È sicuramente crescente la consapevolezza generale del ruolo che le trovate neuroscientifiche coprono e copriranno nel formare la conoscenza sull’animale che, forse, più ci sta a cuore, l’uomo. Studiare cosa avviene nel cervello e come avviene apre una finestra importante sul pensiero, sul sentire e sulla prassi. Su questo, mi pare, non ci sia bisogno di fornire argomentazioni particolari.
Possiamo poi pensare, e in parte lo facciamo, che le neuroscienze siano fondamentali poiché, sul piano pratico, contribuiscono a comprendere e sconfiggere le malattie neurodegenerative, per dare un esempio. Un ulteriore passo nel ragionamento ci potrebbe portare a considerare che ogni possibilità di rimediare ad un peggioramento della condizione di salute è, con tutta probabilità e al contempo, una possibilità di migliorare la condizione tipica dell’uomo. Ad esempio, chiarire i meccanismi responsabili della perdita di memoria e, conseguentemente, sviluppare soluzioni farmaceutiche in grado di rimediare al problema, rappresenta al contempo l’apertura alla ricerca di strategie volte al miglioramento delle capacità di ricordare tipiche nella popolazione. In questo senso, il rimedio che l’uomo procura in risposta alle sue eventuali problematiche di salute diventa la reale occasione di emancipazione rispetto all’insufficienza che la tecnica continuamente gli indica, ch’è legata al momento evolutivo contingente e all’ideale di un uomo che è sempre anche oltre sé stesso.
Chiaramente, il bisogno di migliorarsi e di accrescere la propria potenza e le proprie capacità è stimolato dal rapporto con gli altri. L’idea non è mai e solamente puntare ad un’umanità migliore, l’idea è essere migliori rispetto agli altri. Un campo di naturale sfruttamento del potenziale applicativo delle neuroscienze è lo scontro militare tra gli eserciti e le nazioni. La guerra è il momento ultimo in cui due o più parti cercano di stabilire la propria superiorità. Ne consegue che ogni arricchimento sul piano della conoscenza che possa mettere in una posizione di vantaggio è ricevuto con entusiasmo da chi pianifica come poter rispondere ad eventuali guerre o come poter preparare offensive efficaci oppure, più in generale, come aumentare il livello di sicurezza nazionale. Poiché l’unità di base dell’esercito rimane ancora l’uomo, e l’uomo è mosso perlopiù dal suo cervello, individuare modi per aumentare la potenza della strumentazione cerebrale e modi per spezzare le capacità cognitive del nemico diventa, oggi, di fondamentale importanza. Oggi, quell’insieme di discipline che lavorano alla comprensione del cervello, le neuroscienze, offrono occasioni per assolvere con crescente efficacia il compito di difendere la nazione.
Jonathan Moreno, professore di etica e bioeticista di fama internazionale, ha scritto uno dei primi saggi che affronta il tema dell’intreccio esistente tra i programmi di ricerca in neuroscienze e le domande e gli scopi di una nazione leader come gli Stati Uniti nell’impegno sul fronte della difesa nazionale e nell’impegno volto a mantenere un ruolo egemonico nella determinazione degli equilibri economico-politici a livello globale. Il titolo del libro è evocativo: Mind wars. In esame è soprattutto la relazione tra le pratiche e le direzioni di ricerca in neuroscienze e i fondi destinati a molta di questa ricerca, messi a disposizione da agenzie come la DARPA (The Defence Advanced Research Projects Agency), le quali hanno come obiettivo di proteggere la sicurezza nazionale e creare opportunità di sorpresa strategica sull’avversario mantenendo la superiorità tecnologica dell’apparato militare.
Come diversi filosofi italiani, e non solo, ripetono da decenni, uno dei poteri massimi, certamente il più pervasivo, che influenza i modi del presente e influenzerà il futuro della vita dell’uomo è la tecnica. Al di là delle posizioni più o meno apocalittiche che possiamo assumere, innanzitutto credo vada riconosciuto il fatto elementare che in una situazione di competizione costante ognuno cercherà di avere la supremazia tecnica, poiché è la tecnica che rende superiori in forza e capacità di dissuasione e distruzione. Nulla di sostanzialmente nuovo nella storia dell’umanità. A parte il fatto che oggi si intravedono i primi avanzamenti verso l’acquisizione di un potere di controllo sul cervello e su porzioni della mente dell’uomo prima impensabile, o, se pensabile, relegato al dominio della fantasia più spinta. Quello che spaventa filosofi e commentatori, oltreché, più in generale, la parte pensante della società, è il livello di pervasività e la capacità dello sviluppo tecnico odierno. Ciò che spaventa è l’estensione con cui la tecnica si è resa indispensabile alla vita dell’uomo, che poi è la stessa estensione con cui ne trasforma il pensiero e ne influenza il rapporto con i valori e gli scopi ultimi. A ciò si aggiungano gli strabilianti orizzonti apertesi nella possibilità di controllare e manipolare l’uomo stesso, a partire dalla conoscenza, dalla manipolazione e dal controllo del suo cervello.
Nei confronti della super-potenza della tecnica, di tutti e di nessuno, i cui effetti si fanno sentire su chi la sviluppa e la usa come su chi la subisce, il nostro compito di essere pensanti deve essere quello di cercare un continuo equilibrio razionale tra la salvaguardia degli aspetti dell’uomo che pensiamo non debbano andare perduti e lo sviluppo delle nostre capacità tecniche. Ogni eccesso, in una direzione o nell’altra, a favore di uno sviluppo tecnico incontrollato o a divieto di ogni avanzamento per paura delle conseguenze di esso, deve essere evitato e verrà evitato. Sul piano pratico ciò si traduce nello sviluppo di sistemi di regolazione e monitoraggio della ricerca e dello sviluppo di nuove tecnologie. Giunti a questa conclusione, però, dobbiamo tenere presente un dato fondamentale che apprendiamo dalla lettura del testo di Moreno. Il dato è questo: la maggior parte degli scienziati impegnati nei vari campi di ricerca delle neuroscienze non sembrerebbero essere particolarmente consapevoli delle relazioni sussistenti tra il lavoro scientifico e l’applicazione della conoscenza ottenuta agli scopi legati alla difesa e alla sicurezza nazionale. Questa mancanza di consapevolezza si dà a fronte di un rilevante ed evidente finanziamento della ricerca neuroscientifica da parte delle agenzie come la DARPA. La questione etica più generale si pone nel momento in cui una ricerca scientifica a tutti chiaramente utile, come può essere la ricerca medica, diventa controversa perché viene applicata per migliorare la condizione tipica dell’uomo, dunque per acquisire superiorità rispetto agli altri o per rispondere a sforzi di questo tipo da parte degli altri. Non desidero entrare nei dettagli della o delle questioni etiche, voglio solamente ricordare che non si dà la possibilità di una discussione senza la consapevolezza dei problemi.
Poiché questa consapevolezza non sembra ancora essere emersa nella comunità scientifica, un libro come Mind wars assolve all’importante compito di creare consapevolezza all’interno della comunità scientifica e nella società, più in generale. È proprio questa la funzione e la missione del saggio scritto da Moreno. Lo scienziato è spesso inserito in modo acritico e inconsapevole nell’insieme dei moventi e delle direzioni del campo di ricerca, seppure la competenza specialistica del buon scienziato sia sempre alta e sorprendente. Ogni tanto i moventi e le direzioni non sono chiari sin da principio, altre volte, come è il caso della ricerca finanziata dalle agenzie interessate alla sicurezza nazionale, gli scopi e le direzioni sono ben chiari. La priorità, per tanto, è aumentare la consapevolezza del senso generale e possibile della ricerca, comprendere le logiche e le dinamiche che influenzano e compongono lo sforzo di ricerca nelle neuroscienze diretto ad aumentare e perfezionare la sicurezza nazionale (che possiamo chiamare neuro-sicurezza), ed infine incominciare il lungo e costante ragionare sull’etica della neuro-sicurezza.
Il libro di Moreno mette a parte il lettore di una serie di avanzamenti tecnici resi disponibili dalla ricerca neuroscientifica. La revisione del lavoro di ricerca finanziato dalle agenzie di sicurezza nazionale americane è senz’altro ciò che rende il testo di Moreno curioso, affascinante eppure sconcertante nei contenuti. Il punto fondamentale è che, almeno a partire dalla seconda guerra mondiale, secondo l’autore, si è venuto costruendo un rapporto particolarmente stretto tra ambito accademico e ambito militare, dove il secondo finanzia e, in parte, guida la ricerca svolta dal primo. La rivoluzione che questo rapporto sta determinando, a partire dall’immenso sviluppo di conoscenza reso possibile dalle metodologie proprie delle neuroscienze, è di tipo strategico: le guerre del futuro saranno combattute secondo strategie volte a distruggere, mettere fuori uso, confondere o sfruttare la mente dell’avversario, prima ancora che il suo corpo. Solamente acquisendo il controllo sulla mente dell’avversario sarà possibile la vittoria. Ovviamente, nella sostanza c’è continuità con il passato. Ogni guerra ha mirato, in un certo senso, ad acquisire il controllo sulla mente dell’avversario, eppure oggi si assiste all’apertura di possibilità di controllo quantitativamente superiori che, forse, determineranno una differenza di qualità con il passato storico. Questa, forse un poco estremizzata, è la visione del futuro.
Per dare un esempio tra i molti possibili, possiamo riportare il progetto finanziato a partire dal 2009 dalla DARPA, che ha preso il nome di Silent Talk. Il programma di ricerca ha dell’incredibile ed è volto a capire se e come sia possibile comunicare per via telepatica. Ovviamente, non si tratta di comunicare a ‘mente nuda’, per così dire, ma tramite l’ausilio di apparecchi che registrano, codificano, interpretano e trasmettono i segnali neuronali. L’idea è quella di sfruttare i segnali neuronali legati al momento subito precedente la verbalizzazione di un pensiero, dunque di capire qual è l’attività cerebrale correlata al singolo pensiero intenzionale. Una volta compresa l’associazione è possibile pensare di decodificare il segnale registrato per poi trasmetterlo a distanza, oppure di trasmettere direttamente da cervello a cervello il segnale, senza bisogno di passare dalla decodificazione. È chiara, dunque, la portata strategica e tattica, con chiare ripercussioni sul piano operativo di simili progetti.
Accanto a ricerche di questo tipo, le agenzie americane interessate ai problemi legati alla sicurezza nazionale stanno stanziando considerevoli finanziamenti volti a comprendere come permettere un’interazione sempre più funzionale tra uomini e macchine (argomento del secondo capitolo di Mind wars). Ad esempio, è oggi tecnicamente possibile trasmettere il segnale della corteccia premotoria, che risponde all’idea dell’individuo di compiere un certo movimento, ad un dispositivo meccanico, poniamo un braccio meccanico. L’idea è di poter arrivare a comandare in tempo reale, e direttamente tramite la mente, dispositivi meccanici come robot che, in un futuro, potrebbero sostituire i soldati umani. Si tratta, allora, di combinare sempre più strettamente lo studio dell’intelligenza artificiale con lo studio dei meccanismi neuronali responsabili del pensiero. Un’ulteriore grande campo di interesse per le agenzie è il controllo mentale (argomento del terzo capitolo). Capire come funziona la mente, come può essere controllata, modificata o influenzata è di importanza strategica ad esempio per gli interrogatori. Essere in grado di piegare facilmente e funzionalmente la mente di un terrorista secondo la volontà di chi interroga è senz’altro uno degli obiettivi principali per coloro che riflettono su come combattere e prevenire in maniera efficace il terrorismo. Su questo punto, volendo allargare il discorso, andrebbero giustamente considerate le reali ragioni dell’uso della violenza sul nemico terrorista, non sempre e non necessariamente perfettamente funzionali all’obiettivo di ottenere informazioni.
Abbiamo già accennato allo sforzo nella direzione della lettura mentale, con l’esempio della telepatia. Il quinto capitolo del libro resoconta (sic.) una serie di iniziative di ricerca volte non solo a capire come trasmettere informazioni senza bisogno di parlare, ma anche come rilevare le intenzioni altrui. Una volta che comprendo l’associazione tra un’intenzione malvagia (il terrorista all’aeroporto con la bomba nello zainetto) e il suo correlato neuronale, e che sviluppo degli strumenti di rilevazione dei correlati neuronali sufficientemente non invasivi, allora ho di fatto la possibilità di sorvegliare gli aeroporti per le intenzioni cattive o aggressive. Nulla di troppo semplice, evidentemente, ma sono direzioni in cui le agenzie responsabili della sicurezza nazionale americana stanno lavorando, anche e soprattutto finanziando il lavoro degli scienziati della mente. Oltre a ciò, grandi risorse sono destinate alla costruzione di soldati più efficienti (argomento del capitolo sei). Si tratta di comprendere e lavorare sulla psicobiologia del soldato: aumentare le capacità di memoria e le capacità attentive, aumentare la resistenza al sonno e alla fame, aumentare le capacità cognitive generali e le capacità di apprendimento del soldato, allenare il controllo delle emozioni e prevenire le ricadute dovute ai traumi di guerra, e così via. Un’altra direzione di ricerca è quella delle armi non-letali (argomento del settimo capitolo). Parliamo delle armi chimiche come i gas anestetici o sedativi (è tristemente noto il fentanile), delle bombe puzzolenti, di sistemi che emanano microonde in grado di provocare dolore al nemico senza che questo venga necessariamente danneggiato fisicamente (ADS, active denial system), di armi che sfruttano la potenza del suono per stordire il nemico o di invenzioni come l’HSS (hypersonic sound), che, al contrario, permette di dirigere suoni e così messaggi all’interno di un campo spaziale molto limitato, in modo tale che un individuo possa recepire il messaggio e il suo vicino non sentire assolutamente nulla.
Ora, è forse banale dirlo, ma nel considerare la bontà o, più generalmente, l’accettabilità etica dell’impiego di queste nuove possibilità dovremo tenere ben ferma un’etica della responsabilità, ovvero un’etica che prende sul serio il compito di considerare per filo e per segno le conseguenze materiali e spirituali che deriverebbero dall’uso delle nuove tecnologie. Inoltre, e il punto non mi sembra emergere dal saggio di Moreno, mi sembra fondamentale, proprio in vista di una valutazione sull’accettabilità delle applicazioni in campo militare e civile della ricerca neuroscientifica, iniziare il grande discorso taciuto di quali siano le influenze economiche sugli scenari politici del globo. Se, ad esempio, in un futuro (il peggiore tra i futuri immaginabili) ci troveremo ad avere messaggi pubblicitari coatti infilati attraverso canali sonori personalizzati direttamente nelle orecchie, proprio come oggi vedo senza mai abituarmi lo stupro della dignità umana con i cartelloni pubblicitari e la reiterazione folle dei videomessaggi di réclame proprio ovunque attorno a me mentre aspetto sulla banchina il treno regionale che ancora non arriva, se nel futuro ci sarà questo, quali saranno state le cause? Forse le nostre scelte etiche propriamente deliberate? Forse i programmi di ricerca motivati da preoccupazioni legate alla sicurezza nazionale americana o di altre nazioni?
Mi pare che, in questo senso, per capire la logica di sviluppo e, oggi, prevedere con qualche approssimazione gli scenari futuri prospettati nel libro di Moreno, sia meno rilevante un’analisi delle loro ricadute etiche (forse la Storia la si è costruita a partire da scelte di principio etiche?), e più rilevante invece sia un’analisi delle possibili dinamiche politiche globali, e, conseguentemente, delle influenze che muovono queste dinamiche, e penso ai poteri e agli interessi economici ma anche ad un’analisi psicologica della natura umana. Questo non significa che l’etica non debba avere un peso. Diversamente, il ragionamento etico deve combattere strenuamente per guadagnare un spazio veramente decisionale. Guardando la realtà per quello che è, tuttavia, ritengo che sia prioritario ad una discussione etica la comprensione e il giudizio sulle logiche e sulle dinamiche che muovono il nostro mondo, e, nel nostro mondo, le politiche legate alla neuro-sicurezza. Se il libro di Moreno non si sviluppa chiaramente in questa direzione, ha però diverse virtù. Trovo che la maggiore di esse sia aumentare la consapevolezza dello scienziato e della società civile sulle direzioni, sugli sviluppi e sui profondi legami oggi esistenti tra ricerca neuroscientifica e applicazioni volte ad incrementare la potenza del sistema di difesa e di sicurezza nazionale.
Francesco Margoni
Visiting Scholar, Psychology Department
University of Illinois at Urbana-Champaign
www.psychology.illinois.edu
Image credits: Shutterstock
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