La storia di Stefano, papà di Giulia

La storia di Stefano, papà di Giulia

Di anoressia e bulimia si muore ancora troppo. Questa è la storia di Stefano, papà genovese che dal suo dolore ha scelto di trarne una grande forza. E’ un padre che ha lottato per avere il 15 marzo come giornata nazionale in memoria delle vittime dei Disturbi del Comportamento Alimentare (D.C.A.) e delle loro famiglie.
Come simbolo, un fiocchetto lilla.

Stefano non vuole soldi, solo una giornata per ricordare.

Ora è presidente dell'associazione “Mi Nutro di Vita” e vicepresidente della Consulta Nazionale che, in Italia, riunisce più di venti associazioni con lo stesso obiettivo: “Vogliamo informare, sensibilizzare attraverso convegni e tavole rotonde con professionisti del settore. Vogliamo creare una cultura di rispetto per chi soffre, rivendicare l’accessibilità alle cure: l'Italia non è all’avanguardia nel trattamento dei D.C. A.”

Tra le vittime dei D.C.A. c'è anche Giulia, sua figlia…

Giulia è morta quel maledetto 15 marzo, nel 2011. Il suo cuore si è fermato mentre dormiva. Il potassio non era più abbastanza.

Giulia viveva un conflitto con il cibo e con il suo corpo.

Due dita in gola e via, tutto quel senso di inadeguatezza spariva illusoriamente una volta tirato lo scarico. Soffriva di bulimia, disturbo che oggi colpisce l'1,5% delle ragazze italiane dai diciotto anni in su.

Giulia si ammala a dodici anni e mezzo. Mangia e vomita di continuo.

Il suo corpo inizia a risentire della malattia: i battiti del cuore e i valori del sangue risultano sballati. E’ ancora minorenne, per cui può contare sulle cure dell'Ospedale Pediatrico Gaslini di Genova. Nessun supporto psicoterapeutico, solo medico.

Giulia è “oppositiva alle cure”, in “luna di miele” con la malattia che la sta pian piano uccidendo.

Compie quattordici anni e viene seguita dall’unico Centro Diurno ligure per D.C.A., a Quarto. Una pesata e un colloquio a settimana con il dietologo e la psicologa. Passano alcuni mesi, scade il contratto di lavoro della psicologa. Non più rinnovato.

E adesso?

A Santa Corona di Pietra Ligure c'è un centro specializzato per i D.C.A. Giulia, però, non viene considerata a rischio: il suo peso non è ancora allarmante. Lei e la sua famiglia si sentono abbandonati. Giulia intraprende un percorso terapeutico privato.

Gennaio 2011. Per la prima volta Giulia decide di curarsi. Scelgono una clinica a Vicenza.

8 Marzo. Primo colloquio in clinica per accertarsi che sia un ricovero volontario. Finisce in lista d'attesa. L'aritmia cardiaca  peggiora, ma i posti letto non ci sono.

La notte del 15 marzo Giulia muore durante il sonno.

Il suo fisico non ha più retto.

“La società giudica, perché non c’è una corretta informazione sui D.C.A.” afferma Stefano. “La Chiesa ha investito in strutture e comunità solo per tossicodipendenti, lo stesso impegno non c’è mai stato per i malati di D.C.A.”

Stefano e tutta la Consulta Nazionale vogliono rivendicare uno spazio, a Milano, nell'EXPO 2015: “E' dedicato all'alimentazione, è giusto che si parli anche dei disturbi alimentari”.

Alcuni dati. Nel 2013, nel Centro Diurno a Quarto, c'erano ottocento cartelle di pazienti  aperte per soli dodici psicologi. Nell'Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma, nel 2013 ci sono state trecento richieste di aiuto dalle famiglie.

“I D.C.A. sono malattie complesse. Come si può pensare che un trattamento possa risultare efficace se una psicologa ti segue per sei mesi e poi potresti non rivederla più?”, dice oggi Stefano. “La fiducia tra paziente e terapeuta è fondamentale, così è impossibile che si crei. Tutto è peggiorato da quando la Sanità è gestita a livello regionale: ci sono cliniche con liste d'attesa lunghissime, altre che invece chiudono”.

Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, in Italia abbiamo otto nuovi casi di anoressia ogni 100 mila donne e dodici nuovi casi di bulimia ogni 100 mila donne ogni anno.

I dati diventano sempre più allarmanti.

E ad esser colpiti sono sempre più bambini e bambine.

Valentina Costanzo

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