È uno sforzo di autolimitazione per un avvocato affidare un caso complesso, che ha avuto, naturalmente, una ricca storia processuale ed anche una sua soluzione giudiziaria, ad una narrazione scarna e sorvegliata come questa…
Perché è così importante sacrificare, in un certo senso le diverse identità professionali che hanno interagito nel caso di specie, nonché il diritto di “informazione” dei tecnici psichiatri, psicologi, operatori del diritto che pure loro sono utenti del sito? Questa è la domanda.
Ed ecco la risposta. Si verte in materia di diritto alla salute di una minore a fronte della quale pure la tutela genitoriale non può non porsi come “naturalmente limitata”. Qualora un contrasto di tal genere avesse visto contrapposti i genitori in constanza di matrimonio (come oggi avviene da separati) si potrebbe ben ipotizzare un intervento esterno ad inverare il diritto della minore.
Diverso è il discorso, sgombrato il campo da incertezze riguardanti una sicura tutela del diritto alla salute della piccola, di considerare la “seconda CTU” che, condividendo con la prima la necessità dell’apporto di competenze specifiche, trova ragione nella particolare materia della separazione dei genitori della minore, nella consapevolezza della inadeguatezza del diritto a risolvere tutti i problemi che nascono dalla rottura della unità familiare.
E ancora più chiare sono le novità del passaggio effettivamente verificatosi, dalla CTU “alla mediazione in consulenza – ovvero dal descrivere all’agire -; è ovvio che la struttura del setting peritale è cambiata
“…i consulenti hanno doverosamente fatto un passo indietro. Fare un passo indietro non significa disinteressarsi del problema: significa solo accettare le regole di un atto tecnico assai peculiare. Ma l’attenzione rimane sempre vigile. Ed è per questo che alcune valutazioni effettuate dalla CTU nei confronti delle parti non possono essere accettate”.
Il testo completo delle note del CTP della madre, che ha collaborato con interesse e competenza con la difesa per la minore rendendo possibile il cambiamento, sarà riportato integralmente alla fine di questo scritto.
Ma teniamo fede al titolo “CTU: “vintage”, presente, futuro” che non è casuale ma studiato per documentare come il presente anche qui, come sempre, è il passato ed anche un orizzonte d’attesa. Per gli interessati (periti, avvocati over 50-60) dunque, una disintegrazione ironica che cristallizza i ruoli: la risposta vintage.
ll perito d’Ufficio ha detto: “Avete visto il film Mon Oncle d’Amerique? No? Vi consiglio di vederlo”.
Sorrideva, gentile, un po’ sopra le righe. Più che dirlo (cioè consigliarlo veramente) in realtà, pareva lo avesse lasciato cadere. Ma lo aveva citato, Mon Oncle d’Amerique, nella sua perizia. Aveva precisato, anzi, che la sceneggiatura del film era stata scritta a quattro mani da Resnais con uno psichiatra, Laborit. Aveva scritto: “con un grande psichiatra”, Henri Laborit.
Si era poi quasi scusato, sempre nella perizia, della citazione, che potesse parere desiderio di sfoggio culturale. Riferiva i motivi per i quali il richiamo era invece opportuno. Insomma, dava per scontato che nessuno di noi sapesse nulla di Laborit e che comunque il riferimento, peraltro interessante e pertinente, fosse destinato più che altro al PM dal quale era stato nominato.
Quando gli psichiatri nelle loro funzioni di CTU usano quel tono con i “semplici avvocati comuni mortali”, c’è un piccolo innocente trucco per non farvi annichilire. Immaginarli “fuori ruolo sacrale”. Nel loro studio. Con le gambe accavallate, il calzino che lascia scoperto un po’ di polpaccio. Magari un rotolino di ciccia (per le donne in gambaletto). Loro, lì in versione umanizzata, sono alle prese con i clienti, i loro clienti/pazienti. I pazienti che spesso vanno e vengono. E le tasse universitarie dei figli o quel sospirato week end a Parigi, che vanno e vengono con loro. E talora, con i “pazienti”, si volatilizzano.
Ecco. Per quanto riguarda Henri Laborit ne sapevano qualcosa questi avvocati dai maliziosi pensieri ed i pareri su di lui sono divisi. Il film di Resnais lo conoscevano alcuni, è un film triste, difficile. Lo conosceva, per sua fortuna, l’avvocato voce narrante. E per quel caso minorile non semplice c’era già stato un lungo chinarsi sulle carte. Certo di quella perizia avrebbe tenuto il debito conto. E certo lo avrebbe rivisto, il film, con più attenzione. Ma intanto…ricordava una recensione. Nella rassegna MentalMente in data 9 aprile 2003 era prevista la visione del film “Mon Oncle D’Amerique”. Dalle (inevitabilmente) poche righe di presentazione si riesce comunque ad avere un’idea dell’approccio, tutt’altro che brillante, al pensiero di Laborit.
“A chi, negli anni ottanta abbia fatto un largo uso di questo film per dibattiti sulla importanza della comprensione del funzionamento del sistema nervoso, pare che un simile punto di vista (“o si domina o si è dominati”) sia del tutto deludente, insoddisfacente, anzi irritante”. (Mentalmente. Mercoledì 9 aprile 2003. Problemi relazionali Mon Oncle d’Amerique (Francia, 1980; regia: Alain Resnais)
Nella storia della minore violentata (il “caso” del quale si trattava) si intuisce che la vigilanza del gruppo dominante (famiglia, istituzioni) doveva esser stata certo assai distratta. E si intuisce che neppure la reazione sarà quella ferrea del branco. E come potrebbe? E restiamo ancora un poco nel vintage che è oggi un trend e va bene, forse, anche ora e qui. Oggi per un caso diverso che apre orizzonti di futuro.
Il romanzo il “Grano in erba” fu pubblicato da Colette a puntate sul giornale Le Matin. Quando il direttore si accorse che la quattordicenne Vinca ed il suo fedele amico d’infanzia e primo amore, il quindicenne Phil, procedevano speditamente, pur tra interferenze ed iniziazioni esterne, alla scoperta dell’amore ed anche del sesso l’una sul corpo dell’altro, ebbene, sospese immediatamente le pubblicazioni. Naturalmente il romanzo fu ugualmente pubblicato, in versione integrale, da un editore.Vinca è una delle più belle creature di Colette, “forte, amorosa, disincantata sul conto del suo stesso amato, pone qualcosa di grande fra sé ed il resto del mondo”.
Notate come le citazioni vintage ironicamente “deboli” pure stranamente ci riportano al caso di oggi che verrà preso in esame ed è pieno zeppo di vibrazioni. Che possono lavorarci dentro, aprire al futuro, in questo lavoro.
“…Vinca fra quei familiari fantasma che distingueva appena e quasi non udiva, viveva una vita strana, vi pativa una semisordità ed una semicecità” e questa semicieca fra figure vigili ed amorose (tutti gli adulti li vedono i due ragazzi in realtà) avanza impavida nella vita; perché sempre lei, la piccola del romanzo di Colette, le antenne drizzate sul suo Phil, vuole percepirne il bisogno ed il desiderio. Sarà l’istinto amoroso a guidarla. Nell’accoglierlo. Rifiuta per sé, per il suo corpo ‘ogni clemenza’ scrive Colette. La rifiuta ancora il mattino dopo. Lei canta annaffiando una pianta sul suo balcone, Phil si sente quasi offeso da questa serena naturalezza, lei canta, canta…pensa da sciocco Phil; così nasconde il viso nel cavo del braccio e contempla la propria piccolezza, la propria ‘benignità'” (Il grano in erba, cit.)
In chiusura, come promesso, le note conclusive del CTP che potrebbero bene prefigurare uno spazio processuale nuovo, un micro spazio transitorio, eppure reale, realistico, che ha consentito una conclusione positiva di un aspro quanto dannoso ed inutile conflitto.
«Nel momento in cui si è passati dalla normale CTU alla mediazione in consulenza – ovvero, dal descrivere all’agire – è ovvio che la struttura del setting peritale è cambiata. Nella fase della CTU espletata dal dr xxxxx, infatti, ci si era mantenuti in un ambito clinico ben definito, sia sul versante psichiatrico che su quello internistico, con la partecipazione dei consulenti di parte, l’esame dei riscontri clinici, il normale contraddittorio delle parti. Nella CTU effettuata dalla dott. xxxxxxxxxx, nel momento in cui la dott. xxxxxx ha avanzato la richiesta di elaborare una serie di norme a garanzia della piccola xxxxx, presupponenti l’impegno delle parti e la necessaria verifica – la mediazione, insomma – i consulenti hanno doverosamente fatto un passo indietro. Fare un passo indietro non significa disinteressarsi del problema: significa solo accettare le regole di un atto tecnico assai peculiare. Ma l’attenzione rimane sempre vigile. Ed è per questo che alcune valutazioni effettuate dalla CTU nei confronti di una delle parti, la dott.ssa xxxxxx, non possono essere accettate. Vi era una richiesta, da parte di un Magistrato, di perizia nei confronti del prof.xxxxxxx: ed è stata effettuata nel rispetto delle regole, almeno da parte dei tecnici a vario titolo coinvolti. Vi è stata un’altra richiesta, da parte di un altro Magistrato, di una perizia che valutasse le condizioni di affidabilità e sicurezza delle parti nei confronti della piccola figlia. In questa fase è originata la mediazione, con il consenso formale di tutti. Le eventuali valutazioni di ordine psicologico sulla madre, per la quale nessuna consulenza era stata richiesta, andavano – se necessarie – fatte prima, con le modalità di rito. Dopo non hanno né significato, né valore e pongono problemi ed interrogativi proprio in ordine alla definizione del campo di appartenenza. Per quanto riguarda, poi, le considerazioni sulla nuova situazione sentimentale della madre, e delle ipotizzate ricadute negative nei confronti di sua figlia, ci sembra che non vi sia nel giudizio una necessaria serenità. È condivisibile la scelta di non coinvolgere la bambina in colloqui ed interrogatori certamente sgradevoli, ma poi non si deve ipotizzare con eccessiva certezza cosa essa stessa pensi o senta. Lo si può fare, eventualmente, ma in modo indiretto, in base alla conoscenza delle persone (la madre, il padre, i! nuovo compagno, eventualmente altri parenti) ed ai fatti da essi narrati, non in base alle teorie psicologiche. Con quale sicurezza, oggi, si può affermare che un nuovo compagno, una nuova sorellina, costituiscono un trauma per la bambina? Per le teorie psicanalitiche ortodosse? Ma così facendo, della psicanalisi perderemmo gli aspetti più validi e vivi, recuperando solo uno sciatto determinismo psicologico, parallelo al determinismo biologico, di tipica matrice positivistica. La piccola vive, sia pure in un centro del Salento, nella società del secondo millennio, non è la rampolla di una famiglia borghese della Vienna fine ’800. Ciò che la traumatizza sono la strumentalizzazione, le imposizioni gratuite, la violenza – non solo subita, ma anche eventualmente osservata – non tutto ciò che, ci piaccia o no, ogni giorno la vita reale e quella virtuale le propongono in maniera diretta e naturale. Lei ha bisogno di vivere, in sicurezza e serenità, la vita dei suoi coetanei, non una specie di parco Robinson dello spirito, che le farebbe perdere ogni aggancio con la realtà. Se la mediazione è fondata sulla reciproca affidabilità – e nulla ci porta a credere il contrario – vi saranno in essa tutti i margini per controllare l’esattezza di ciò; se tali margini non vi dovessero essere, senza inutili pudori, xxxxx potrebbe divenire parte in causa».
Allora già adesso sappiamo, sentiamo quanto sia davvero importante il modo del nostro chinarsi sulle combinazioni individuali, sugli intrecci familiari, che sono nel racconto dei fatti, nei verbali, nelle relazioni, nelle motivazioni dei provvedimenti. Per questo diventa fondamentale la nostra capacità di “andare oltre” nella lettura dei casi e quindi nelle relazioni, nelle perizie, nelle difese. Intanto, da un punto di vista operativo, individuare momenti aggreganti che ci consentono di andare oltre le nostre specifiche competenze.
I modi, poi, di dar conto di queste modalità che si sono concretizzate in alcuni casi minorili seguiti. Il cambiamento è nella capacità (e nella volontà), di rappresentare principi e non nudi interessi o mere tecniche. Ed è qui che si riduce la distanza – che dalle suggestioni kafkiane di un processo per misteriosi “gradini che crescono sotto piedi che salgono”, alle semplici espressioni della delusione del cittadino dei media – ha segnato il rapporto fra i soggetti nel processo.
Avv. Giulia Tornesello
Image credits: Judge gavel (from Shutterstock)
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