Il tempo è troppo lento per gli iperattivi

Il tempo è troppo lento per gli iperattivi.“Chi ha un disturbo da deficit di attenzione – iperattività può sembrare chiassoso e indisciplinato: in verità, sta soltanto cercando di fare fronte a una fallace percezione del tempo”. Lo sostiene Katya Rubia del King’s College di Londra in uno studio pubblicato sull’ultimo speciale di Philosophical Transactions of the Royal Society (Rubia K et al., Impulsiveness as a timing disturbance: neurocognitive abnormalities in attention-deficit hyperactivity disorder during temporal processes…, Phil. Trans. R. Soc. B, July 12, 2009).

“Ciò che noi percepiamo come un breve lasso di tempo, infatti, risulta insopportabilmente lungo per le persone con ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder)”, ha dichiarato al New Scientist la Rubia, coordinatore e autore principale dello studio.

“Gli studi sull’ADHD – spiega la Rubia – si sono sempre concentrati sui ridotti span attenzionali e sul comportamento impulsivo caratteristici di questo disturbo, ma alla base dell’ADHD vi è un problema di insufficienza di dopamina, neurotrasmettitore conosciuto per avere un ruolo chiave anche nella percezione del tempo”.

Con l’utilizzo della risonanza magnetica funzionale (fMRI), i ricercatori britannici avrebbero dimostrato che i soggetti allo studio presentavano, rispetto ai controlli, una minore attivazione nei lobi frontali, nei nuclei della base e nel cervelletto, tutte aree del cervello che mediano la percezione del tempo. Gli stessi soggetti hanno mostrato una peggiore capacità nella stima della lunghezza di cerchi proiettati per un tempo limitato su un monitor. Secondo la Rubia questi dati dimostrerebbero che alla base della manifestazione sintomatologica del disturbo in questione vi sia una anomala percezione del tempo, che fa sembrare smodatamente lunghi e noiosi anche brevi periodi.

Di conseguenza – prosegue la Rubia – dato che i comportamenti rischiosi e la ricerca continua di novità aumenterebbero i livelli di dopamina nel cervello, le persone con questo disturbo svilupperebbero l’iperattività quale meccanismo di “automedicazione”.

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