MILANO – Uno studio dell’Università degli Studi di Milano e dell’Università del Wisconsin aprirebbe la via alla “possibilità di sviluppo di un marker oggettivo del livello di coscienza in pazienti portatori di gravi lesioni cerebrali”. Lo studio è in pubblicazione su Proceedings of the National Academy of Sciences (Ferrarelli F et al., Breakdown in cortical effective connectivity during midazolam – induced loss of consciousness, PNAS, 2010, in press).
“Sappiamo bene che la coscienza non dipende dalla capacità di un soggetto di muoversi o di comunicare e sappiamo che l’esperienza cosciente è interamente generata all’interno del cervello; tuttavia, non abbiamo modo di estrarre, direttamente dal cervello, un indice oggettivo, cioè un correlato neurale, della presenza di coscienza”, spiega Marcello Massimini del Dipartimento di Scienze Cliniche Luigi Sacco dell’Università degli Studi di Milano.
“Una conseguenza paradigmatica di questa discrepanza – prosegue Massimini – è rappresentata dai rari casi di consapevolezza durante anestesia. In questa situazione un paziente, farmacologicamente paralizzato, recupera coscienza durante l’intervento chirurgico ma non è in grado di segnalare la propria esperienza al personale medico in sala operatoria. Più frequentemente, il problema della diagnosi clinica del livello di coscienza si pone nel caso di pazienti che, a causa di gravi lesioni cerebrali, non sono in grado di muoversi e comunicare”.
Negli ultimi anni è cresciuto fortemente l’interesse scientifico per i correlati neurali della coscienza. Evidenze convergenti, provenienti da misure sperimentali e da considerazioni teoriche, suggeriscono che la coscienza dipenderebbe dalla capacità delle diverse aree che compongono la corteccia cerebrale di comunicare efficacemente tra di loro. In mancanza di una comunicazione con il paziente, si dovrebbe valutare la capacità del cervello di sostenere una comunicazione interna.
“Il recente sviluppo di una nuova tecnica, basata sulla combinazione di stimolazione magnetica transcranica (TMS) ed elettroencefalografia ad alta densità (hd-EEG), rende finalmente possibile la misura diretta della comunicazione cortico-corticale. Questa metodica permette di stimolare direttamente un’area corticale e di registrare gli effetti immediati di questa perturbazione nel resto del cervello. In nostro gruppo di ricerca, insieme a quello di Giulio Tononi dell’Università del Wisconsin, sta sviluppando questa metodica allo scopo di ottenere un marker oggettivo del livello di coscienza”, dice Massimini.
Già in una serie di recenti ricerche condotte in fase di sonno e di veglia sarebbero state dimostrate correlazioni tra la capacità interna di comunicare del cervello ed il livello di coscienza del soggetto (vedi Massimini et al., Science 2005; Massimini et al., PNAS 2007). Il nuovo studio estenderebbe questi risultati all’anestesia: dopo aver indotto farmacologicamente uno stato di perdita di coscienza in alcuni soggetti tramite somministrazione di un apposito farmaco, i ricercatori sono riusciti a misurare una “drammatica riduzione della trasmissione dell’informazione all’interno della corteccia cerebrale”.
“Questi studi aprono un canale diretto tra misure teoriche ed empiriche della coscienza – affermano i ricercatori – In particolare, lo sviluppo di un marker oggettivo del livello di coscienza rappresenterebbe uno strumento fondamentale per aumentare la sensibilità diagnostica al letto di pazienti portatori di gravi lesioni cerebrali, quali i pazienti locked-in e i pazienti in stato di coscienza minimale”.
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