Neuroscienze, cambio di paradigma in vista?

“We are all unique human beings, and our interindividual differences have created the richness of our diverse communities and society” (Stephanie Forkel)

Dalla Radbound University un nuovo modello esplicativo del funzionamento del cervello destinato a cambiare l’approccio alla ricerca e alla clinica. Non sarebbero tanto le “regioni”, quanto le loro connessioni a fare la differenza.

Nelle parole dei ricercatori olandesi, che hanno pubblicato in questi giorni uno studio su Science, “le funzioni cerebrali non sono localizzabili nelle singole aree, ma emergono dallo scambio di informazioni tra le stesse”.

Se funzionasse “a moduli”, spiegano, il cervello non sarebbe in grado di gestire in tempi proibitivi abilità cognitive come il linguaggio, ad esempio. Inoltre, non riuscirebbe a dar conto delle notevoli differenze individuali, riscontrabili post mortem.

Allineando i singoli cervelli a una immagine standard per ragioni metodologiche, il neuroimaging infatti ha sempre ingannato l’osservatore, negando la possibilità di notarne e studiarne l’ampia variabilità interindividuale.

“Ognuno di noi ha un cervello diverso da tutti gli altri che non ha nulla a che vedere con le classiche ‘fotografie’ dei manuali”, dice senza mezzi termini Stephanie Forkel, alla guida del team di neuroscienziati della Radbound.

“Sfidando gli attuali modelli esplicativi – prosegue – questo spostamento di paradigma farà riscrivere le ‘mappe’, con una possibile ricaduta anche sulla diagnosi e il trattamento di numerose patologie da disconnessione”.

Lo studio:

Michel Thiebaut de Schotten and Stephanie J. Forkel, The emergent properties of the connected brain, Science, 378 (6619), DOI: 10.1126/science.abq2591

https://www.science.org/doi/10.1126/science.abq2591

Immagine: Radbound University

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