Marijuana per combattere invecchiamento cognitivo e Alzheimer?

neurogenesi“Alcuni composti presenti nella marijuana sarebbero utili per prevenire l’invecchiamento cognitivo e l’Alzheimer, perché in grado di ridurre i processi infiammatori del cervello e di stimolare la formazione di nuovi neuroni”.

Sono le parole di Yannick Marchalant, ricercatore della Ohio State University (OSU), con le quali ieri, al meeting annuale della Society for Neuroscience di Washington D.C. (Neuroscience 2008), ha introdotto la presentazione dei risultati di uno studio specifico finanziato dal National Institutes of Health (NIH), come riporta una nota stampa OSU.

La ricerca dei neuroscienziati della Ohio State suggerisce che lo sviluppo di un farmaco a base di alcune proprietà similari a quelle del THC, principio attivo della marijuana, potrebbe essere efficace nella prevenzione o nel rallentamento dello sviluppo dell’Alzheimer, patologia associata a infiammazione cerebrale cronica, una delle cause delle compromissioni di memoria caratteristiche di questa malattia neurodegenerativa.

Il THC – prosegue la nota – va così ad aggiungersi alla nicotina, all’alcol e alla caffeina, agenti che, assunti moderatamente, si sono dimostrati protettivi in relazione all’infiammazione cerebrale, fattore che si traduce in migliori prestazioni della memoria durante l’invecchiamento.

Già precedenti studi sperimentali su animali condotti da Gary Wenk, docente della Ohio State e coordinatore dello studio, e colleghi avevano dimostrato miglioramenti a livello di memoria conseguenti alla somministrazione di sostanze di sintesi similari al THC.

Ora il team di neuroscienziati americani sta cercando di scoprire come questo esattamente avvenga nel cervello. I loro più recenti studi in tale direzione dimostrano che almeno tre recettori vengono attivati nel cervello dalla sostanza sintetica simile alla marijuana. Questi recettori sono proteine del sistema endocannabinoide, coinvolto nelle funzioni mnesiche e nei processi fisiologici legati all’appetito, all’umore e alla risposta al dolore. La ricerca sta dimostrando inoltre che tali recettori possono influire sull’infiammazione cerebrale e la produzione di nuovi neuroni.

Anche Marchalant aveva già coordinato uno studio sperimentale sui ratti utilizzando una sostanza sintetica (la WIN-55212-2, conosciuta come WIN), non utilizzata sugli umani per i suoi potenziali effetti psicoattivi: la somministrazione endodermica ai ratti di una dose costante (a livelli tali da non indurre nell’animale effetti psicoattivi) per tre settimane ha consentito di rilevare migliori prestazioni di memoria nei soggetti sperimantali rispetto ai controlli non trattati, in un compito basato sul “labirinto ad acqua” di Morris. I ricercatori americani hanno determinato che la WIN agisce sui recettori CB1 e CB2, stimolando la generazione di nuove cellule cerebrali, processo noto come neurogenesi.

La combinazione di neurogenesi e riduzione dell’infiammazione all’interno del sistema endocannabinoide sarebbe la ragione del miglioramento delle prestazioni cognitive dei ratti trattati con WIN.

“Obiettivo della nostra ricerca non è certo quello di voler raccomandare l’utilizzo del THC per prevenire l’Alzheimer, ma quello di capire esattamente quali recettori risultano decisivi e idealmente arrivare allo sviluppo di un farmaco specifico per tali recettori, capace di interagire efficacemente sia con il processo infiammatorio sia con quello di neurogenesi” ha concluso Marchalant.

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Marco Mozzoni
Direttore Responsabile

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