Se il gene NTRK3 funziona male, si è più esposti a soffrire di attacchi di panico. E’ quanto afferma uno studio del Centre for Genomic Regulation (CGR) di Barcellona, da poco pubblicato sul Journal of Neuroscience. Mònica Santos e Davide D’Amico hanno studiato l’azione di NTRK3 sul “circuito del panico”, formato dai collegamenti tra ippocampo (memoria) e amigdala (paura), scoprendo che…
Gli attacchi di panico possono essere eventi isolati o episodi alla base di un vero e proprio disturbo di panico (DP). Mentre la sensazione di panico viene scatenata da una minaccia imminente, gli attacchi di panico che si verificano nel DP sono frequenti, improvvisi e dovuti a un pericolo che in realtà non è presente, frutto del ricordo di una esperienza di panico precedente.
In pratica, la DP è una sorta di “paura di avere paura” che, però, provoca una reazione fisica simile alla risposta di allarme di pericolo reale, con palpitazioni, sudorazione fredda, vertigini, mancanza di respiro, formicolio del corpo, nausea e dolori allo stomaco. Questo stato frequente e imprevisto rende difficili le attività e la vita di tutti i giorni.
Il DP ha una base neurobiologica e genetica, ma si conosce ancora poco del ruolo che i geni coinvolti possano avere nella formazione di questo disturbo. Uno di questi geni codifica per il recettore di tipo 3 della neurotrofica tirosin chinasi (NTRK3), coinvolto nei meccanismi di formazione del cervello, delle connessioni nervose e nella sopravvivenza dei neuroni, e già associato in altri studi scientifici al disturbo bipolare e ai disturbi d’ansia.
Mònica Santos e Davide D’Amico hanno studiato, in un modello di topo che mima la DP, l’azione della NTRK3 sul “circuito del panico”, formato dai collegamenti tra le due strutture del cervello che modulano la memoria e la paura, rispettivamente l’ippocampo e l’amigdala. Se la quantità di NTRK3 diminuisce, l’attività del circuito del panico aumenta e così vengono richiamate memorie associate alla paura, anche se il motivo scatenante un pericolo non è presente. L’iperattivazione dell’ippocampo e l’attivazione alterata nel circuito dell’amigdala causano la formazione eccessiva di memorie legate a stati di pericolo e paura che portano allo sviluppo del DP.
Come si può curare il DP? Oggi si parla solamente di farmaci per i sintomi più gravi e di psicoterapie per aiutare chi soffre di DP a sopravvivere meglio agli attacchi. “Il problema è che i farmaci hanno molti effetti collaterali e la psicoterapia non ha come obiettivo i momenti specifici nel processo di formazione e di eliminazione dei ricordi di paura. Nel nostro lavoro abbiamo definito un meccanismo specifico di creazione di queste paure che potrebbero contribuire allo sviluppo di nuovi farmaci e, inoltre, a individuare i momenti fondamentali per l’intervento sui pazienti con una psicoterapia adeguata”, spiega D’Amico.
Alessandra Gilardini, Ph.D.
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