendere “Aprite le orecchie e fate attenzione..!”. La Regola Benedettina parte dall’ascolto, tanto è vero che si apre proprio con quell’ “Ascolta”, “Obsculta” in latino che ci fa ricordare l’azione che il medico compie quando verifica lo stato di salute di cuore e polmoni.
Quello che Benedetto ci propone è quindi un ascolto profondo, attento, basato non tanto sull’uso del canale auditivo per la normale raccolta di dati, ma quello emozionale e delle sensazioni, quindi quello del cuore, per fare dell’ascolto un momento unico.
In tutta la Regola, capitolo dopo capitolo, la capacità di ascoltare per essere ascoltati è un presupposto fondamentale. Infatti è impossibile saper ascoltare gli altri se prima non impariamo ad ascoltare noi stessi nella nostra profondità e corporeità.
Nella Regola mente, spirito e corpo sono un’unicità, una sorta di continuità logica nella quale pensiero e azione sono conseguenze l’uno dell’altro. Questo implica che nel “sapersi ascoltare” va posta un’attenzione ancora maggiore. E’ impossibile per il monaco ascoltare Dio se prima non ha imparato ad ascoltare i fratelli, quindi gli altri uomini, ma soprattutto se prima non ha imparato ad ascoltare se stesso. Questo ci fa anche capire come la tradizione orientale dalla quale attinge Benedetto sia presente nella sua Regola: non serve cercare all’esterno quello che si possiede già all’interno.
Per un buon ascolto bisogna poi saper eliminare un elemento: il rumore. Nella comunicazione è proprio il rumore che può rendere incomprensibile o poco chiaro un messaggio tra emittente e ricevente. Benedetto utilizza un sistema semplice, ma altrettanto complesso da raggiungere: l’uso del silenzio. Per saper ascoltare bene (sia se stessi che gli altri, come ho già detto la distinzione non esiste) è indispensabile saper fare silenzio.
Questa è una dimensione pressoché inesistente nella nostra società e nei nostri ambienti. Ne è la riprova il fatto che quando sperimentiamo una condizione simile al silenzio profondo il nostro corpo reagisce con fischi alle orecchie o uno stato di disagio. Se osserviamo un qualunque talk show è evidente quanto sia usuale l’impedire all’altro di esprimere le proprie opinioni e, uno dei modi più pratici per “uccidere” il dialogo è di zittire l’altro urlando. In questo modo la capacità di ascolto è ridotta a zero e solo chi sarà capace di sopraffare l’altro avrà raggiunto lo scopo.
Immaginiamo la stessa situazione con un dialogo interiore o una semplice riflessione che stiamo cercando di realizzare in noi stessi. Possiamo subito sperimentare come le congetture e i pregiudizi ci impediscono di arrivare sereni a una conclusione, fomentando il rancore o facendoci precipitare nella depressione. In questi casi la Regola ci direbbe che non siamo buoni ascoltatori perché non permettiamo alla nostra profondità di dialogare con noi stessi alla ricerca di una normale soluzione.
Per questo, l’esercizio dell’ascolto per il benedettino va di pari passo a quello del silenzio. I monasteri sono silenziosi per questa ragione: per impedire al rumore di rovinare l’ascolto. In questo contesto la parola diventa così importante che quando viene esteriorizzata è sempre accompagnata da gesti che la sottolineano: per esempio il monaco al termine di ogni preghiera si inchina per dare valore e consistenza a quanto ha appena letto o cantato.
Un buon ascolto aguzza nelle persone la capacità di cogliere i segni distintivi anche del dialogo più pacato inclusa la comunicazione corporea e stimola a “leggere tra le righe” orientando alla calma e alla soluzione.
Come fare per diventare buoni ascoltatori usando la Regola benedettina? Prima di tutto bisogna saper fare silenzio “dentro” allontanandolo e mettendo a tacere preconcetti e soprattutto giudizi; questo richiede una pratica costante simile a quella richiesta nella yoga o nelle arti marziali. Creare una condizione di silenzio nella Regola è porsi con calma e fiducia delle domande alle quali spesso non c’è risposta immediata, ma proprio su queste domande occorre focalizzarsi perché sono parte attiva di un “tutto” più grande che ci contiene.
Per questo i monaci dicono che ascoltare è “domandare”, chiedere anche con insistenza senza aspettare risposta in quanto, sempre nella visione monastica, questa arriverà più tardi con naturalezza. L’obiettivo di un ascolto efficace viene descritto nella Regola non come un fine, ma come un mezzo per raggiungere “sfere più alte di virtu’ e dottrina” (RSB cap. LXXII). Il fine è quindi la pace, poiché quando la si ottiene allora si ha realmente tutto per se stessi e gli altri.
Il percorso da seguire per arrivare a questo scopo è arduo, ma praticabile con un po’ di esercizio che nel Prologo della Regola viene definito “una scuola”, senza per questo essere un insegnamento “austero e pesante”:
- Prima di tutto bisogna accettare le proprie debolezze senza sensi di colpa e autocastigazioni. In questo caso è necessario concentrarsi sul “poter fare meglio” ipotizzando dei parametri via via raggiungibili, ma che diventino stimolo positivo e non impositivo;
- imparare ad affrontare la vita con realismo: staccarsi da concetti quali “ieri” o “domani” e fermarsi sul concetto di “oggi”, anzi sul momento presente in cui compio l’azione. In tutta la Regola non emerge mai la voglia di salvare tutto il mondo, ma se stessi nel mondo in uno scambio di reciprocità continua con chi ci sta vicino creando armonia e volendo difenderla. Questo permette, allo stesso tempo, di vincere quello stato di solitudine che generalmente si innesta quando si effettuano percorsi interiori;
- sapersi concentrare su se stessi. Potrà sembrare egoistico, ma è importante percepirsi nella nostra totalità di persona, un’entità complessa e unica nel suo genere e non solo per singoli ambiti e aspetti scollegati fra di loro;
- ricercare la verità come un continuum. Per il monaco l’unica verità è la presenza dell’Assoluto all’interno di ogni uomo o essere vivente: per questo non può permettersi di evitare l’ascolto attivo e proattivo di qualsivoglia forma o forza gli si presenti davanti. I monaci spesso affermano “se riesco ad andare per la mia strada e sono in contatto con il divino dentro di me, tutto il mio agire non avrà mai nulla di imposto, ma avrà una sua logica interna e un suo valore estetico”.
Ascoltare, lo sappiamo, a volte è un’arte, a volte una professione, a volte una disciplina…. Per il monaco, attraverso la Regola benedettina è un valore che conduce alla conoscenza di sé e alla ricerca dei beni superiori senza escludere quelli quotidiani. La grande differenza è il sentirsi parte attiva di questa apparente contraddizione: ascoltare meglio e di più parlando il meno possibile e dando un valore altissimo a tutto quello che si dice proprio nel rispetto di chi lo deve ascoltare.
Credo sia un insegnamento profondo che valorizza la necessità di reimparare ad ascoltare con l’umiltà di voler sempre conoscere cose nuove lasciando i giudizi personali solo al termine del percorso. Dopo aver sperimentato in questa “scuola” l’esercizio del silenzio e dell’ascolto, nel successivo articolo ci inoltreremo nel nel secondo passo, quello dell’attenzione.
Bibliografia principale
- Georg Holzherr OSB, La Regola di San Benedetto, Casale Monferrato (Alessandria), Edizioni Piemme, 1992.
- Botturi Francesco Tommaso, La dignità dell’uomo nella Regola di San Benedetto, Orta (Novara), Abbazia Mater Ecclesiae, 2005.
- De Vogüé Adalbert OSB, La comunità: ordinamento e spiritualità, Praglia (Padova), Edizione Scritti Monastici, 1991
- Grün Anselm, Guidare le persone risvegliare la vita, Milano, Gribaudi Editore, 2003.
- Nouwen Henri J. M., Ho ascoltato il silenzio. Diario da un monastero trappista, Brescia, Editrice Queriniana, 2005.
- Tredget Dermot OSB, The spiritual dimension of leadership in “Consulting into the future, the key skills”, London, MCA Managing Consulting Association, 2002.
- Paolo G. Bianchi, Ora et Labora, la Regola Benedettina applicata alle strategie d’impresa e al lavoro manageriale, Xenia ed, 1996
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Articolo di di Paolo G. Bianchi – Primo di una serie di quattro, dedicati agli insegnamenti della Regola Benedettina nel contesto del counseling…Prossimamente, in esclusiva su BrainFactor (C) 2011
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