Ti senti un fallito? OK. Ma perché, almeno ogni tanto, non nutri compassione… per te stesso? Un po’ di gentilezza non fa mai male, specialmente se “autoinflitta”. Banale? Forse, ma sembra essere il primo passo per uscire dall’angolo. Lo scrivono oggi i colleghi del Research Digest della British Psychological Society (BPS).
Dal canto loro, gli americani hanno da tempo reso disponibile un test per misurare di quanta “self-compassion” sei dotato. L’autore della scala di autovalutazione è Kristin Neff, Ph.D., docente di Psicologia dell’educazione all’Università del Texas di Austin, una vera esperta in materia, da oltre 20 anni. Di seguito il link al Self-Compassion Test (in inglese):
https://self-compassion.org/test-how-self-compassionate-you-are/
La Neff si era resa conto che gli studenti che non si tormentavano per gli esami andati male, anzi erano compassionevoli con se stessi così come lo sarebbero stati per degli amici in difficoltà, riuscivano a rialzare velocemente la testa, superare con successo le prove, migliorando allo stesso tempo la loro “salute mentale e fisica”.
Altri consigli? I britannici – studi alla mano – suggeriscono di “resistere al perfezionismo socialmente prescritto” (in pratica andare per la propria strada incuranti di quello che gli altri vorrebbero da noi), di non prendere l’evidenza di fallimento in modo troppo “personale” (cioè, smetterla di focalizzarsi solo su ciò che è andato male, colpevolizzandosi), infine di “abbracciare il fallimento produttivo”.
Che vuol dire “fallimento produttivo”? Ce lo spiega Sunita G. Chowrira dell’Università della British Columbia: “le persone che preferiscono buttarsi in un nuovo compito senza leggere accuratamente prima le istruzioni, falliscono di più, certo, ma imparano molto di più rispetto agli altri, ottenendo successi superiori la volta successiva.”
E allora, falliti di tutto il mondo, unitevi!
Fonte:
Photo by Product School on Unsplash
Be the first to comment on "Falliti di tutto il mondo, unitevi!"