Tutti in trance

“Trance” [1] è un pericolosissimo film, avevo detto l’altro giorno a una cara amica. Non tanto perché presenta (ancora, che barba!) l’ipnosi come manipolazione. Una vecchia storia, che oggi non può che far sorridere. Ma perché è il film stesso – a mia percezione – ad essere manipolatorio. Infatti, vien subito da pensare “che stupidata”, ma poi, proprio come con “Fight Club” [2], uno si sente crescer dentro un certo desiderio… Di rivederlo ancora, e ancora, e…

Insomma, c’è qualcosa di non completamente esplicitato che ronza dentro il film, dal primo all’ultimo fotogramma, che attira come il miele (a chi piace, ovviamente). La produzione britannica firmata da Danny Boyle sembra proprio ricalcare i “modi” di Fight Club, annunciando in continuo una sorpresa finale che però qui alla fine stenta a convincere (ma è forse questo l’artifizio: ti sarai perso qualcosa per strada) con qualche virata ogni tanto alla nove settimane e mezzo [3] (massì, ci sta pure una bella regressione alle vite precedenti, per non poter dire che ci siamo fatti mancare qualcosa).

Aggiungi pure il nudo integrale “all shaved” della Rosario Dawson (un attimo che dura come l’eternità) con sottofondo in crescendo di Moby, “ipnotico” di suo… Risultato: apoteosi orgasmica (tutta mentale peraltro). E l’alchimia è fatta. Se ti lasci andare sei fregato. Anche se ti lasci andare un po’ qua un po’ là, come sul filo della trance appunto. Cioè, sta tutto a te entrarci o meno nella “struttura della magia”. Lei ti dice soltanto, a cicli sempre più ravvicinati: “segui la mia voce”. In questo, credo, gli ideatori abbiano fatto centro, riuscendo a veicolare un qual che di raffinatissimo attraverso lo scontato marcio.

Il dubbio che ti viene, in sostanza, che i conti non tornino, che le “parti” non vengano rimesse insieme, che nessuno ti faccia mai chiaramente capire che puoi rientrare alla base secondo consuetudine, alla fine, è reale. E’ una tendenza dei tempi quella di lasciare il nocciolo vitale dentro il frutto? Alcuni (noi lo stiamo facendo da un po’) iniziano a sfidare l’ermeneutica proponendo frutta brutta in belle confezioni. Che poi, in realtà, è quella più buona, come sapevano bene gli avi e come in parte sappiamo ancora noi, gente che vuol vedere solo il bello e al resto poco crede di badare.

E allora questi ti sfornano un prodotto che è una sfogliata, dandoti tutto tutto insieme, cercando di confonderti nel mentre, con una serie di sbalzi repentini (e pochi sobbalzi) che alla fine arrivano a stancare. Certo, ed è proprio lì che vieni “preso”, per sfinimento, come nella migliore tradizione… La bella confezione in superficie, la frutta brutta nel mezzo, che diventa buona se e quando decidi di assaggiarla, il raffinato nocciolo per chi ci arriva e così via, in tutte le combinazioni possibili che vuoi farti andare a genio. Questi lasciano a te, sfidandoti in creduloneria, la scelta di seguire o meno la “voce”, a te che tanto sei già lì coi tuoi sistemi VA [4] saturati e vorresti sentire anche gli odori, sfiorare al tatto la pelle vellutata – cosa impossibile per limite di tecnica, ma davvero lo vorresti e te lo puoi immaginare, avviando per un attimo l’esperienza reale. Sei (è) già dentro. Sorry, Sir.

Scontatissimo (volutamente?) il coinvolgimento sentimental-erotico fra terapeuta e paziente, su cui sembra girare tutta la macchinazione vendicativa della “strega” vittima-carnefice. La possibile violazione dei “confini” (o del “setting”, all’italiana [5]) che è sempre lì, nella pratica, a tentare e l’uno e l’altro, ciascuno coi propri personali istinti e giustificazioni, è questione complessa, delicatissima e dibattuta da tempo, non certo provocatoria denuncia di questo film, che sembra invece volerne alimentare il fascino perverso e devastante, vissuto fra l’apocalittico eroismo e il matematico cvd [6]. A chi può giovare tutto questo? Sicuramente a chi ama farsi del male e farlo agli altri. Non possiamo raccontare particolari e dettagli a sostegno dell’argomentazione perché qualcuno non avrà visto il film e vorrà ancora andarselo a vedere col piacere di chi non ne sa niente di niente. In ogni modo, siamo nel patologico. Anche in questo il film è pericoloso. E per niente rispettoso di quanti soffrono davvero, non avendo nemmeno l’intento di sensibilizzazione verso qualche problema o fenomeno attuale, per quel che ci risulta.

Il finale è uno scolastico riproporre temi cari al genere. Fuoco, acqua, aria, terra… Ricorda molto “Case 39” [7] (altro film “a sorpresa”, ma a sorpresa vera), interpretato magistralmente da una giovanissima e “indemoniatissima” Jodelle Ferland, oggi ventenne. Gli elementi ci sono tutti, oltre a un’accozzaglia aggiuntiva di luoghi più o meno comuni, che con buona pace si possono considerare un già visto altrove (altra astuzia, a ricalco). La scena finale di Fight Club, invece, più passa il tempo più fa venire i brividi. Credo realizzata tutta al computer, nel 1999, ma sicuramente tutta dal vero l’11 Settembre del 2001. Sul volgere del millennio, il film di David Fincher finiva sulle note della splendida “Where is my mind” dei Pixies con il protagonista mano nella mano con la compagna impallato a osservare da una vetrata i grattacieli fatti brillare avvolgersi in lingue di fuoco infernali e collassare poco a poco su se stessi, sino all’implosione degli ultimi due, i “gemelli”. Con un anticipo di due anni sul fatidico giorno che ci ha cambiato le vite in un colpo di spugna.

Gli americani hanno sempre saputo anticipare con la fantasia, immaginandolo per tempo, ciò che avrebbero vissuto nella realtà mondana qualche anno dopo [8]. Come è accaduto con “24” [9], ad esempio, la cui trama girava intorno a un presidente di colore ben prima che Obama mettesse piede alla Casa Bianca. O con “The Shoes of the Fisherman” (L’uomo venuto dal Kremlino) [10], che nel 1968 fantasticava con dieci anni d’anticipo l’ascesa al Soglio di Pietro di un personaggio proveniente da un paese del blocco sovietico (nel film, Papa Kiril I). Se Trance entrerà nella scia (difficilmente – ma nulla è storia prima che accada), vedremo presto ipnotiste rubar quadri milionari per vendetta, manipolando il mondo a proprio vantaggio e piacimento? Sarebbe triste… Soprattutto perché non credo ce ne siano tante in giro con il “profilo” della Dawson.

Marco Mozzoni

Note

  1. Trance (2013). Diretto da Danny Boyle. Con James McAvoy, Rosario Dawson, Vincent Cassel, Danny Sapani http://www.imdb.com/title/tt1924429
  2. Fight Club (1999). Diretto da David Fincher. Con Brad Pitt, Edward Norton, Helena Bonham Carter, Meat Loaf http://www.imdb.com/title/tt0137523
  3. Nine 1/2 Weeks (1986), Diretto da Adrian Lyne. Con Mickey Rourke, Kim Basinger http://www.imdb.com/title/tt0091635
  4. Visivo (V) e auditivo (A). Vedi: Richard Bandler, John Grinder, “La struttura della magia”, Astrolabio, 1978 http://www.astrolabio-ubaldini.com/scheda_libro.php?libro=427
  5. Gabbard G.O., Lester E.P., “Violazioni del setting”, Raffaello Cortina Editore, 1999 http://www.raffaellocortina.it/violazioni-del-setting
  6. Come volevasi dimostrare.
  7. Case 39 (2009). Diretto da Christian Alvart. Con Renée Zellweger, Ian McShane, Jodelle Ferland, Bradley Cooper http://www.imdb.com/title/tt0795351
  8. Delle due l’una: o hanno un fiuto mostruoso, o più semplicemente amano vivere la vita come fosse un film. Sempre meglio che accontentarsi dei guazzabugli televisivi, come succede da noi. In ogni caso, le pellicole possono avere il loro valore predittivo.
  9. 24 (2001 e seguenti). Creato da Robert Cochran, Joel Surnow. Con Kiefer Sutherland, Mary Lynn Rajskub, Carlos Bernard, Elisha Cuthbert http://www.imdb.com/title/tt0285331
  10. The Shoes of the Fisherman (1968). Diretto da Michael Anderson. Con Anthony Quinn, Laurence Olivier, Oskar Werner, David Janssen http://www.imdb.com/title/tt0063599

Image credits: Shutterstock

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Marco Mozzoni
Direttore Responsabile

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