Lettera aperta al nuovo presidente dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia

Di seguito pubblichiamo la lettera aperta di Marco Mozzoni (nella foto), candidato indipendente con un programma in 12 Tesi per la riforma della professione, al nuovo Presidente dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia. Presso la sede Opl di corso Buenos Aires a Milano sono ancora in corso le votazioni, che si chiuderanno in serata. A seguire, lo spoglio delle schede per conoscere i nuovi consiglieri. (Redazione)

Caro Presidente,

in realtà non so ancora chi tu sia e sotto quale bandiera stai delle due, ma quello che so per certo è che sarai chiamato a un compito immenso e faticoso, come è immensa la distanza fra la forma e la sostanza e faticoso è il cammino per ridurla: quello di recuperare negli anni che ti aspettano il quorum della realtà dei fatti.

Perché la realtà dei fatti è che ancora oggi circa 13.000 colleghi hanno disertato le urne, decidendo liberamente e per la seconda volta in poco tempo che così non hanno proprio intenzione di andare avanti. Questo è il punto.

Le proposte delle liste in campo non li hanno convinti ancora e per niente. Come dare loro torto? Che cosa è stato loro presentato di “nuovo”? Si sono trovati davanti le solite liste coi soliti nomi coi soliti programmi della volta precedente e forse della volta prima ancora, al netto di qualche candidato indipendente che ha cantato fuori dal coro su ben altre partiture, cercando di far sentire la propria voce al meglio ma con mezzi di fortuna, impegnando quotidianamente energie anche per difendersi da attacchi frontali sfociati spesso nell’offesa personale. Che tristezza.

Io stesso in verità mi sono chiesto che cosa c’era di diverso quest’ultima volta rispetto alla precedente che fosse in grado di richiamare all’impegno tutti quanti i colleghi, ai quali tutti ero intenzionato a rivolgermi e non soltanto a un manipolo di amici; ma anche questa volta l’Ordine – appellandosi a questioni di privacy ecc. – ha negato ai candidati la possibilità di contattare direttamente la popolazione degli elettori, che non hanno così avuto modo di conoscere per tempo tutti i nomi in campo e tutti i programmi nella loro completezza, a massimo discapito degli indipendenti.

Perché questo? Per paura che gli iscritti si rendessero conto che c’erano sì a disposizione programmi nuovi e persone ben diverse dai soliti volti conosciuti, che potevano far temere seriamente la sconfitta elettorale?

Allora non è irragionevole pensare che questo costo aggiuntivo e pesante per ripetere (inutilmente, da un punto di vista sostanziale) le elezioni dopo il mancato quorum non lo si possa attribuire ad altri se non a chi senza batter ciglio ha gettato la colpa sugli iscritti, non ammettendo la portata di tale sconfitta generale, nessuno escluso.

Di nuovo, caro Presidente, anche a questa tornata elettorale, s’è visto ben poco, anzi, nulla. Qualche mese in più è certo servito per “salvare la forma”, ma non la sostanza, che resta la medesima, anche se ora “abbiamo il quorum”.

Ma di che quorum stiamo parlando?

Quello che si vede sporgendosi un attimo è l’abisso, l’abisso profondo, che sembra separare i rappresentanti dell’Ordine dai suoi iscritti. Io non penso che tutti quanti i colleghi soffrano di pigrizia congenita o di una incapacità a comprendere l’importanza di esprimere il voto in questo difficile momento, come invece qualcuno ha sostenuto in più di una occasione.

Il fatto che alcuni abbiano sistematicamente negato il problema, cercando in tutti i modi di spostare l’attenzione degli elettori sui “43” che sarebbero serviti a poter procedere con lo spoglio delle schede invece che sul grande assente costituito dal plebiscito dei colleghi (14.000 e non 43 – non mi stancherò mai di ripeterlo) non ha certo giovato, perché nei fatti ha soltanto riconfermato l’idea che nulla sarebbe cambiato anche stavolta, nonostante il messaggio che più forte e chiaro di così il 90% dei 16.000 psicologi lombardi non poteva mandare.

Allora a che serve questo quorum raggiunto per un soffio?

A mio avviso soltanto a prolungare l’agonia del paziente, a procrastinare la soluzione del problema, a cronicizzare la situazione fino al punto da rendere pressoché impossibile qualsiasi cura, condannando giocoforza il malato a restar tale se quel che lo aspetta è l’ennesima replica di una terapia che non ha funzionato o che non è punto. Il vero disfattista è chi fa di tutto per negare l’evidenza, non chi formula una ipotesi di diagnosi, per quanto grave possa apparire, e propone un intervento nuovo e radicale, per quanto nulla in questi ambiti sia matematicamente certo. Quel che sappiamo per certo è che la terapia precedente non ha funzionato.

Guardiamo la cosa da un altro punto di vista ancora.

A parità di condizioni (liste, nomi, programmi ecc.), perché avrebbero dovuto votare stavolta se la volta precedente non hanno votato? Le persone – per quanto qualcuno possa pensarlo – non sono per niente stupide e nemmeno poco coerenti a quanto si vede. Con la diserzione in massa dalle urne la prima volta avevano chiesto un cambiamento radicale, ma non l’hanno avuto. E allora perché tornare a votare di nuovo se la verità è che non c’è niente di nuovo da votare?

Gli indipendenti, da parte loro, pur avendo cercato in tutti i modi di sottolineare la portata reale del fenomeno, davvero preoccupante, e di lanciare appelli coi loro modesti mezzi a tutti i 16.000 iscritti, sono stati sbeffeggiati pubblicamente per questo nobile intento.

Allora c’è davvero un problema grave, anzi doppiamente grave: c’è il problema in sé e c’è il problema costituito da chi non lo vuole riconoscere o non riesce a farlo per qualche ragione misteriosa.

Io penso che questa ragione misteriosa sia ascrivibile allo stesso meccanismo che ancora nel 2014 fa muovere alla guerra di posizione contro l’altro professionista di turno e non alla collaborazione integrazionale, alla chiusura in anacronistici garantismi e non all’apertura verso le potenzialità del nuovo, a un desiderio di provincialismo e non di internazionalizzazione, alla voglia di guardare ai modelli del passato e non a sperimentare il futuro, alla logica del “meno siamo meglio stiamo” e non della diffusione delle idee, della conflittualità perenne e non del dialogo costruttivo, delle barriere all’ingresso alle università e alle professioni e non della incentivazione dei giovani agli studi e ai mestieri (non per niente siamo il Paese d’Europa col minor tasso di laureati, come rileva Eurostat); e via di questo passo.

Ma di questo passo non si va da nessuna parte.

Quello della Lombardia dovrebbe essere uno degli Ordini più rappresentativi d’Italia, per numero e importanza. Al momento – e per chissà quanto ancora – lo è solo sulla carta, per un pelo di quorum.

Da parte mia, caro Presidente, sono e resterò sempre a disposizione, nella forma del servizio, nei confronti di una professione che chiede a gran voce una riforma sostanziale, una riforma che le consenta finalmente di fare quel salto di qualità che si merita, allineandosi alla comunità scientifica internazionale e agli standard dei colleghi dei paesi più avanzati.

C’è molto da fare, lo so, ma sono fiducioso che saprai fare tesoro di tutte le proposte e i programmi e che avrai la lungimiranza di mettere in atto progetti di ampio respiro per dare un segnale chiaro di cambiamento autentico a tutti i colleghi, nessuno escluso, osando richiamarli quotidianamente all’impegno nella costruzione della nuova psicologia italiana.

E per fare questo serve (anche) un Ordine nuovo, forte, autorevole, pienamente rappresentato.

Marco Mozzoni

Milano, 14 Aprile 2014


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Marco Mozzoni
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